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I giudici del Csm si sono davvero alzati gli stipendi di 700mila euro?

Dopo la sentenza della Corte costituzionale che ha cancellato il tetto alle retribuzioni, il Consiglio superiore della magistratura approva una variazione di bilancio. Ma il Csm chiarisce: non si tratta di aumenti né di elargizioni ai consiglieri, bensì di un accantonamento tecnico imposto dalla legge.
A cura di Francesca Moriero
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La recente sentenza della Corte costituzionale ha segnato un punto di svolta nella disciplina delle retribuzioni pubbliche, dichiarando illegittimo il tetto massimo che per anni aveva fissato un limite anche ai compensi dei magistrati e dei componenti del Consiglio superiore della magistratura. Quel vincolo non era soltanto simbolico, ma rappresentava un parametro contabile preciso, utilizzato per costruire le previsioni di spesa e per contenere il costo complessivo degli emolumenti. Con la sua cancellazione, il quadro normativo è cambiato così in modo sostanziale; non si tratta di una scelta discrezionale del Csm, ma di una conseguenza diretta di una decisione della Consulta che impone a tutte le amministrazioni interessate di rivedere i propri bilanci alla luce delle nuove regole.

La delibera del plenum: approvata la variazione di bilancio

Alla luce di questo nuovo scenario, il plenum del Consiglio superiore della magistratura ha approvato all'unanimità, nella seduta odierna, la delibera sulla variazione di bilancio e sul bilancio di previsione per il 2026; decisione arrivata dopo la relazione del vicepresidente Fabio Pinelli, che riguarda l'adeguamento delle voci di spesa collegate ai compensi dei consiglieri laici e togati. Nel documento contabile compare uno stanziamento di circa 700 mila euro, cifra che ha immediatamente attirato l'attenzione e sollevato critiche, alimentando l'idea di un possibile aumento delle indennità a favore dei membri del Consiglio.

La precisazione del Csm: "Accantonamento tecnico, non aumenti"

Proprio per evitare interpretazioni fuorvianti, il Csm ha accompagnato la delibera con una chiarificazione formale: nel suo intervento in plenum, il vicepresidente Pinelli ha spiegato che lo stanziamento non corrisponde ad alcun aumento di stipendio né a somme distribuite ai consiglieri. Si tratta, ha sottolineato, di un accantonamento di bilancio previsto dalla legge, reso necessario dalla sentenza della Corte costituzionale: una posta contabile iscritta in via prudenziale, che non comporta esborsi immediati e serve soltanto a tenere i conti in ordine nel nuovo quadro normativo. In assenza del tetto retributivo, infatti, le regole della contabilità pubblica impongono di registrare risorse potenziali, anche se queste non vengono utilizzate né producono effetti diretti sulle retribuzioni.

Perché i 700 mila euro non sono soldi "in tasca" ai consiglieri

Dal punto di vista sostanziale, i 700 mila euro non rappresentano una spesa già effettuata né un beneficio economico certo per i consiglieri del Csm; non si tratta cioè di assegni aggiuntivi, né di indennità già liquidate, ma di una copertura prudenziale che serve a garantire la correttezza dei conti in un contesto normativo mutato. Ogni eventuale modifica concreta delle indennità, infatti, richiederebbe passaggi successivi, ulteriori delibere e, soprattutto, risorse strutturali autorizzate nelle future leggi di bilancio. Nulla di tutto questo è stato deciso con l'atto approvato oggi.

Un passaggio obbligato, non una scelta politica

Il Csm insiste poi su un punto: la variazione di bilancio non è una scelta politica di auto-attribuzione di benefici economici, ma un adempimento tecnico conseguente a una sentenza della Consulta. L'obiettivo è evitare irregolarità contabili e garantire che il bilancio sia coerente con il nuovo assetto normativo.

La linea ufficiale dell'organo di autogoverno è quindi molto chiara: dopo la sentenza che ha eliminato il tetto alle retribuzioni, era necessario intervenire sui conti. Ma questo intervento, almeno allo stato attuale, non si traduce in aumenti di stipendio né in elargizioni ai consiglieri.

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