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I giuristi spiegano perché la missione della Global Sumud Flotilla è legale e Israele non può fermarla

Con una lettera aperta ASGI, Giuristi Democratici e Comma 2 correggono le “affermazioni contrarie al diritto internazionale espresse anche da esponenti del Governo italiano”, spiegando che attacchi e minacce israeliani sono illegittimi, che la missione umanitaria è legale e che anche l’Italia ha l’obbligo di proteggerne la traversata.
A cura di Roberta Covelli
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Mentre le navi della Global Sumud Flotilla cercano di aprire un corridoio umanitario verso Gaza, nonostante la massiccia e costante presenza di droni, la musica che interrompe le trasmissioni radio per innescare panico e gli attacchi che hanno costretto alcune delle imbarcazioni a fermarsi, il dibattito politico rischia di perdere di vista il diritto internazionale. Quasi tutte le dichiarazioni, dalle più polemiche alle più empatiche, da Giorgia Meloni a Sergio Mattarella, sembrano infatti basarsi sulla realpolitik, e quindi sull’accettazione rassegnata che il più potente abbia ragione a prescindere. Così, tra un insulto e un invito alla mediazione, la legge del più forte diventa la norma.

Sullo sfondo resta, ignorato, il diritto internazionale. Anche per questo ASGI (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione), i Giuristi Democratici e Comma2 – Lavoro è dignità, tre realtà di giuristi impegnate nella difesa dei diritti fondamentali, hanno pubblicato una lettera per spiegare perché il comportamento della Global Sumud Flotilla è legale, "soprattutto alla luce – scrivono – di una serie di affermazioni contrarie al diritto internazionale espresse anche da esponenti del Governo italiano".

Dalla terra al mare: l’inefficacia giuridica degli atti illeciti

La prima obiezione sollevata riguarda le acque israeliane, che israeliane non sono (checché sostenga il ministro Crosetto in parlamento). I giuristi segnalano infatti un principio di diritto di base: non si possono riconoscere effetti giuridici ad annessioni territoriali illecite. Di conseguenza, concludono, "è illecito qualsiasi riconoscimento di sovranità territoriale israeliana sul mare antistante Gaza".

Il riconoscimento dell’illiceità dell’occupazione israeliana, e dunque anche delle pretese di sovranità sulle acque territoriali palestinesi, è stato di recente ribadito anche dalla Corte Internazionale di Giustizia, oltre che dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite. La prima, il 19 luglio 2024, ha ribadito la presenza illecita israeliana nei territori occupati e ha sottolineato l’obbligo degli Stati (tra cui anche l’Italia) di "vigilare affinché sia posto fine a ogni ostacolo all’esercizio del diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione derivante dalla presenza illecita di Israele nel Territorio palestinese occupato". La seconda, con la risoluzione del 13 settembre 2024, ha imposto a Israele un anno (ormai scaduto) per porre fine all’occupazione, vietando nel contempo agli altri Stati di riconoscere effetti giuridici a questo atto illegale.

A prescindere dall’occupazione, che riguarda le acque territoriali, la tutela dei membri della Global Sumud Flotilla deve essere garantita a maggior ragione nelle acque internazionali, dove vige il principio inderogabile della libertà di navigazione. Questo non è solo un principio pattizio, ma un vero e proprio cardine del diritto consuetudinario del mare, codificato dall’UNCLOS (Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare). L’UNCLOS, sottoscritta tanto dall’Italia quanto dallo Stato di Palestina, vincola in larga parte anche Israele: le sue disposizioni fondamentali (come quelle sulla libertà di navigazione) hanno natura cogente, cioè si applicano indipendentemente dalla ratifica, essendo parte del diritto internazionale consuetudinario. Israele, peraltro, aveva già ratificato a Ginevra, nel 1958, il nucleo di quelle norme, potendo sottrarsi soltanto alle ulteriori previsioni introdotte con la Convenzione del 1982.

