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Elezioni politiche 2022

La pensione anticipata per le mamme lavoratrici è la proposta più inutile di questa campagna elettorale

Pensione anticipata per le donne lavoratrici che fanno figli. Se l’ultima proposta del M5s è un incentivo per le donne a fare figli, non ci siamo. Le donne non hanno bisogno di essere mandate in pensione prima dei loro colleghi maschi quando i figli sono ormai grandi, hanno bisogno di non essere discriminate nel momento in cui decidono di farli.
A cura di Annalisa Girardi
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Pensione anticipata per le donne lavoratrici che fanno figli. Questa l'ultima proposta del Movimento Cinque Stelle che si prefigge di "permettere al Paese di crescere" restando "dalla parte delle donne". In una pillola social per condividere il programma targato M5s si spiega che "le mamme potranno uscire prima dal lavoro grazie a un bonus maturato per ogni figlio avuto". Un incentivo, si presume, a fare figli. Ma alle donne non servono incentivi a fare figli, serve sostegno quando questi nascono. Non hanno bisogno di essere mandate in pensione anticipata quando i figli sono ormai grandi, hanno bisogno di non essere discriminate sul lavoro nel momento in cui decidono di farli. Alle donne servono politiche che non mettano più in contrasto lavoro e famiglia. Esattamente come accade per gli uomini, per cui l'essere padre difficilmente pone un ostacolo alla carriera.

Se mandare in pensione anticipata le madri che lavorano è un incentivo per le donne a fare figli, è la proposta più inutile della campagna elettorale. Capiamoci: di proposte inutili ne abbiamo viste parecchie in queste settimane. Dalla gita gratis a Roma al ritorno della leva militare. Ma perlomeno non si presentano come facili soluzioni a temi serissimi, in molti casi drammatici per un Paese come l'Italia, come appunto quello del calo demografico e della parità di genere.

Ma partiamo da una premessa: le donne che lavorano, in Italia, sono poche.

In un Paese come il nostro, dove permane una cultura patriarcale che impone la cura di casa e famiglia come compito esclusivamente femminile, spesso essere lavoratrice ed essere madre non vanno di pari passo. Come ci mostra questo grafico di Eurostat, l'Italia, tra i big europei, è il Paese in cui il tasso di occupazione femminile è più basso. Quasi una donna su due non lavora in Italia. È una questione culturale, sicuramente. Ma non solo: se occuparsi dei figli è un peso che ricade unicamente sulle sue spalle, può rivelarsi molto difficile per una donna mantenere il lavoro e al contempo occuparsi della famiglia.

Per agevolare le donne a fare figli bisogna metterle nella condizione per cui questa scelta non sia più un problema a livello lavorativo. Ricorderete quando qualche mese fa era scoppiata la polemica sulle parole della stilista Elisabetta Franchi, che aveva affermato di assumere solo donne over 40 per evitare che le sue dipendenti potessero rimanere a casa in maternità. "I figli li hanno già fatti, possono lavorare 24 ore su 24", aveva detto. Ora ci manca solo che finiscano per essere discriminate anche le over 40 e che le imprese non le assumano per paura che vadano in pensione troppo presto.

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Ancora una volta la politica non riesce ad affrontare le politiche di sostegno alla natalità dalla giusta prospettiva. Che andrebbe ampliata, in modo da considerare la cura di casa e figli non come qualcosa che riguarda unicamente la donna. Si parla sempre più spesso di conciliazione tra lavoro e vita privata, ma altrettanto spesso una madre si trova a dover conciliare il lavoro pagato con quello non pagato. Cioè quello svolto occupandosi delle mansioni di casa e della crescita dei figli. Si dovrebbe piuttosto parlare di condivisione tra genitori. Quindi intervenire sui congedi di paternità, in modo che la scelta di mettere su famiglia non si trasformi in una discriminazione sul lavoro per una parte. Una misura come quella dei pari congedi per madri e padri (che è realtà in diversi Paesi europei) promuoverebbe l'occupazione femminile creando benefici per l'intera società. Non solo a livello economico, con una crescita del Pil, ma anche in termini sociali e culturali.

Mettere davvero uomini e donne sullo stesso piano quando si parla di famiglia e di lavoro perché l'empowerment femminile non sia solo di facciata: la parità di genere passa anche per questo. Ma in un Paese dove il gender gap, come dimostra il grafico dell'Istituto Europeo per l'Equità di Genere, è ancora molto ampio, questo è difficile. E lo sarà sempre finché la rappresentanza delle donne ai vertici della politica resterà incredibilmente ridotta.

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Mandare in pensione le donne prima dei loro colleghi maschi non risolve il problema del calo della natalità, né quello delle parità di genere sul lavoro e tantomeno quello della crescita del Paese. Il punto non è quando lasciare a casa da lavoro le donne, se a 30 o a 60 anni. Il punto è cambiare prospettiva, abbattere gli stereotipi e ripensare al mondo del lavoro e alla cura della famiglia. Per farlo serve più spazio alle donne nei palazzi e nelle stanze del potere. Perché solo allora si parlerà davvero di politiche che stanno dalla parte delle donne.

P.S. Il mercato del lavoro è discriminatorio per tutte le donne, non solo per quelle che decidono di diventare madri. Aspettiamo proposte anche per tutte le altre. Affinché siano pagate tanto quanto i colleghi maschi, non debbano giustificare la propria vita privata fuori dal lavoro (l'avere una famiglia non è l'unico motivo per pretendere il rispetto del proprio tempo libero) e non si trovino ad affrontare infrangibili tetti di cristallo quando tentano di costruirsi una carriera.

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A Fanpage.it sono vice capoarea della sezione Politica. Mi appassiona scrivere di battaglie di genere e lotta alle diseguaglianze. Dalla redazione romana, provo a raccontare la quotidianità politica di sempre con parole nuove.
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