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Il governo ha fatto poco o nulla contro la violenza di genere: non basta dire alle donne di chiamare il 1522

In poco più di due anni il governo ha fatto poco sul fronte della prevenzione della violenza contro le donne. Il ministro dell’Istruzione Valditara pochi giorni fa ha puntato il dito contro l’immigrazione clandestina, dimostrando di non sapere mettere a fuoco il problema. E intanto i dati su violenze sessuali, stalking e femminicidi risultano in aumento.
A cura di Jennifer Guerra
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Nel programma elettorale di Fratelli d’Italia non c’era menzione del contrasto alla violenza di genere, ma in quello firmato con l’intera coalizione del centrodestra si parlava di "azioni incisive e urgenti per il contrasto al crescente fenomeno della violenza nei confronti delle donne", senza ulteriori specificazioni. Dopo poco più due di anni di governo, possiamo dire che queste "azioni incisive e urgenti" non si sono viste.

Il governo ha rifinanziato il Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità istituito nel 2006 con un pacchetto da 135 milioni in tre anni, una cifra senz’altro importante, ma il resto è stato discutibile: il flop dei braccialetti elettronici, l’incognita del progetto del ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara "Educare alle relazioni", la scarsità dei fondi destinati alla prevenzione. In più, la ridefinizione dell’intesa Stato-Regioni, che stabilisce i criteri per la ripartizione dei fondi, rischia di snaturare il lavoro che da molti anni i centri femministi fanno sul territorio italiano, rendendo vaga la definizione di cosa sia e come operi un “centro antiviolenza”.

Spesso si dice che quando si tratta di violenza di genere, i fatti contano più delle parole. Ma in questo caso, visto che di fatti ce ne sono pochi, non restano altro che le parole dei suoi rappresentanti a mostrarci cosa pensa questo governo della violenza di genere. In generale, come denunciato anche da ActionAid nel report “Oltre le parole. Narrazione politica e percezione pubblica sulla violenza maschile contro le donne”, la nostra classe politica parla poco di violenza di genere: in un anno, solo l’1,2% dei post social dei politici italiani è stato dedicato al tema. Il problema non riguarda però solo la quantità, ma anche la qualità delle parole spese. L’ultima prova l’ha data proprio Valditara, che la scorsa settimana è intervenuto all’inaugurazione della Fondazione Giulia Cecchettin con un videomessaggio in cui affermava che il patriarcato è finito con la riforma dello stato famiglia del 1975 e che l’aumento della violenza di genere va collegato anche all’immigrazione clandestina. Travolto dalle critiche, è stato difeso dalla premier Giorgia Meloni, che ha parlato di “dati” (non si sa quali) che confermano ciò che ha detto Valditara sull’immigrazione e anche dalla ministra della Natalità Eugenia Roccella, che è intervenuta per dire che dire che il patriarcato non esiste è un esercizio di “libera opinione” e che oggi esso si manifesta comunque in “nuove forme”.

Ed è proprio in questa espressione della ministra che si manifesta la visione del governo sulla violenza di genere. Come ha fatto notare il ricercatore Massimo Prearo, Roccella ha usato questa espressione in diverse occasioni per riferirsi a due fenomeni: da un lato la cosiddetta “ideologia gender”, dall’altro il fatto che in Italia arrivano persone da Paesi “non occidentali” in cui il femminismo non si sarebbe affermato. In due anni di lavoro, Roccella ha firmato un ddl che ha rafforzato le misure cautelari del Codice rosso e ora si dovrà occupare di stendere un nuovo Piano antiviolenza, anche se finora il suo impegno maggiore è stato il contrasto alla gestazione per altri o al gender. Le iniziative del ddl che porta il suo nome in alcuni casi si sono rivelate inefficaci, come nel caso dei braccialetti elettronici, ma soprattutto mostra come questo governo ritenga che la violenza di genere si debba affrontare come una questione di pubblica sicurezza e non come un fenomeno strutturale e culturale. È un fatto positivo che si aprano più centri antiviolenza o che si faccia formazione alle forze dell’ordine, ma che non va alla radice del problema.

