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Il Tribunale di Trapani sospende il fermo della nave Mediterranea e smentisce il decreto Piantedosi

Con un’ordinanza cautelare, il Tribunale di Trapani ha sospeso il fermo amministrativo della nave ONG Mediterranea Saving Humans. Il giudice ha dichiarato illegittimo il provvedimento del Ministero dell’Interno, riconoscendo la piena legittimità delle scelte compiute dall’equipaggio: agire in favore della vita e della dignità umana.
A cura di Francesca Moriero
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Il 23 agosto scorso, la nave Mediterranea Saving Humans aveva soccorso in mare dieci persone al largo della Libia, tra cui tre minori non accompagnati. Inizialmente era stato assegnato il porto di Genova come luogo di sbarco, ma l'equipaggio aveva deciso di fare rotta su Trapani, ritenendo il lungo viaggio potenzialmente dannoso per le condizioni fisiche e psicologiche dei naufraghi. Questa scelta era costata alla nave una sanzione pesante da parte del Ministero dell'Interno, che aveva disposto 60 giorni di fermo amministrativo e una multa di 10mila euro. Secondo il Ministero, la decisione della ONG rappresentava una violazione delle indicazioni delle autorità italiane.

La decisione del Tribunale

A seguito del ricorso presentato dal comandante e dall'armatore della nave, il Tribunale civile di Trapani, con ordinanza cautelare firmata dalla giudice Federica Emanuela Lipari, ha disposto però la sospensione del fermo amministrativo. Nell'ordinanza che Fanpage.it ha potuto visionare, il Tribunale sottolinea l'illegittimità del provvedimento ministeriale, almeno per quanto riguarda la proporzione della sanzione, e mette in discussione l'intero impianto giuridico dell'azione amministrativa. La giudice riconosce soprattutto la legittimità sostanziale delle scelte compiute dalla ONG: la rotta alternativa verso Trapani è stata presa "a tutela delle persone tratte in salvo", in particolare in considerazione della loro "vulnerabilità e fragilità, sia sul piano fisico che psicologico". Le azioni dell'equipaggio sono dunque qualificate come mosse da "esclusivo spirito solidaristico", e quindi perfettamente in linea con i principi del diritto internazionale marittimo.

Le condizioni a bordo: tra fragilità fisica e trauma psicologico

A sostegno delle valutazioni del Tribunale ci sono poi anche i documenti sanitari ufficiali redatti nei giorni immediatamente successivi al soccorso. Già il 22 agosto, una relazione firmata dalla Dott.ssa Colaiza, dell'Ufficio di Sanità Marittima e di Frontiera di Lampedusa, certificava la presenza di tre casi di scabbia, un uomo con tosse persistente, due con ferite lacero-contuse, e una condizione generale di forte stress psicologico tra tutte le persone migranti. La relazione invitava esplicitamente a ridurre al minimo i tempi di navigazione, per evitare un aggravamento delle condizioni mentali dei sopravvissuti.

Il giorno successivo, al momento dello sbarco a Trapani, il Direttore dell’Unità Territoriale USMAF, Dott. Giuseppe Giugno, confermava le criticità: tre casi di scabbia, un sospetto caso di tubercolosi già isolato, e un trauma psicologico diffuso dovuto al naufragio. I migranti avevano raccontato di essere stati gettati in mare da due trafficanti libici incappucciati e di aver visto quattro compagni affogare sotto i loro occhi: "Questo trauma lo si leggeva in tutti gli sguardi", scriveva il medico. Era stato quindi raccomandato supporto psicologico immediato e sorveglianza sanitaria attiva.

Il giudizio del Tribunale: la solidarietà sopra ogni ordine

Nella sua decisione, la giudice Lipari chiarisce che, anche ammesso ci sia stata una "trasgressione" alle indicazioni dell'autorità, questa è avvenuta per un fine superiore, ovvero la salvaguardia della vita e della salute in mare, obiettivo che ogni Stato dovrebbe promuovere in base agli obblighi del diritto internazionale. Il Tribunale afferma che trattenere la nave rischierebbe di pregiudicare le attività umanitarie e solidaristiche della ONG, considerate "particolarmente meritevoli di tutela poiché finalizzate alla salvaguardia della vita umana".

Una sconfitta per il Viminale

Nonostante il Ministro dell'Interno, Matteo Piantedosi, avesse apertamente sostenuto la linea dura, cercando di fare del caso Mediterranea un esempio punitivo per scoraggiare tutta l'attività delle ONG, il Tribunale ha ribaltato completamente la narrativa istituzionale, riportando al centro la centralità del diritto e la necessità di tutelare diritti fondamentali, come la vita e la dignità delle persone.

Con la sospensione del fermo, la nave di Mediterranea potrà tornare operativa. Lo farà con il riconoscimento formale che le sue scelte non solo sono state giuste, ma anche legalmente fondate e moralmente doverose. In un clima spesso avvelenato da propaganda e semplificazioni, questa sentenza rimette al centro un principio basilare, e cioè che la solidarietà non è reato.

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