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Conflitto Israele-Palestina e in Medio Oriente

Intervista a Francesca Albanese: “Mi attaccano perché i giovani mi seguono, ma non mi interessano le candidature”

La relatrice Onu per i diritti umani in Palestina replica agli attacchi mediatici di questi giorni e invita a proseguire la mobilitazione. “È proprio quando cessano le bombe che cala l’attenzione”.
Intervista a Francesca Albanese
Relatrice speciale dell'ONU per i diritti umani in Palestina
A cura di Antonio Musella
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Francesca Albanese al Festival Rumore di Fanpage – ph Mauro Scrobogna
Francesca Albanese al Festival Rumore di Fanpage – ph Mauro Scrobogna
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La relatrice speciale dell'Onu per i diritti umani nei territori palestinesi occupati, Francesca Albanese, è finita al centro di diversi attacchi nelle ultime settimane. Attacchi mediatici, ma anche da parte dei politici dell'area di governo e dei leader dei partiti di centro destra. Un'offensiva che però segue la popolarità mondiale che Albanese ha ormai raggiunto.

La giurista italiana è diventata un punto di riferimento di un movimento che in tutto il mondo è sceso nelle piazze in solidarietà con il popolo palestinese, i contenuti dei suoi rapporti sulle politiche di occupazione israeliane e sugli interessi economici che hanno accompagnato il genocidio a Gaza, viaggiano sulle gambe di milioni di persone che nel mondo hanno riempito le piazze.

La sua analisi critica del piano di pace di Trump e Netanyahu e alcuni scontri televisivi e mediatici sono diventati il pretesto per una campagna di accuse nei suoi confronti che ha trovato ampio spazio negli ambienti della destra italiana e degli esponenti di governo, che proprio sulla Palestina stanno vivendo un momento di crisi di consenso molto forte e senza precedenti nell'esperienza del governo di Giorgia Meloni.

Francesca Albanese a Fanpage.it ha voluto precisare alcune delle sue posizioni e spiegare il suo punto di vista sull'offensiva mediatica nei suoi confronti.

Partiamo dal tuo punto di vista sulla prima fase dell'accordo raggiunto sul piano di pace a Gaza, e sulla proposta della seconda fase, su cui ancora non c'è accordo e che prevederebbe la creazione di un protettorato a guida statunitense nella Striscia di Gaza

La cosa positiva è che si sono fermate le bombe, che la gente di Gaza sia tornata a respirare, perché sono stati, soprattutto gli ultimi sei mesi, di una violenza incredibile. Provo grande sollievo a pensare che ci sarà il ritorno degli ostaggi israeliani e la liberazione dei prigionieri palestinesi, tra cui so che c'è tanta gente innocente che marciva nelle prigioni israeliane senza accusa e senza processo. Tutto questo è senza prezzo. Il resto mi lascia molto scettica, non c'è pace senza diritti, cento anni di storia palestinese ci insegnano questo. Dall'epoca della colonizzazione britannica in Palestina, che i palestinesi non hanno più diritti, soprattutto oggi nel 2025, questa dovrebbe essere la preoccupazione principale. Non si parla di smantellare l'occupazione, non si parla della Cisgiordania, si parla della ricostruzione di Gaza in modo molto pericoloso, i palestinesi non ci sono, nemmeno in questo ipotetico intervento di massiccia ricostruzione, al più vengono cooptati. Soprattutto in questo piano non c'è giustizia, chi pagherà per tutto quello che è stato distrutto, non solo alla parte fisica, ma all'anima del popolo palestinese? Bisogna portare davanti alla giustizia, ai tribunali internazionali, coloro che questo genocidio lo hanno ordito e lo hanno portato a termine. Io temo che questo cosiddetto piano di pace possa portare al compimento di quello che il genocidio non è riuscito a fare, cioè l'oppressione definitiva del popolo palestinese, almeno a Gaza, scacciando quanta più gente è possibile che non sarà in grado di vivere, mentre si intraprende la cosiddetta ricostruzione.

Ci sono ministri italiani che dicono che ora c'è la pace e non bisogna più manifestare, tu cosa rispondi?

Purtroppo è un fraintendimento fatto da chi non conosce i processi di negoziato per risolvere i conflitti, perché insomma non basta vergare la parola "pace" su un documento perché la pace immediatamente si realizzi. Soprattutto se non sono stati presi in considerazione i diritti violati e i motivi stessi per cui continua ad esserci violenza. Queste cose può dirle solo chi ha poca conoscenza della Palestina, perché lì si parla di processo di pace da trenta anni e spesso ci si è messi d'accordo su tregue che non hanno mai retto. Chi conosce quella terra si rende conto che è un commento carico di superficialità. Bisogna invece continuare a mobilitarsi, questo è quello che ci stanno chiedendo i palestinesi e gli israeliani, che insieme ai palestinesi, vogliono la fine del genocidio e la fine dell'occupazione e dell'apartheid. Ci dicono di non distogliere lo sguardo adesso, perché è proprio quando si fermano le bombe che c'è il rischio maggiore di far calare l'attenzione.

