
Una delle poche certezze rimaste in questi tempi di cambiamenti e confusione era la ritrosia della nostra presidente del Consiglio nel concedere interviste e, in generale, nel rispondere alle domande dei giornalisti. Invece, negli ultimi giorni si è sgretolata anche questa, con una sovraesposizione di Meloni piuttosto particolare, fatta di interviste, interventi, messaggi sui social e presenzialismo. Manca solo che risponda alle domande di Fanpage.it su Paragon… Ok, va bene, alla fantascienza non siamo ancora arrivati. Però, la questione è decisamente interessante. Soprattutto perché parliamo di chi ha fatto della comunicazione l’arma principale della propria azione politica e di chi ha gestito con grande attenzione il rapporto presenza/assenza della propria figura sulla scena pubblica.
Probabilmente, il cambio di strategia è soltanto temporaneo, ma risponde a un’esigenza reale: recuperare il controllo della narrazione pubblica sull’operato del governo e sulla sua caratura internazionale, per ricalibrare gli obiettivi nel medio e lungo periodo. La presidente del Consiglio, infatti, viene da un momento di grande difficoltà. Se la “naturale convergenza” ideologico-programmatica con la nuova amministrazione americana sembrava dare a Meloni un ruolo di primissimo piano sulla scena internazionale (con l’Italia pronta a diventare il laboratorio europeo della nuova destra identitaria, se non addirittura del movimento MEGA), le scelte specifiche di Trump e Vance su Ucraina, dazi e rapporti con l’UE hanno messo in estrema difficoltà la nostra presidente del Consiglio. Che si è trovata a essere guardata con sospetto dagli alleati europei, senza potersene apertamente distaccare (per ragioni storiche, economiche e finanche legali, oltre che per evidenti questioni di opportunità), confinata in una zona d’ombra ai tavoli europei dalla propria ambiguità. Malgrado la consonanza di vedute con Ursula von der Leyen, infatti, Meloni è stata vista a lungo (e forse ancora adesso lo è) come la quinta colonna trumpiana nella Ue, agente disgregatore dell’unità europea, vero ostacolo “concettuale” alle pretese egemoniche trumpiane. Le scene di piazza san Pietro, al netto degli spin di Chigi e dei tentativi di ridimensionare la figuraccia, sono abbastanza rilevanti, da questo punto di vista.
La leader di Fratelli d’Italia, per la verità, ha provato a uscirne con qualche capriola, insistendo su concetti come “unità dell’Occidente”, “rafforzamento del legame Usa-Ue”, che avrebbero senso solo se non fossimo alle prese con un attacco unilaterale in ragione di quell’interesse nazionale su cui Trump e Vance hanno costruito la propria fortuna elettorale. Del resto, si era già ritagliata questo ruolo di mediatrice nella questione dazi, senza avere un minimo di mandato da nessuna delle parti in causa. Certo, come hanno fatto sapere fonti della Commissione, ogni piccolo aiuto è ben accetto in una trattativa così difficile, ma, insomma, la distanza fra ambizioni e risultati è piuttosto evidente. Deve essersene resa conto la stessa Meloni che, nell'intervista rilasciata ad AdnKronos, ha provato a sterzare, chiedendo implicitamente ai suoi di abbassare le aspettative. Vediamo qualche passaggio:
Il confronto sta andando avanti a livello tecnico e sono contenta se il mio incontro con Trump è servito a favorire le condizioni politiche per l’avvio di un dialogo più concreto. L’Italia lavora per avvicinare le due sponde dell’Atlantico, perché crediamo nell’Occidente come sistema di valori, di alleanze internazionali e di relazioni economico-commerciali. È quello che nell’incontro alla Casa Bianca ho sintetizzato con il motto “Make the West great again”. Le nostre posizioni come Unione Europea devono naturalmente partire dalla difesa degli interessi dei nostri cittadini, senza mai dimenticare che soltanto insieme, Europa e America, potremo essere forti in uno scenario globale sempre più complesso.
[…] L’Italia è una delle principali nazioni esportatrici al mondo, e ci giochiamo palmo a palmo con altre importanti Nazioni il quarto gradino di Paese esportatore a livello planetario. Sono orgogliosa di questi risultati raggiunti, non a caso durante il nostro governo, che sta sostenendo il nostro export con forza anche aprendo nuovi mercati, da ben prima di Trump. Un commercio globale non solo aperto ma anche equo, nell’interesse nazionale italiano. La determinazione dei dazi spetta alla Commissione Ue ma di certo con gli USA, così come con gli altri partner internazionali, lavoriamo per rilanciare investimenti e progetti comuni, nei quali le aziende italiane possano avere un grande spazio”.
Tradotto: non ci sono grandi margini per andare da soli, Trump non è andato oltre qualche generica promessa, meglio non indispettire gli alleati europei (e non è un caso se, nella stessa intervista, abbia avuto parole al miele per von der Leyen e Merz, non alimentando neanche la polemica con Macron, che finora le è sempre servita in termini di consenso).
