Landini: “In tanti voteranno al referendum, Meloni che non ritira le schede pensa che siamo coglioni?”

Domenica 8 giugno, tra due giorni, si apriranno le urne per i referendum su cittadinanza e lavoro. Fanpage.it ha intervistato Maurizio Landini, segretario generale della Cgil, promotrice dei quattro quesiti sul lavoro. Landini si è detto ottimista sul raggiungimento del quorum e ha risposto agli attacchi del governo, criticando la posizione di Meloni ma anche dei riformisti del Pd che si oppongono ad alcuni quesiti sul Jobs Act. Poi ha spiegato quali sono concretamente le richieste del sindacato, e ha lanciato un appello: "L'8 e il 9 giugno andate tutte e tutti a votare: il vostro voto può migliorare la condizione di vita di lavoro e di vita di tutti. Basta precarietà, basta subappalti a cascata, basta licenziamenti ingiusti. Tutto questo lo possiamo ottenere con cinque sì".
Partiamo dal sottosegretario Durigon: ha detto che lei dovrebbe dimettersi se il referendum fallisce perché l'ha "politicizzato al massimo". Come risponde?
Questo è un governo di irresponsabili. Anziché assumersi la responsabilità di dire cosa pensano dei nostri quesiti, stanno cercando di invitare le persone a non andare a votare. Nei fatti vuol dire che non vogliono cambiare assolutamente nulla. Noi invece stiamo facendo questo referendum per ridare un futuro ai giovani, per ridare diritti a chi non ce li ha, per dire basta precarietà, per dire basta morti sul lavoro, per dire basta alla logica del subappalto e per rimettere al centro la libertà delle persone nel lavoro.
Il quorum è un obiettivo che secondo i sondaggi è difficile da raggiungere. Ma lei dice di essere ottimista. Perché? E arrivare sotto il 50% sarebbe in ogni caso una sconfitta per voi?
Sì, noi vogliamo raggiungere il quorum perché solo raggiungendo il quorum si cancellano le leggi. Questo è il nostro obiettivo. Non abbiamo ragioni politiche particolari. Vogliamo cambiare le leggi sbagliate che stanno precarizzando il lavoro e che hanno peggiorato le condizioni. Il nostro obiettivo è questo.
Penso che sia possibile raggiungerlo perché sto vedendo una crescita della partecipazione senza precedenti. Sto vedendo che man mano che la gente conosce perché si va al referendum, è sempre più convinta di andare a votare. Soprattutto perché al referendum non voti per un partito, per un governo, voti finalmente per i diritti delle persone. E ho trovato tanta gente che mi ha detto che era anni che non votava, ma questa volta ci va, perché finalmente non si vota per qualcuno, si vota per qualcosa, si vota per il lavoro, per i diritti, per la dignità delle persone che lavorano.
La maggioranza di questo Paese è fatta di gente che per vivere ha bisogno di lavorare, gente che ha lavorato una vita. Questo referendum è difficile, lo sapevamo fin dall'inizio, ma credo ci possano essere le condizioni.
La campagna per il referendum si è divisa molto tra l'invito a votare da una parte e a non andare a votare dall'altra. Cosa ne ha pensato della soluzione, diciamo così, di Giorgia Meloni che alla fine ha detto che andrà al seggio e non ritirerà le schede?
È surreale, no? È come se dicesse vado alla presidenza del Consiglio ma non governo. Oppure se dicesse vado al supermercato ma non faccio spesa. Cosa pensa la premier? Che la gente son tutti dei coglioni? In realtà questa cosa è un modo esplicito per non far raggiungere il quorum, e di fatto questo è un atteggiamento di chi dice che non bisogna andare a votare perché non c'è da cambiare nulla.
Io penso che sia un atto irresponsabile, perché chi ha responsabilità pubbliche deve assumersi anche la responsabilità sempre di dire quello che pensa, se sì o se no. Quando addirittura inviti le persone a non usare lo strumento della democrazia, è l'esatto contrario di quello che ci ha insegnato il presidente della Repubblica, che ci ha proprio ricordato il 25 aprile che la partecipazione politica e il voto sono gli strumenti senza i quali non c'è né la libertà, né la democrazia. Lui ha invitato tutti a lavorare per combattere l'astensione alla partecipazione, non solo al voto, alla partecipazione politica.
