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Le truffe sugli indennizzi Covid: il Fisco denuncia irregolarità per 243 milioni di euro

Mentre le imprese continuano a chiedere i ristori del governo contro la crisi innescata dalla pandemia di coronavirus, i controlli dell’Agenzia delle Entrate hanno fatto emergere una serie di irregolarità su quanto dichiarato al Fisco da diverse imprese. Sono circa 82 mila gli indennizzi bloccati a causa di alcune anomalie rilevate, per un totale di 243 milioni di euro.
A cura di Annalisa Girardi
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Con i ristori del governo in arrivo, stanziati per contrastare la crisi economica innescata dalla pandemia di coronavirus, sono emerse una serie di irregolarità su quanto dichiarato al Fisco da diverse imprese. Sono circa 82 mila, infatti, gli indennizzi bloccati a causa di alcune anomalie rilevate dalla Agenzia delle Entrate per un totale di 243 milioni di euro. I controlli preventivi fanno parte della procedura per poter ricevere gli indennizzi stanziati dal governo, ma in alcuni casi hanno invece finito per bloccare l'erogazione. Finora l'Agenzia delle Entrate ha pagato 8,2 miliardi di euro a circa 2,4 milioni di Partite Iva. Sono i contributi a fondo perduto messi in campo dal governo con i decreti Rilancio e Ristori 1. Seguiranno poi i decreti Ristori 2 e 3, all'esame in Parlamento. Il ristoro può andare da mille fino a un massimo di 150 mila euro, in base alla perdita di fatturato subita. E proprio qui sono saltate all'occhio alcune irregolarità.

I casi di tentata frode sui ristori

È il Corriere della Sera a portare all'attenzione alcuni casi. Non solo sono emerse situazioni in cui mancavano i requisiti necessari per poter accedere ai ristori, ma sono stati chiesti comunque. Sono stati identificati anche dei veri e propri truffatori dei ristori. Imprenditori che dichiaravano meno di 65 mila euro all'anno, beneficiando in questo modo della flat tax al 15%, per poi dichiarare ad aprile 2019 (cioè il periodo sul quale si calcola la perdita subita quest'anno e il corrispettivo indennizzo dovuto) oltre 1 milione di fatturato. Cifra per la quale è possibile ottenere il contributo massimo da 150 mila euro. Questo è il caso specifico, ad esempio, di un amministratore condominiale di una città nel Settentrione, a cui sono stati subito bloccati gli indennizzi.

Ma è un caso fra tanti altri. Che prima godevano della flat tax e improvvisamente, nella primavera 2019, hanno registrato un boom di incassi. Sono stati talmente numerose le situazioni di questo tipo che l'Agenzia delle Entrate si è trovata a dover approfondire i controlli. Trovando, per ora, 217 casi di tentata frode. Questo meccanismo con la flat tax non è stata l'unica spia di allarme. C'è stato anche un aumento improvviso di fatture retrodatate che ha fatto insospettire i funzionari dell'Agenzia delle Entrate. Un meccanismo volto solo a gonfiare il fatturato di aprile e riscattare ora un indennizzo maggiore. Sono molti i casi in cui, incrociando i dati, il Fisco è riuscito a bloccare i ristori prima che questi finissero nelle tasche di chi non ne aveva diritto. Tuttavia, un centinaio di volte le truffe sono emerse solo con indagini a posteriori della Guardia di Finanza, cioè quando le somme erano già state versate. Sono quindi poi dovute scattare le operazione di recupero dei contributi.

Che cosa ha rilevato l'Agenzia delle Entrate

Ci sono poi i casi dei soggetti che nel 2019 non erano nemmeno operativi, ma che hanno lo stesso trasmesso fatture datate proprio ad aprile 2019. Che, in pratica, non è altro che un'autodenuncia per evasione fiscale totale. Ci sono poi ancora i soggetti che non rispondono alle richieste dell'Agenzia delle Entrate rispetto ai propri numeri e provano in seguito a ripresentare un'istanza con dei dati aggiustati. In totale, al momento sono 38 mila le domande bloccate per il fatto che il richiedente non risulta in regola con la documentazione presentata lo scorso anno al Fisco. Altre 25 mila istanze sono ferme perché i dati presentati nella domanda di ristoro non corrispondono a quelli segnalati all'Agenzia delle Entrate prima dello scoppio della pandemia.

I controlli hanno anche fatto emergere casi di commercialisti che chiedevano il ristoro per un'impresa, ma poi segnalavano il proprio Iban come conto su cui versare la somma. E così mentre moltissime imprese continuano ad aspettare gli indennizzi a cui hanno diritto, alcune volte in un ritardo che soprattutto le aziende più piccole non si possono permettere, c'è chi continua a fare il furbo.

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