Se il governo fosse pienamente convinto che si tratta di un “problema culturale”, come ha ammesso anche Valditara, agirebbe sulla prevenzione, un settore su cui a dirla tutta anche i governi precedenti hanno fatto fatica a investire risorse importanti. Ma questo significherebbe inserirsi in un ambito che la destra non ha alcuna intenzione di toccare: la “continuità educativa” di cui hanno parlato Valditara e Roccella, ovvero l’idea che sia la famiglia il luogo deputato a fare certi discorsi legati alla sessualità e al genere. Si tratta di un caposaldo di questo governo, che ha stretti legami con l’associazionismo pro-family e pro-life che difende da anni la cosiddetta “libertà educativa” e che bolla ogni iniziativa di educazione su questi temi come “indottrinamento”. A settembre, ad esempio, la Commissione cultura della Camera ha approvato una risoluzione contro “il gender nelle scuole” proposta presentata dal leghista Rossano Sasso, che definì l’educazione sessuale una “porcheria”.

E quindi come pensa il governo di risolvere il problema della violenza di genere? Aprire centri antiviolenza e case rifugio è necessario, ma non può essere l’architrave del sistema di contrasto alla violenza, perché l’idea è che in futuro di quei centri ce ne sia sempre meno bisogno. E invece la rete di cav D.i.Re – Donne in rete contro la violenza nei primi 10 mesi del 2024 ha accolto il 14% in più di donne rispetto al 2023. Per Giorgia Meloni basta avere “occhi aperti e testa sulle spalle”, come disse lo scorso anno commentando le affermazioni del suo ex compagno Andrea Giambruno sul fatto che le ragazze che si ubriacano rischiano di trovare “il lupo”. Per due anni consecutivi, il messaggio della premier per il 25 novembre è stato un invito alle donne a chiamare il 1522, oltre che una celebrazione dell’impegno del governo sulla questione.

Ma poi cosa succede una volta chiamato il 1522? E cosa succede se a chiamare il 1522 è una donna che dice di essere stata stuprata dal figlio del presidente del Senato? Se è trascorso, a suo parere, troppo tempo, e se la donna aveva fatto presumibilmente uso di stupefacenti, il suo racconto “lascia oggettivamente molti dubbi”. È normale che un padre tenti di proteggere il figlio da un’accusa così grave e La Russa ha tutto il diritto di credere che suo figlio sia innocente, ma quel padre è anche uno dei più alti rappresentanti delle istituzioni e del governo e, se già commentare indagini in corso è inopportuno dato il suo ruolo, poteva farlo perlomeno senza minare la credibilità di chi ha denunciato. Altrimenti non si capisce cosa voglia fare davvero il governo con questo problema: bisogna prevenire, ma non si può farlo a scuola. Bisogna cambiare la cultura, ma non ci si rivolge mai agli uomini. Bisogna contrastare, ma l’immigrazione clandestina, non la violenza sulle donne. Bisogna denunciare, ma solo se si risponde al profilo della vittima perfetta. E intanto gli unici dati che contano, quelli su violenze sessuali, stalking e femminicidi, ci dimostrano che a dispetto dei proclami auto-celebrativi di questo governo, la violenza di genere sta solo aumentando.

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Jennifer Guerra è nata nel 1995 in provincia di Brescia e oggi vive in provincia di Treviso. Giornalista professionista, i suoi scritti sono apparsi su L’Espresso, Sette, La Stampa e The Vision, dove ha lavorato come redattrice. Per questa testata ha curato anche il podcast a tema femminista AntiCorpi. Si interessa di tematiche di genere, femminismi e diritti LGBTQ+. Per Edizioni Tlon ha scritto Il corpo elettrico. Il desiderio nel femminismo che verrà (2020) e per Bompiani Il capitale amoroso. Manifesto per un Eros politico e rivoluzionario (2021). È una grande appassionata di Ernest Hemingway.
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