I numeri nascosti della manovra certificano che il concordato preventivo è un flop

Appena un anno fa, il concordato preventivo biennale veniva descritto dal governo come una sorta di pietra filosofale, i cui incassi sarebbero stati in grado di trasformare in realtà le promesse. Un anno dopo, nell'ultima manovra, si sono perse le tracce di quello che doveva essere il perno della riforma fiscale di Meloni E che invece, secondo i calcoli dello stesso esecutivo, nella nuova edizione avrà delle dimensioni mignon, rispetto ai già deludenti incassi della prima versione.
I numeri stanno nascosti in una tabella alla pagina 75 di uno degli allegati alla legge di bilancio, quello sullo stato di previsione delle entrate dello Stato. Qua sono indicate le entrate previste per il 2026 dalla seconda edizione del concordato preventivo biennale, destinato ai contribuenti che applicano gli indici di affidabilità (Isa), le cosiddette pagelle fiscali.
Stando alle previsioni del ministero dell'Economia, nel 2026 gli introiti derivanti dalle imposte sostitutive – pagate dai soggetti Isa che aderiscono al concordato – sulla parte di reddito eccedente rispetto all'anno precedente all'applicazione della norma saranno pari a 218 milioni di euro. A questi si aggiungono 28 milioni ottenuti dalle partite Iva sottoposte al regime forfettario. Soldi di cui non è ben chiara l'origine, visto che i "forfettari" sono esclusi dalla nuova versione del concordato. I numeri in ogni in picchiata rispetto al biennio 2024-2025, per cui si è calcolato (sull'affidabilità dei numeri torneremo dopo) un incasso complessivo di 1,6 miliardi di euro in due anni.

A questo punto è necessario ricordare le coordinate del provvedimento del governo Meloni. Sulla base di una serie di indicatori, l'Agenzia delle Entrate propone a lavoratori autonomi e piccole imprese una stima dei loro redditi da lavoro e impresa, su cui pagare le tasse nei due anni successivi. Se i soggetti interessati aderiscono, sulla parte del reddito eccedente rispetto all'anno precedente, pagano una tassa piatta, diversa a seconda del loro indice di affidabilità fiscale. Per il periodo coperto dal patto con il fisco, è escluso quasi qualsiasi altro controllo sulle dichiarazioni dei redditi.
La prima edizione del concordato per gli anni 2024-2025 avrebbe visto la partecipazione di circa 584mila soggetti. La replica di quest'anno per il 2025-2026 invece vedrebbe coinvolti solo 55mila contribuenti. Il condizionale è d'obbligo, perché questi numeri sono ricavati solo da dichiarazioni del viceministro dell'Economia Leo alla stampa, mentre non risultano pubblicati dati ufficiali. In ogni caso, stando a queste cifre, è evidente il crollo di adesioni alla misura.
Certo, ci sono delle specifiche da fare. Numero uno: come detto, la prima edizione del concordato interessava anche le partite Iva forfettarie, che ora invece sono escluse. Secondo punto, ovviamente, chi aveva accettato il patto con il fisco nel 2024 non ha potuto usufruire della nuova versione. Sta di fatto che, se l'anno scorso solo il 17 percento su un totale di oltre due milioni e 700mila soggetti Isa aveva accettato il concordato, quest'anno la misura si è dimostrata molto meno attrattiva, per la larga fetta di contribuenti che avrebbero potuto aderire. Detto in altre parole, in pochi hanno cambiato idea in questi dodici mesi, dopo aver visto gli effetti pratici della misura.
Dal lato del governo, si continua a guardare il bicchiere mezzo pieno, rilevando come, grazie alla norma, quasi 200mila contribuenti sono risaliti sopra la soglia di affidabilità, secondo le pagelle del Fisco. Senza un'inversione di tendenza sui numeri, però, viene da chiedersi a questo punto se l'anno prossimo avrà senso lanciare una terza edizione del concordato. O se, invece, l'aggettivo biennale si rivelerà un triste presagio, sulla durata della vita di quella che doveva essere la rivoluzione fiscale del governo Meloni.