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In Italia la profilazione razziale esiste ma il Governo non vuole che si sappia e non raccoglie i dati

Già nel 2024 e ora, anche nel 2025, il Consiglio d’Europa ha denunciato pratiche di profilazione razziale da parte della polizia italiana. Il governo ha reagito duramente, ma sul campo il problema resta. Fanpage.it ne ha parlato con Matteo Astuti responsabile del progetto Medea, di ASGI.
A cura di Francesca Moriero
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Non è la prima volta che l'Italia finisce sotto la lente del Consiglio d'Europa per il comportamento delle proprie forze dell'ordine. Già nell'ottobre 2024, infatti, un report dell'ECRI, l'organismo contro il razzismo dell'organizzazione di Strasburgo, aveva denunciato pratiche di profilazione razziale sistematica anche da parte della polizia italiana, in particolare verso cittadini stranieri o percepiti come tali. La reazione del governo Meloni allora fu durissima: la presidente del Consiglio liquidò le accuse come "ingiurie" verso "donne e uomini in divisa che meritano rispetto", mentre Salvini, Piantedosi, Delmastro e Nordio si allinearono accusando l'ECRI e il Consiglio d'Europa di attacchi infondati e addirittura proponendo, nel caso della Lega, il taglio dei fondi. Otto mesi dopo, con un nuovo documento dell'ECRI che riporta le risultanze del lavoro di ottobre diventa il pretesto, per riaprire la questione. Ma per chi lavora sul tema, il problema non si è mai chiuso. Lo conferma Matteo Astuti, operatore legale, membro di ASGI che da anni, insieme a diverse associazioni e collettivi anti-razzisti studia e documenta le pratiche discriminatorie alle frontiere e nel territorio nazionale, e lo fa partendo da un nodo tanto semplice quanto emblematico: non esistono dati ufficiali pubblici che permettano di capire quanto sia diffusa la profilazione etnico-razziale da parte delle forze dell'ordine in Italia. Ecco perché, forse, proprio per questo, il fenomeno riesce a mimetizzarsi.

Il buco nero dei dati: "Non esistono, l'unico modo per ottenerli è monitorare spazi pubblici e fare dispendiose osservazioni"

"Il vero cortocircuito di tutto questo sistema è che non esistono dati ufficiali. Questo significa che se vogliamo capire se la profilazione razziale esiste ed è sistemica, dobbiamo impiegare molto tempo e risorse nell’osservazione del fenomeno", spiega Astuti. E questo è esattamente ciò che ha provato a fare ASGI negli ultimi anni, in particolare attraverso i progetti Medea e Antidiscriminazione, sempre con il prezioso supporto di altre realtà, quali il progetto Yaya di Ferrara. Tutto comincia alla stazione di Ventimiglia, snodo cruciale ai confini tra Italia e Francia: "Abbiamo rilevato una pratica sistematica della polizia: impedire l'accesso ai binari a persone nere o comunque razzializzate, per evitare che salissero sui treni diretti in Francia". Il monitoraggio è stato intenso e partecipato, documentato per mesi. E ciò che è emerso è un quadro inequivocabile: "Una prassi strutturale, non episodi isolati".

Controlli e discriminazioni: i numeri che il governo non vuole vedere

Dal lavoro sul campo si è passati poi a quello di ricerca giuridica e statistica: "Abbiamo inviato una segnalazione al CERD, il comitato ONU per l'eliminazione della discriminazione razziale", racconta Astuti. E anche in quel caso il nodo è tornato a essere lo stesso: i dati non esistono ufficialmente, oppure sono conservati in database a cui è difficilissimo accedere. Ma nel 2024, fu proprio una inchiesta pubblicata da La Repubblica ad allarmare, evidenziando dati che riferivano di un ricorso generalizzato al controllo di polizia estremamente diffuso oltre 54 milioni di persone controllate in un anno.

Nessun rimedio, nessuna prova: il vuoto giuridico

Il problema, tuttavia, non è solo quantitativo, ma anche e soprattutto giuridico: "Quando una persona viene fermata dalla polizia e ritiene di esserlo stata solo per il colore della pelle, non ha alcun provvedimento da impugnare: non riceve alcun documento, non c’è traccia. E quindi, come lo dimostri?". Questa assenza di tracciabilità rende impossibile quindi per le persone profilate accedere a rimedi effettivi. Gli organismi formalmente deputati alla raccolta di segnalazioni relative a pratiche discriminatorie esistenti ricevono pochissime segnalazioni: "Non solo perché poco conosciuti, ma anche perché non sono organi completamente indipendenti,", denuncia Astuti.

Soluzioni? Sì, ma la politica sembra ignorarle

Eppure, strumenti per contrastare la profilazione esistono. Alcuni sono tecnici, come il codice identificativo per gli agenti o le bodycam. Ma, oltre a tutti questi importanti e necessari strumenti, la proposta aggiuntiva che avanza ASGI è un'altra: "Se ogni controllo generasse un atto formale, una ricevuta, un verbale, anche sintetico, consegnato alla persona fermata, allora ci sarebbe una traccia. E quella traccia potrebbe diventare prova in caso di discriminazione". Ma fino ad oggi, l'Italia sembra ancora molto lontana da questa prospettiva. Anzi, la risposta istituzionale sembra andare proprio nella direzione opposta. "Le reazioni del governo a questo tipo di richiami, prima lo scorso ottobre, ora di nuovo, appaiono scomposte", osserva Astuti. Meloni, infatti, anche questa volta difende "senza se e senza ma" le forze dell'ordine, Salvini attacca il Consiglio d'Europa, mentre una parte dell'esecutivo sembra attivamente delegittimare ogni forma di controllo esterno sul rispetto dei diritti fondamentali. E non sembra un caso, dice Astuti, che questa nuova ondata di polemiche arrivi mentre si discute del nuovo decreto sicurezza e dopo che il governo ha promosso un documento per limitare l'autonomia della Corte europea dei diritti dell'uomo. Il tutto mentre le segnalazioni internazionali si susseguono ormai da tempo: "Non solo il Consiglio d'Europa, ma prima anche il CERD e l'EMLER (un meccanismo di monitoraggio indipendente), due organismi dell'ONU, hanno denunciato questi fenomeni negli ultimi anni", ricorda.

Non possiamo dunque dire con certezza scientifica che in Italia la profilazione razziale sia sistematica, perché non abbiamo i dati. Ma possiamo dire che gli elementi raccolti fino ad ora in Italia indicano chiaramente un problema serio, strutturale e negato da una parte della politica. Ed è proprio su questo cortocircuito, tra mancanza di trasparenza, assenza di strumenti giuridici e rimozione politica, che si alimenta il rischio che la discriminazione si trasformi in sistema. Invisibile, ma presente, ogni giorno.

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