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Lia Quartapelle a Fanpage.it: “Scuola, non basta dire che si riapre. Svegliamoci o sarà un disastro”

Intervista alla parlamentare Pd dopo l’annuncio delle riaperture delle scuole a settembre: “Non bastano le indicazioni sanitarie. Serve il coinvolgimento di insegnanti, studenti e famiglie. Serve una logistica adeguata. E serve creatività, per immaginare la scuola di domani. E intanto il governo deve aprire nidi e scuole dell’infanzia: stiamo chiedendo alle mamme che lavorano uno sforzo indecente”.
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Non bastano le linee guida sanitarie. Serve coinvolgimento, serve logistica, serve creatività. Sono queste, secondo Lia Quartapelle, parlamentare del Partito Democratico, le tre cose che ancora mancano e che potrebbero far naufragare la riapertura delle scuole in Italia, annunciata proprio ieri dalla ministra Azzolina e dalla presentazione dei documenti del comitato tecnico scientifico e della task force ministeriale: “Non illudiamoci – spiega  Quartapelle a Fanpage.it – Le linee guida sanitarie sono importanti, ma non bastano. Così come non bastano le due leggi richieste dalla task force sulla riduzione dell’orario delle lezioni da un’ora a 40 minuti o la depenalizzazione del rischio sanitario per i presidi. Serve molto altro”.

Cosa serve oltre a questo?
Per prima cosa, serve il coinvolgimento di chiunque viva la scuola. Fino a ora le decisioni sono state prese senza tenere in nessuna considerazione chi vive la scuola:  non gli insegnanti, non gli studenti, non le famiglie. Nessuno di loro è stato mai convocato dal ministero, con nessuno di loro c’è mai stato un momento di interazione.  Io non dico di convocare milioni di famiglie o di ragazzi, ma ci sono delle rappresentanze elette.  Penso, banalmente, agli alunni delle scuole superiori, forse i più complicati da gestire: visto che sono loro a dover rispettare le regole, magari sarebbe stato opportuno costruirle assieme, o almeno consultarli.

Lo stesso vale per gli insegnanti sulla didattica…
Certo. Ci sono docenti che in questi mesi si sono dati alla macchia. Ma ci sono anche docenti che le hanno provate tutte: che hanno acceso le telecamere spente dei loro alunni più restii a partecipare alla didattica a distanza, a quelli che volevano portarsi a casa gli alunni più fragili, a quelli che hanno provato a coinvolgere a distanza anche alunni con disabilità. Loro sanno cosa funziona e cosa no, cosa è possibile fare, e cosa è impossibile. Perché nessuno si è premurato di parlare con loro?

La seconda cosa che serve?
Serve la logistica. Un esempio: affinché gli standard di sicurezza sanitaria siano rispettati serve che il ministero compri 5 milioni di mascherine a settimana. Vuol dire 20 milioni di mascherine in un mese, 180 milioni di mascherine in un anno. Chi le compra? Dove? Come? E poi devi distribuirle in tutti gli istituti, da Cuneo a Lampedusa: quali sono i tempi della spedizione? Quando si pensa di inviarle e in che modo? E ancora: le scuole devono stoccare tutte quelle mascherine: quali sono le procedure di stoccaggio? Sono tutte domande a cui non abbiamo risposta.

Logistica vuol dire anche organizzare gli spazi in edifici molto spesso vecchi, fatiscenti e inadeguati. Si parlava di classi-pollaio non a caso, fino a qualche mese fa…
Qui serve creatività. Perché non puoi rinnovare magicamente il patrimonio edilizio scolastico italiano nel giro di un’estate, ma devi inventarti alternative. Cose che in altri Paesi stanno già facendo e non da ieri. Immaginando nuovi luoghi dove fare lezioni, e nuovi modi di immaginare la didattica.

Qualche esempio?
Bisogna inventarsi cose diverse, in luoghi diversi. C’è l’esigenza di pensare alla scuola come un luogo diffuso: in Danimarca fanno lezioni negli stadi, in Germania pensano di fare lezioni nei centri congressi. Perché noi dobbiamo essere sempre l’ultimo paese per logistica, per organizzazione, per creatività. Immagina di essere un ragazzo di Siena che va a fare lezione nel duomo di Siena. Noi siamo pieni di chiese, monumenti, musei. Perché non usiamo il nostro patrimonio storico e artistico per costruire una grande e nuova scuola diffusa?