Bisogna continuare a mobilitarsi quindi?

La persone devono continuare a mobilitarsi, e capire anche quali sono le modalità di pressione. Le manifestazioni sono importanti come momento di aggregazione e di ricognizione, però servono azioni concrete e mobilitazioni per bloccare le armi che ancora viaggiano verso Israele attraverso i nostri porti, in violazione della legge internazionale e della Costituzione. Poi serve un boicottaggio serio, è tempo di una mobilitazione strategica e mirata, bisogna fare pressione sulle aziende affinché disinvestano e sui governi affinché taglino le relazioni con Israele. Questo è proprio necessario, è quello che si fa contro uno Stato che pratica l'apartheid.

Hai ricevuto in queste settimane molti attacchi, il primo è stato su un tuo presunto attacco alla senatrice Liliana Segre durante un dibattito televisivo in cui hai deciso di lasciare lo studio, ti chiedo di precisare il tuo punto di vista

Il mio moto di sdegno non è dovuto alla pronuncia del nome della senatrice Segre, ci mancherebbe, lei non c'entra niente, è la strumentalizzazione della storia e del vissuto di questa donna che viene utilizzata per zittire il dibattito sul genocidio, che invece deve essere definito e chiarito all'interno di una cornice giuridica che lo disciplina. È quello che dovrebbe guidare il dibattito, le norme e l'analisi legale, invece si zittisce, è questo quello che succede. Poi c'è anche la stanchezza di stare a discettare di cose così serie con gente che non ne sa niente, io rappresento una istituzione, a un certo punto mi stanco. Io avrei dovuto non accettare l'invito, ma siccome ero stata invitata da sola sono stata troppo educata, quando ho visto i partecipanti avrei dovuto dire che non mi sarei seduta con loro. Forse ho sbagliato, avrei dovuto parlare prima di andarmene, ma subentra anche la stanchezza.

Poi c'è l'esempio dei milanesi che protestano di sera, pur dovendosi svegliare la mattina per andare a lavorare prima dei napoletani. È una battuta che avevi fatto anche al Festival di Fanpage.it eppure nessuno aveva equivocato le tue parole. Cosa ti senti di dire su questa polemica?

Al massimo dovevano essere i milanesi a sentirsi presi in giro. Mi dispiace per la polemica, e mi dispiace di aver scoperto questo tratto così permaloso e incapace di cogliere la serietà del momento, che è venuta da parecchi napoletani. Anche alla marcia Perugia – Assisi però ho trovato tanti napoletani che mi hanno rinnovato il loro supporto. Ma sai cos'è, io non trovo importante che io sia simpatica o antipatica, io non voglio essere celebre, io voglio semplicemente essere ascoltata. C'è un genocidio e avviene anche con i nostri soldi e con le nostre armi, lo vogliamo fermare oppure no? Questa è la cosa importante, è su questo che bisogna concentrarsi, non su quanto io sia simpatica, antipatica o modaiola, queste cose lasciano il tempo che trovano. E sono convinta che con il popolo napoletano ci sarà modo di recuperare l'abbraccio.

È un caso secondo te che questi attacchi arrivano da un pezzo del mondo dei media che per due anni ha fatto fatica anche solo a pronunciare la parola genocidio?

C'è un sistema mediatico, fatto di questa stampa qui che ancora nega il genocidio, ma sapendo che la negazione del genocidio fa parte del genocidio stesso, è una di quelle componenti che permette di creare quel terreno fertile affinché si continui nella disumanizzazione delle vittime. Ma non è solo questo, si sono espressi in tanti che sono considerati moderati, io credo che ci sia qualcosa di più, credo che ci sia una misoginia di fondo che si esprime nei miei confronti in modo fortissimo perché bisogna delegittimare chi viene visto da gran parte degli italiani, soprattutto i giovani, come un punto di riferimento.

Un po' come è successo con Greta Thunberg?

Esatto. Questo tipo di donna che parla con autorevolezza, Greta nell'ambito delle lotte ambientali, io nell'ambito del diritto e spiegando che la politica non è svincolata dal diritto. Ecco questa cosa fa tremare, fa tremare i benpensanti e fa tremare chi vede in tutto questo una irriverenza, ma anche chi ha timore che dietro tutto questo ci sia una forza politica. Loro sbagliano, le forze di destra in questo momento sbagliano a pensare che la mia finalità sia quella di fare politica, perché non è questo. Ma quello che non vedono è che questo messaggio, ovvero che il diritto deve vincolare la politica, è esso stesso politico, e sta svegliando le coscienze.

Si finisce per misurare il fare politica come finalizzato esclusivamente a una candidatura, sembra essere quello il problema: se ti vuoi candidare o meno

Ma figurati. Io ho la mia vita, amo fare le mie cose, ho i miei progetti e certe cose le lascio a loro. La politica non la lascio a loro, cerco di convincere gente seria e preparata, e soprattutto i più giovani ad impegnarsi nella politica, perché veramente il futuro dipende da come loro si muovono in questo presente.

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