La nuova legge sul femminicidio: “Così si colma una lacuna che ha pesato per anni”

La legge che introduce il femminicidio come reato autonomo arriva in un momento in cui la violenza contro le donne continua a mostrare una dimensione strutturale e crescente. Le rilevazioni più recenti indicano che la larga maggioranza delle donne uccise nel 2024 rientra nelle forme di violenza di genere: delitti spesso caratterizzati da un accanimento evidente e quasi sempre commessi da uomini conosciuti, appartenenti alla cerchia familiare o affettiva. La nuova norma riconosce questa specificità, e per la prima volta la isola in un reato a sé, punito con la massima pena prevista dall'ordinamento: l'ergastolo. Oltre all'aspetto sanzionatorio, il testo interviene poi su misure cautelari, protezione dei familiari, formazione obbligatoria per magistrati e forze dell'ordine, e sulla prevenzione della vittimizzazione secondaria nei processi. Perché la nuova norma produca un cambiamento reale, è indispensabile affiancarla a un investimento strutturale sull'educazione sessuo-affettiva nelle scuole e su politiche di prevenzione forti, continue e mirate, capaci di intervenire sulle radici culturali della violenza di genere.
Per approfondire cosa cambia concretamente, Fanpage.it ne ha parlato con Valerio de Gioia, Consigliere della Corte di Appello di Roma e consulente della Commissione parlamentare d'inchiesta sul Femminicidio.
Il femminicidio ora è un reato autonomo: si riconosce la specificità di questo crimine. Cosa cambia davvero con la nuova legge?
La legge introduce finalmente una fattispecie autonoma di femminicidio. Non è che l'uccisione di una donna non fosse punita prima, ma rientrava nella norma generale dell'omicidio. Con questa riforma si riconosce la specificità di un fenomeno drammaticamente attuale: l'uccisione di una donna in quanto donna, quando la violenza nasce da odio, discriminazione, controllo, possesso o dominio. In tutti questi casi la pena sarà quella massima prevista dall'ordinamento, cioè l'ergastolo.
La norma copre anche i casi in cui l'uomo uccide perché la donna rifiuta di iniziare una relazione o decide di interromperla. In Europa non siamo i primi: Cipro, Malta, Croazia e Belgio hanno già introdotto il reato autonomo.
Rispetto a prima cosa cambia, nel concreto?
Si colma una lacuna importante. Oggi un uomo che uccide l'ex moglie, l'ex fidanzata o la compagna che ha trovato il coraggio di lasciarlo non rischia l'ergastolo: la pena va da 24 a 30 anni e consente il rito abbreviato, che può portare la condanna fino a 16 anni; con i benefici penitenziari, significa tornare libero anche dopo 12 anni. Con il nuovo reato questo non sarà più possibile. Uccidere la propria ex in quanto donna comporta automaticamente una pena che ha come limite massimo l'ergastolo. Non servirà più rincorrere aggravanti come premeditazione o crudeltà — spesso destinate a cadere nei successivi gradi di giudizio.
La pena dell'ergastolo scoraggerà il femminicidio?
Sul piano della prevenzione generale temo di no. Un uomo su tre, dopo aver commesso un femminicidio, si suicida: questo dimostra che neppure pene estreme sarebbero sufficienti a fermarlo. La norma però introduce un principio di giustizia: pene più coerenti con la gravità del fatto e un trattamento uniforme, senza disparità che non trovavano spiegazione.
Perché serviva un reato autonomo?
Perché siamo davanti a un'emergenza nazionale. E alle emergenze si risponde con norme forti, come avvenne nel 1982 con l’introduzione del reato di associazione mafiosa: l'associazione per delinquere già esisteva, ma non era sufficiente a descrivere la specificità del fenomeno. Lo stesso vale per il femminicidio.
Come cambiano gli strumenti di protezione per chi "resta" invece dopo un femminicidio?
Finora, quando un uomo veniva scarcerato o gli veniva revocata una misura cautelare, l'obbligo di comunicazione riguardava solo la persona offesa. Ma nel femminicidio la persona offesa, ovviamente non c'è più. Abbiamo registrato casi in cui genitori, fratelli o sorelle della vittima si sono ritrovati improvvisamente davanti l'assassino, senza saperlo. Alcuni sono diventati persino bersaglio di nuove condotte persecutorie. Con la nuova legge questo non potrà più accadere: la comunicazione sarà estesa ai familiari prossimi. È un passo avanti decisivo.
E per quanto riguarda invece le misure cautelari?
È uno degli aspetti più importanti della riforma. Per i reati di violenza domestica e di genere c'è ora una presunzione di inadeguatezza delle misure non custodiali. Significa che la regola, di fronte a un uomo violento, saranno gli arresti domiciliari o il carcere. Il divieto di avvicinamento diventa un’eccezione. Si ribalta la logica: se applico la misura meno restrittiva devo motivare perché è sufficiente. Prima era il contrario. Inoltre la distanza minima del divieto di avvicinamento raddoppia: passa da 500 metri a un chilometro.
Il PM potrà ascoltare direttamente la persona offesa e disporre sequestri conservativi. Come cambia la tutela economica?
È stato ampliato il fondo per gli orfani di femminicidio. La "provvisionale", l'anticipo economico riconosciuto alle vittime, viene estesa anche ai casi in cui l'omicida non era coniuge né convivente stabile, colmando una lacuna che aveva creato molte ingiustizie. È esteso anche il patrocinio a spese dello Stato. Le procedure più complesse a cui fai riferimento saranno affrontate nei decreti attuativi: non potevano essere inserite nella legge primaria, ma verranno semplificate, anche su impulso della Commissione d'inchiesta.
Le norme bastano? O serve altro?
La violenza contro le donne è un problema culturale che riguarda tutti, anche, per esempio chi lavora nelle forze dell'ordine o nella magistratura. A volte abbiamo strumenti efficaci, ma se chi li applica non è adeguatamente formato, il rischio è quello di una diagnosi sbagliata del pericolo. La riforma introduce una formazione obbligatoria specifica per magistrati e operatori sanitari: chi tratta questi dati deve aggiornarsi e conoscere gli strumenti a disposizione.
La riforma interviene anche sulla vittimizzazione secondaria. In che modo?
Molte donne non denunciano perché temono il processo. La Corte Europea dei diritti dell'uomo ha condannato l'Italia per l'uso di domande o linguaggi lesivi nei confronti delle vittime. Con la nuova legge il giudice è obbligato a impedire qualunque domanda che possa ledere la dignità o il decoro della persona offesa. È un cambiamento fondamentale: mette fine a prassi che, in passato, hanno confuso la vittima con l'imputato. Ora il magistrato ha il dovere di fermare immediatamente quelle domande.