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La Corte Ue richiama l’Italia sui centri in Albania, Asgi: “Il governo rifiuta i principi dello Stato di diritto”

Mentre l’Italia spinge per anticipare l’entrata in vigore del nuovo Patto su asilo e migrazione, l’UE la avverte: mancano strutture, regole e risorse. Al centro della questione c’è anche il protocollo con l’Albania, che rischia di restare fuori dal perimetro delle norme europee. Per Asgi il problema è più profondo: la distanza crescente tra le scelte politiche e i principi fondamentali del diritto.
A cura di Francesca Moriero
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A pochi mesi dall’approvazione del nuovo Patto europeo su migrazione e asilo, l’Italia guarda a Bruxelles con la speranza di anticiparne l’entrata in vigore. L’obiettivo è chiaro: rendere pienamente operativo l’accordo stretto con l’Albania, che prevede la gestione di una parte delle procedure per i migranti soccorsi in mare al di fuori del territorio nazionale. Ma mentre Roma spinge sull’acceleratore, l’Europa segnala che qualcosa non torna: nella sua relazione pubblicata a giugno, la Commissione europea ha infatti evidenziato come l’Italia sia ancora lontana dall’essere "pronta": manca l’individuazione delle aree dove dovrebbero sorgere i nuovi centri di frontiera, non risultano avviate le gare d’appalto, e non c'è poi alcuna traccia di una pianificazione finanziaria dettagliata. Se la situazione non cambierà in tempi brevi, si rischia di non rispettare la scadenza fissata per la piena applicazione del Patto, prevista nell’aprile 2026.

Il caso Albania: fuori giurisdizione europea

È proprio in questo scenario che si inserisce l’accordo con l’Albania, presentato dal governo italiano come una svolta nella gestione dei flussi migratori; ma per Bruxelles, quel modello resta ai margini del nuovo impianto normativo. L’Albania, infatti, non fa parte dell’Unione europea e, proprio per questo, non rientra nelle regole che impongono agli Stati membri di istituire centri di frontiera solo all’interno del proprio territorio o in aree sotto giurisdizione comunitaria. Nei documenti ufficiali dell’UE non compaiono né Gjader né Shëngjin, località indicati dall’Italia per ospitare i migranti trasferiti secondo il protocollo. Anche se operative, quelle strutture potranno al massimo servire da luoghi di trattenimento per chi è già stato respinto e attende il rimpatrio. Nulla a che vedere, insomma, con la gestione delle domande d’asilo o con l’applicazione delle nuove procedure di frontiera previste dal Patto.

Centri in Italia: pochi, sottoutilizzati e fragili sul piano legale

Sul territorio italiano, la situazione non è molto diversa: in questo momento esistono infatti solo due centri operativi dedicati alla procedura di frontiera, uno a Pozzallo e l’altro a Porto Empedocle, con una capienza complessiva di poco più di 150 posti. Entrambi sono destinati a ospitare persone provenienti da Paesi considerati “sicuri”, per le quali si prevede una valutazione accelerata della domanda d’asilo. In gran parte dei casi, però,  i provvedimenti di trattenimento vengono annullati dai giudici. Il motivo? Mancano le garanzie previste dal diritto europeo: dal diritto alla difesa, al controllo giurisdizionale effettivo. Tutti elementi che la Corte di giustizia dell’UE ha ribadito in una sentenza pubblicata lo scorso marzo, e che ora diventano cruciali per valutare la compatibilità del sistema italiano con il nuovo assetto normativo. Un terzo centro era stato annunciato in Puglia, ma a oggi non è stato formalmente istituito: non ci sono gare d’appalto né indicazioni chiare su dove e quando sarà realizzato. Anche su questo punto, la Commissione invita l’Italia a "rafforzare gli sforzi" per garantire che le nuove regole possano essere applicate entro la scadenza prevista. Ma il tempo stringe.

Asgi: "Governo italiano restio a riconoscere piena tutela del diritto di asilo e alla protezione internazionale"

"La pronuncia della Corte di giustizia è importante, ma non arriva come un fulmine a ciel sereno", spiega a Fanpage.it il giurista Dario Belluccio, membro dell’Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione (Asgi). "La Corte richiama ampiamente le sue precedenti decisioni che avevano già affermato che ogni provvedimento in materia deve potere essere oggetto di contestazione da parte del singolo e sottoposto a verifica da parte dell'autorità giudiziaria. Si ribadiscono alcuni principi fondamentali: il diritto di difesa e il primato del diritto dell'Unione europea sulle leggi nazionali nelle materie (come quella dell'asilo) oggetto di regolamentazione a livello europeo". Secondo Belluccio, il cuore del problema è che: "Il governo italiano, come altri in Europa, sembra restio ad accettare proprio questi principi dello Stato di diritto e, ancor prima, il riconoscimento pieno del diritto d’asilo e della protezione internazionale. Questo è il vero nodo politico, che traspare anche dalla lettura del nuovo Patto sulle migrazioni e l'asilo".

Una distanza che rischia di trasformare le nuove regole in uno strumento puramente formale, privo di efficacia concreta e che potrebbe così alimentare  un doppio fallimento: da un lato l’incapacità di costruire una rete funzionante di strutture e procedure, dall’altro la tentazione di eludere, anziché attuare, le garanzie fondamentali previste dalla legge. In gioco quindi, non ci sarebbe solo l’efficienza del sistema, ma la sua stessa legittimità democratica.

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