Il governo Meloni ammette che senza migranti l’economia italiana non regge

Non servono editoriali indignati né prese di posizione progressiste per affermare che l'immigrazione regolare è oggi un elemento vitale per la tenuta dell'economia italiana. A sostenerlo, però, questa volta, è direttamente il governo guidato da Giorgia Meloni, attraverso le parole messe nero su bianco nella relazione tecnica che accompagna il decreto flussi per il triennio 2026-2028. Un documento firmato dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, che, con un linguaggio tecnico ma inequivocabile, riconosce che la crescita economica italiana dei prossimi anni dipenderà in larga parte dall'ingresso programmato di quasi mezzo milione di lavoratori stranieri. È una dichiarazione che sorprende, se si considera la narrazione pubblica dell’esecutivo, da sempre incentrata sulla necessità di "fermare gli sbarchi" e proteggere i confini. Eppure, nella pianificazione reale delle politiche migratorie, emerge una consapevolezza molto diversa: senza un flusso costante e ordinato di manodopera estera, il sistema produttivo non sarà in grado di reggere la pressione del ricambio generazionale e delle trasformazioni demografiche in corso. Le stesse imprese, d'altronde, segnalano da anni una crescente difficoltà nel reperire personale nei settori chiave: dall’agricoltura alla logistica, dall’edilizia all’assistenza familiare.
Il lavoro che gli italiani non fanno più
Il decreto, approvato ufficialmente lo scorso 3 luglio, prevede l'ingresso di 497mila lavoratori stranieri regolari in tre anni. Non sarebbe solo una questione di numeri: la novità sta nella cornice politica in cui questo provvedimento viene collocato. Palazzo Chigi afferma infatti che il canale dell'immigrazione legale non è soltanto uno strumento di controllo o di gestione dei flussi, ma l'unica leva concreta per garantire continuità e competitività al sistema economico italiano. Non si parla più solo di tolleranza, ma di necessità strutturale.
C'è poi anche un secondo obiettivo, più strategico: rafforzare i percorsi regolari di ingresso per rendere più credibile il contrasto all'immigrazione irregolare; in questa visione, l'espansione degli ingressi autorizzati serve non solo a coprire le carenze del mercato del lavoro, ma anche a costruire relazioni più stabili con i Paesi di origine e a limitare i fenomeni di sfruttamento e lavoro nero. In altre parole, il governo sembra voglia promuovere una migrazione "funzionale", che si integri con le esigenze produttive nazionali e allo stesso tempo contribuisca a svuotare il campo alle rotte irregolari.
Dal click day alla programmazione triennale
Rispetto al passato, l'incremento è evidente: dai poco meno di 70mila ingressi autorizzati nel 2021 si passerà a oltre 160mila già nel 2026. Il meccanismo dei "click day", spesso criticato per la sua inefficienza, verrà gradualmente superato da una programmazione triennale più stabile e prevedibile. Il documento, insomma, sembra mostrare il volto meno ideologico dell'attuale governo: quello che, almeno sulla carta, riconosce come indispensabile ciò che spesso viene descritto come un problema da arginare. E che, pur mantenendo una retorica pubblica intransigente, si ritrova a fare i conti con una realtà ineludibile: l'Italia senza migranti non può andare avanti. E questa volta, non lo dice la sinistra. Lo dice Palazzo Chigi.