Il diritto umanitario contro il genocidio: dalle convenzioni di Ginevra alle ordinanze della Corte Internazionale di Giustizia

Se anche si volessero ignorare le questioni sulla sovranità e sull’occupazione, e si considerasse quindi lecito il blocco navale israeliano, questo non potrebbe comunque impedire l’accesso a convogli umanitari. Più forte della sovranità, e valido pure in guerra, è infatti il diritto umanitario.

In particolare, con la Quarta Convenzione di Ginevra, agli articoli 23 e 55, si stabilisce l’obbligo per le parti in conflitto di garantire il passaggio di viveri e medicinali ai civili nei territori occupati. Per questo un blocco che abbia come finalità, o anche solo come effetto, quello di affamare la popolazione è non solo illegittimo, ma integra un crimine di guerra e un crimine contro l’umanità.

A confermarlo sono anche le ordinanze della Corte Internazionale di Giustizia emesse nel 2024. Nelle decisioni del 26 gennaio, 28 marzo e 24 maggio, la Corte ha imposto a Israele di assicurare l’arrivo di beni di prima necessità alla popolazione di Gaza come misura urgente di prevenzione del genocidio.

In questo quadro, i giuristi ribadiscono che ogni attacco contro le navi della Global Sumud Flotilla costituisce un atto illecito di uso della forza. Al contrario, sarebbe legittimo (e doveroso) l’intervento di protezione da parte di navi militari italiane, chiamate a garantire la sicurezza di persone che, trovandosi su imbarcazioni battenti bandiera italiana, rientrano sotto la giurisdizione dello Stato. Al diritto della popolazione civile di ricevere viveri e medicinali e al diritto degli attivisti alla sicurezza corrisponde infatti l’obbligo degli Stati di garantire e tutelare questi diritti, anche mediante interventi di protezione quando necessari.

L’eccezione e la regola: una disobbedienza che non disobbedisce

La lettera di ASGI, Giuristi Democratici e Comma 2 ha il merito di dare una risposta giuridica autorevole alle obiezioni politiche. E questa risposta permette di osservare un paradosso di questa missione umanitaria: coloro che sembrano ribelli, pronti a sfidare l’autorità, sono in realtà i soli a comportarsi secondo le regole del diritto internazionale.

Nella storia civile, la disobbedienza è stata spesso il gesto necessario per ribaltare norme ingiuste: dall’esempio della tragedia greca, con Antigone che rivendica un dovere più profondo delle leggi della polis, a Rosa Parks che rifiuta di alzarsi dal posto sull’autobus negli Stati Uniti segregazionisti. Quando la legge è ingiusta, l’etica si oppone frontalmente all’ordinamento.

Oggi però la situazione si capovolge: le leggi giuste esistono già (codificate nelle convenzioni internazionali, ribadite dai tribunali) ma vengono sistematicamente ignorate o sospese di fronte alla forza. Così, la vera disobbedienza civile consiste non tanto nel violare la legge, ma nel continuare ad applicarla quando i governi la tradiscono.

Nel 2025, in mare, la disobbedienza non disobbedisce. E chi, all’asciutto, osserva la lecita traversata della Global Sumud Flotilla verso un popolo vittima di crimini contro l’umanità, dovrebbe ricordare l’ammonimento di Brecht, all’inizio del suo L’eccezione e la regola:

E — vi preghiamo — quello che succede ogni giorno

non trovatelo naturale.

Di nulla sia detto: è naturale

in questo tempo di anarchia e di sangue,

di ordinato disordine, di meditato arbitrio,

di umanità disumanata,

così che nulla valga

come cosa immutabile.

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Nata nel 1992 in provincia di Milano. Si è laureata in giurisprudenza con una tesi su Danilo Dolci e il diritto al lavoro, grazie alla quale ha vinto il premio Angiolino Acquisti Cultura della Pace e il premio Matteotti. Ora è assegnista di ricerca in diritto del lavoro. È autrice dei libri Potere forte. Attualità della nonviolenza (effequ, 2019) e Argomentare è diabolico. Retorica e fallacie nella comunicazione (effequ, 2022).
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