Aver concentrato tante energie in politica estera, senza risultati di rilievo, ha avuto peraltro delle conseguenze piuttosto concrete, soprattutto perché si stanno avvicinando appuntamenti elettorali di una certa rilevanza, referendum incluso, e c'è da cominciare a costruire il terreno per la sua ricandidatura. Lo racconta bene Giacomo Salvini sul Fattoquotidiano: “Nonostante i sondaggi continuino ad essere positivi, a Palazzo Chigi il timore è quello di perdere il contatto con gli elettori, nel lungo periodo. Superata la metà della legislatura, la Premier ha concesso un’intervista alla ADN Kronos per dire di volersi concentrare più sui temi del lavoro, della natalità e delle riforme. Ma l’intervista aveva un obiettivo più politico: annunciare la sua volontà di ricandidarsi con un occhio già alle elezioni politiche, che con ogni improbabilità e almeno discussioni della maggioranza, saranno tra due anni esatti, a maggio 2027”.
When in trouble, go big, recita un vecchio detto. E c'è già la road map per arrivare alla ricandidatura: "La Presidente del Consiglio ha messo un obiettivo nel mirino: le regionali nelle Marche. Qui si giocherà buona parte del consenso politico della premier alle prossime regionali, dove si ricandida il suo fedelissimo governatore Francesco Acquaroli, che sembra in difficoltà contro il suo sfidante Matteo Ricci, ex sindaco di Pesaro del PD [ … ] Così, tutto il partito e i vertici del governo sono stati mobilitati con una campagna elettorale estiva che si farà nelle Marche […] Dopo l’estate, poi, il partito darà il via alla lunga campagna elettorale per le politiche del 2027. E il primo passo sarà proprio quello di iniziare a ragionare sulle candidature e sulle future liste”.
Del lavoro, già cominciato, per il Meloni bis parla pure Flavia Perina su La Stampa, centrando un punto essenziale: la differenza tra la narrazione che la leader di Fratelli d'Italia fa del suo operato e la realtà dei fatti. Questo passaggio è particolarmente interessante:
Se nel 2022 troneggiò sui manifesti il suo ‘Pronti’, il messaggio del 2027 sarà qualcosa tipo ‘Detto-fatto’, riferimento alla cosa più banale su cui i politici andrebbero giudicati, dice la premier: ‘Ve lo avevamo promesso, lo abbiamo fatto’. La tesi del ‘detto, fatto’ è naturalmente contestabile. Quelli del fact-checking l’hanno già largamente criticata, andando a caccia di dati: occupazione, salari, migrazione e persino percezione collettiva del cosiddetto orgoglio nazionale. Tuttavia, se l’opposizione pensa di ribaltare così l’esito della campagna, auguri. Nell’era della post-verità, la realtà non è niente rispetto alle emozioni. Consolidare le emozioni, dunque: il copione della destra è abbastanza facile da prevedere. Prima tappa obbligata: il voto a Genova, dove il campo della sinistra sembra in testa con la candidata Silvia Salis. Ma pure se andrà male, i danni saranno limitati. La maggioranza potrà consolarsi la settimana dopo con il probabile flop della partecipazione al referendum sul lavoro, foriero della solita zuffa progressista post-urne: una pacchia. Autunno tranquillo, tornata regionale rinviata alla primavera 2026. Pure nella peggiore delle ipotesi, che volete che succeda? La sola regione di destra contenibile sono le Marche, non cascherà il mondo. E se invece le cose andassero bene, si farà il colpaccio in Campania o addirittura in Puglia”.
Sul Corriere della Sera, poi, Marco Galluzzo mette a fuoco anche un’ulteriore implicazione della strategia della presidente del Consiglio: “Le parole rilasciate all’ADN contengono anche un avviso a diversi naviganti: in primo luogo ai suoi due alleati, che nei sondaggi si contendono una frazione piccola di consenso, rispetto a quello mio di cui Meloni ancora gode, in modo costante. Della serie: sappiate, cari Salvini e Tajani, che dove siete probabilmente rimarrete, e che dunque potrete incidere sulle politiche esecutive sino a un certo limite, non oltre, oltre ci sono i numeri. Ma è un avviso anche a Elly Schlein, che sin dall’inizio della legislatura, non ha mai messo realmente in difficoltà la premier. In segreto Meloni fa il tifo per Schlein, visto che in tutti i sondaggi che arrivano sul suo tavolo c’è una costante: continuerà a vincere a meno che il Pd non cambi rotta e trovi una leadership o una narrazione politica diversa”.
Insomma, riepilogando: dopo gli inciampi in politica estera, Giorgia Meloni ha deciso di cambiare strategia, di tornare a gestire il dibattito interno e di imporre nuovamente la sua agenda ad alleati e competitor. L'operazione è già partita, con tanto di annuncio di ricandidatura e scelta della candidata avversaria: Elly Schlein. In questo contesto, rientrerebbe anche la riflessione su una nuova legge elettorale, che andrebbe a completare quel piano di riforme di cui fa parte anche il premierato. Ci aspettano settimane complicate, con i giornali della destra pronti a ripensare la loro programmazione e tornare a occuparsi pesantemente delle cose di casa nostra. Sarà uno spettacolo interessante, a colpi di "Giorgia Meloni fa cose", "la sinistra rosica" e via discorrendo.
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