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La 194 è ormai obsoleta: perché serve una nuova legge per garantire l’accesso all’aborto sicuro

In Cassazione è stata depositata una proposta di legge di iniziativa popolare sull’aborto sicuro e informato, che punta a un chiaro superamento della 194/78, una legge ormai obsoleta e che non è più sufficiente a garantire l’accesso all’interruzione di gravidanza.
A cura di Jennifer Guerra
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I Radicali italiani hanno deposto in Cassazione una proposta di legge di iniziativa popolare sull’aborto sicuro e informato, insieme ad altre cinque altre proposte che riguardano il contrasto povertà, i crediti alle imprese, le energie rinnovabili, la salvaguardia del suolo e la decriminalizzazione del sex work. Secondo i dirigenti radicali, la loro è “una proposta politica alternativa di reale partecipazione e opposizione al progressivo declino e all’orbanizzazione dell’Italia”. La deposizione in Cassazione è solo il primo passo per una legge di iniziativa popolare. A luglio comincerà infatti la raccolta firme (ne servono almeno 50mila), unitamente alla mobilitazione per la mancata realizzazione della piattaforma per raccogliere le firme digitali, il cui portale è pronto ma inutilizzato da mesi.

La legge sull’aborto, scritta insieme al comitato ‘Libera di abortire', punta a un chiaro superamento della 194/78, una legge ormai obsoleta e che non è più sufficiente a garantire l’accesso all’interruzione di gravidanza. Anzi, la “piena applicazione” di questa legge è diventato uno dei leitmotiv del governo Meloni, che non ha mai nascosto la sua contrarietà all’aborto. La “piena applicazione della 194” – il primo punto del programma elettorale di Fratelli d’Italia – si riferisce infatti alla prima parte della legge, dedicata alla “tutela sociale della maternità” e al “superamento delle cause dell’aborto”. La legge che 45 anni fa depenalizzò l’interruzione di gravidanza nel corso del tempo ha presentato il conto della sua natura di compromesso: le maglie larghe sull’obiezione di coscienza e l’idea secondo cui l’aborto è una concessione e non un diritto hanno creato delle storture nel sistema sanitario che fanno sì che il servizio non sia garantito in modo uniforme sul territorio.

Proprio a partire da questa consapevolezza, il progetto di legge presentato dai radicali va nella direzione opposta: il testo si apre con un articolo sulla tutela e promozione dei diritti riproduttivi, secondo cui “lo Stato tutela la libertà riproduttiva e ne riconosce la centralità per la salute fisica, psichica e sociale della cittadinanza oltre che per il raggiungimento della piena autodeterminazione della persona gestante”. Dal punto di vista pratico, l’aborto sarebbe consentito entro le 14 settimane e non più entro i 90 giorni, seguendo il limite stabilito in Francia, in Spagna e in Romania (mentre in Svezia e nei Paesi Bassi il limite è superiore). Oltre le 14 settimane, si potrebbe ricorrere all’aborto in caso di patologie del feto. Mentre la 194 fa riferimento a “un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito”, la nuova proposta di legge non prevede la sussistenza di condizioni particolari per accedere all’aborto, se non oltre il limite delle 14 settimane. Inoltre, cambierebbero anche le norme sull’aborto delle minorenni, rendendo possibile interrompere la gravidanza senza l’autorizzazione dei genitori o del giudice a partire dai 16 anni.

Un altro passaggio importante della proposta è che gli accertamenti medici necessari all’aborto “non possono essere rivolti a condizionare la determinazione della persona gestante”. Quello che accade molto spesso, infatti, è che quando una donna va in un consultorio o dal medico per il certificato necessario ad accertare lo stato di gravidanza, il personale cerchi di convincerla a cambiare idea, appellandosi al “superamento delle cause dell’aborto”. Per questo la legge sottolinea esplicitamente che “il personale medico interpellato non può opporsi al rilascio del certificato ai fini dell’interruzione di gravidanza”. In realtà, questo non è possibile anche secondo la legge 194, che limita l’obiezione di coscienza soltanto alle procedure dell’aborto, mentre in questo caso si tratta solo di firmare un certificato che conferma la gravidanza in corso. Anche una sentenza del Tar della Puglia del 2010 ha confermato l’illegittimità di questa pratica.

Sempre a proposito di obiezione di coscienza, la nuova proposta non la prevede, eccetto per i medici che si siano già dichiarati obiettori prima dell’eventuale entrata in vigore della legge, i quali dovrebbero comunque confermarla entro 30 giorni. L’obiezione sarebbe valida “per le sole attività da cui dipenda l’interruzione di gravidanza secondo un nesso causale immediato e diretto” e lo Stato dovrebbe garantire il servizio “in capo alle strutture sanitarie”, ovvero non sarebbe più possibile l’esistenza di strutture obiettrici al 100%, che invece sono rese possibili dalla legge 194 che non specifica in quali modi vada garantito il servizio di aborto. La legge prevede anche un registro delle obiezioni consultabile dai cittadini, un’iniziativa che si aggiunge ai numerosi articoli della proposta dedicati alla corretta informazione e alla trasparenza.

Al momento, infatti, non solo la 194/78 non riesce più a garantire un accesso libero e uniforme all’interruzione di gravidanza, ma è anche molto difficile conoscere i dati sull’applicazione della legge e la relazione al ministero della Salute non è sufficiente. Il problema è che questa legge, che ha svolto a suo tempo un ruolo fondamentale per la depenalizzazione dell’aborto, non solo è invecchiata, ma è anche diventata “intoccabile”. Ripetendo come un mantra: “Nessuno tocchi la 194”, non ci si è accorti che i problemi che oggi incontra una donna che vuole interrompere la gravidanza sono in parte causati o comunque facilitati da questa legge. Dopo il fallimento dei referendum abrogativi del 1981, non sono stati fatti altri tentativi di migliorarla, nonostante in questi 45 anni la società sia cambiata e la medicina si sia evoluta. La recente approvazione della legge sull’aborto a San Marino, che supera la 194/78 adeguandosi a una realtà che cambia, dimostra che una legge migliore sull’aborto è possibile. E che questa potrebbe essere l’occasione per cominciare a discuterla.

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Jennifer Guerra è nata nel 1995 in provincia di Brescia e oggi vive in provincia di Treviso. Giornalista professionista, i suoi scritti sono apparsi su L’Espresso, Sette, La Stampa e The Vision, dove ha lavorato come redattrice. Per questa testata ha curato anche il podcast a tema femminista AntiCorpi. Si interessa di tematiche di genere, femminismi e diritti LGBTQ+. Per Edizioni Tlon ha scritto Il corpo elettrico. Il desiderio nel femminismo che verrà (2020) e per Bompiani Il capitale amoroso. Manifesto per un Eros politico e rivoluzionario (2021). È una grande appassionata di Ernest Hemingway.
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