È diventato quasi un ‘referendum contro il Jobs Act', anche se nella sostanza lo è solo in parte. Cosa ne pensa di chi, anche nel Pd, ha detto che voterà no su questi quesiti per tutelare proprio il Jobs Act?
Penso che stanno facendo un errore e che dovrebbero imparare dall'esperienza. Se tu fai una legge che pensi che sia giusta, dopo un po' devi verificare se è stata giusta e se ha prodotto risultati. Credo che sia sotto gli occhi di tutti che la precarietà è aumentata, che la gente, pur lavorando, è più povera e che questo elemento ha coinciso anche con una maggior facilità per le imprese di licenziare.
Tutelare le persone contro i licenziamenti ingiusti vuole dire difendere la libertà e la dignità del cittadino. Quando è ingiusto vuol dire che pur facendo bene il tuo lavoro ti possono licenziare, e con qualche solo ti possono mandare fuori dall'azienda. Questo è contro la Costituzione e contro la nostra cultura. Aver fatto questa scelta con il Jobs Act si è dimostrato un grave errore, perché non è servita né a far crescere il nostro Paese né a migliorare la condizione. Anzi, è aumentata la precarietà nel lavoro, al punto che tantissimi giovani nel nostro Paese oggi se ne vanno via e vanno a lavorare da altre parti.
Visto che secondo i sondaggi molti italiani non sanno bene su cosa si va a votare, vorrei passare in rassegna i quattro quesiti. Lei in un flash ci dica cosa cambia per le lavoratrici e lavoratori se il quesito passa. Partiamo dai due sui licenziamenti ingiusti.
Il primo vale per chi lavora nelle imprese con più di 15 dipendenti. Noi chiediamo che tutti abbiano la tutela che di fronte a un licenziamento ingiusto, hai diritto a tornare a lavorare nel tuo posto di lavoro. Oggi, con il Jobs, Act per i nuovi assunti e per i giovani, di fronte a un licenziamento ingiusto sei comunque licenziato, perché basta un po' di soldi e tu in azienda non ci torni più.
Secondo: nelle imprese sotto i 15 dipendenti se sei licenziato ingiustamente, la legge dice che hai un indennizzo massimo di sei mensilità. Noi chiediamo di cancellare questo tetto in modo che di fronte a un licenziamento ingiusto, anche in una piccola impresa, qual è l'indennità o la soluzione migliore lo decida il giudice caso per caso. Valutando il tuo stato di famiglia, quanti anni è che lavori lì, la tua condizione, la dimensione dell'impresa e così via.
Il quesito sui contratti precari?
Diciamo basta con la liberalizzazione dei contratti a termine. Questa è una legge che ha fatto il governo Meloni, che ha liberalizzato i contratti a termine. Noi vogliamo invece che il contratto a termine torni ad essere un contratto eccezionale, non la norma con cui assumi le persone. Il contratto normale deve essere a tempo indeterminato. Il contratto a termine deve tornare ad essere quella forma eccezionale che usi solo in alcune situazioni ben definite.
E sui subappalti?
La maggioranza dei morti sul lavoro e degli infortuni sul lavoro riguarda proprio persone che lavorano in appalti e subappalti. Basta pensare alle tragedie che ci sono state in questi anni, da Ferrovie dello Stato, Eni, Enel… I morti sono tutti dipendenti di aziende in appalto o in subappalto per le grandi aziende, le grandi aziende non hanno mai nessuna responsabilità.
Noi chiediamo una cosa molto precisa: che se un'azienda decide di appaltare un'attività, lei deve rimanere responsabile in solido di quello che succede, di come lavorano quei dipendenti, soprattutto sulla salute e la sicurezza. La logica non può essere quella del massimo ribasso, la logica deve essere la qualità e il rispetto delle leggi, a partire dalla salute e la sicurezza sul lavoro.