Immaginare non basta, però: bisognerà convincere gli insegnanti a farlo…
Se non li si coinvolge e non si danno loro indicazioni chiare sarà dura convincerli anche solo a tornare in classe. Soprattutto, però, li devi coinvolgere perché devi chiedere loro una cosa fondamentale.

Quale?
La flessibilità. Non nascondiamoci dietro a un dito: agli insegnanti  dovremo chiedere di aiutare il Paese anche lavorando il sabato o al pomeriggio. Se glielo imponi, incontrerai fortissime resistenze. Se li coinvolgi, se costruisci con loro questa flessibilità e questo nuovo progetto educativo, a fronte di un giusto bonus, sono convinta che le resistenze saranno molte meno. E il risultato molto migliore.

Scuola non vuol dire solo progetto educativo, però. Scuola vuol dire anche ascensore sociale, vuol dire welfare per i più deboli…
I bisogni educativi di chi è più fragile devono diventare la nostra ossessione. I dati di questi mesi sono agghiaccianti, non c’è altra parola per definirli. Ne cito due: il 60% dei ragazzi non è riuscito a seguire adeguatamente la didattica a distanza e il 20%-30% degli adolescenti è letteralmente scomparso dal radar della scuola a inizio marzo, con un rischio di dispersione scolastica che è diventato altissimo. Questa consapevolezza va messa al centro di ogni nostro ragionamento e di ogni ipotesi di ripartenza. Bisogna fare attenzione a quelle zone del Paese che sappiamo essere più fragili, a quelle classi di scuola che sappiamo avere più alunni fragili. E lì dobbiamo concentrare lo sforzo progettuale.

Anche la questione mense è rilevante: per molti bambini quello che consumano a scuola è l’unico pasto completo ed equilibrato della giornata…
Per la precisione, sono 800mila i bambini italiani che consumano a scuola l’unico pasto completo ed equilibrato della giornata. Dobbiamo essere flessibili, pure qui. Se non si riescono a riprendere le mense su tutto il territorio nazionale, si pensi a un servizio di take away per chi ne fa richiesta , come è stato fatto in Portogallo, in collaborazione con gli insegnanti. Se lo ha fatto il Portogallo, può farlo anche l’Italia, no?

Scuola al pomeriggio, scuola al sabato, classi divise, pasti take away: un bel problema per le mamme lavoratrici. Come lo risolviamo?
Ancora una volta: flessibilità, coinvolgimento, creatività. In Danimarca, la riapertura delle scuole è stata organizzata su base volontaria, chiamando tutte le famiglie e chiedendo loro quali fossero le loro esigenze. Da noi, invece, non sappiamo nemmeno se settimana prossima riapriranno i nidi. Le mamme che lavorano sono state lasciate completamente sole. Io ricevo tutti i giorni messaggi di donne che piangono per l’angoscia di non sapere dove lasciare i figli. Stiamo chiedendo uno sforzo indecente alle donne che lavorano e non è giusto. I nidi devono riaprire, le scuole dell’infanzia devono riaprire: e non è un tema femminile, è un tema di emergenza nazionale.

E come mai un governo di centro sinistra come il vostro non se ne occupa?
Nicola Zingaretti l’ha chiesto spesso. Persino Luca Zaia chiede di riaprire i nidi: i ministri del Pd e della sinistra dove sono? Il fatto che il consiglio dei ministri non stia discutendo di quest’emergenza è il segno di un Paese retrogrado che non ha capito quel che serve. E che ci siano ministri e viceministre come Ascani e Bonetti che continuano a chiederlo e non ricevono risposte, io lo trovo semplicemente indecente.

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Francesco Cancellato è direttore responsabile del giornale online Fanpage.it e membro del board of directors dell'European Journalism Centre. Dal dicembre 2014 al settembre 2019 è stato direttore del quotidiano online Linkiesta.it. È autore di “Fattore G. Perché i tedeschi hanno ragione” (UBE, 2016), “Né sfruttati né bamboccioni. Risolvere la questione generazionale per salvare l’Italia” (Egea, 2018) e “Il Muro.15 storie dalla fine della guerra fredda” (Egea, 2019). Il suo ultimo libro è "Nel continente nero, la destra alla conquista dell'Europa" (Rizzoli, 2024).
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