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Covid 19

Governo e regioni hanno lasciato i malati a casa: così sono nati i focolai Covid in famiglia

Il contagio all’interno delle famiglie è considerato dagli esperti uno dei maggiori mezzi di trasmissione dal Covid. I medici consigliano di portare i pazienti positivi con sintomi non gravi negli hotel, dove posso stare davvero in isolamento. Il governo aveva previsto questa ipotesi già a inizio emergenza. Ma i trasferimenti negli alberghi sono iniziati solo a fine marzo e ancora oggi Protezione Civile, esecutivo e regioni si muovono poco, tardi e spesso con scarsi risultati.
A cura di Marco Billeci
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In questi giorni, gli esperti insistono sempre di più sulla necessità di portare il maggior numero possibile di persone positive al Covid fuori dalle mura domestiche. Una misura essenziale anche per quei pazienti che presentano sintomi lievi – per cui non serve il ricovero in ospedale – ma che se non adeguatamente isolati rischiano di infettare chi vive con loro. Questo tipo di esigenza era chiara al governo almeno dal 6 marzo scorso. Protezione Civile, Regioni ed esecutivo però si sono mossi tardi e in modo confuso. Se la curva dei contagi non scende ancora in modo deciso, forse è anche a causa di questo ritardo.

Il peso del contagio nelle famiglie

“I focolai sono nelle case”, ha avvertito lo scorso 12 aprile Massimo Galli, infettivologo dell’Ospedale Sacco di Milano. “Bisogna porre più attenzione all’isolamento in strutture dedicate o alberghi”, ha spiegato il professore tornando a battere un tasto su cui aveva già insistito nelle ultime settimane. Anche il ministro per gli Affari Regionali Francesco Boccia ha sottolineato lo stesso tema parlando in commissione alla Camera il 14 aprile. Già il 21 marzo scorso d’altra parte la questione era stata sollevata dal viceministro alla Salute Pierpaolo Sileri in un’intervista Fanpage. Appena terminato il periodo di quarantena dopo la positività al Coronavirus, Sileri aveva parlato partendo dalla propria esperienza personale: “Io ho una situazione che mi ha consentito a casa di dividermi da mia moglie e da mio figlio, ma per molti non è così”.

Requisire gli alberghi. Anzi no

Di alberghi svuotati dai turisti da adibire a ricoveri per pazienti Covid d’altronde in questo periodo ce ne sono in abbondanza in tutta Italia. E già nella bozza del decreto sull’urgenza sanitaria arrivata in Consiglio dei Ministri il 6 marzo scorso si prevedeva per i prefetti la facoltà di “requisire strutture alberghiere idonee a ospitare persone in sorveglianza sanitaria e isolamento fiduciario o in permanenza domiciliare” qualora non fosse possibile attuare queste misure in all’interno del proprio domicilio.

La norma però è sparita dalla versione finale del decreto, dopo aver suscitato diverse polemiche da parte di chi parlava di tentativo di esproprio. Una disposizione simile poi è rispuntata all’interno del Cura Italia approvato a metà marzo. All’articolo 6 si stabilisce che i prefetti possono requisire hotel o immobili con caratteristiche simili, per ospitare i pazienti Covid. Per i proprietari è prevista un’indennità mensile pari allo 0,42 percento del valore dell’immobile. A mettere in moto il meccanismo di requisizione, dice il decreto, deve essere una richiesta della Protezione Civile.

In realtà dagli uffici del commissario Borrelli input di questo tipo non ne sono mai arrivati e si sono privilegiati invece accordi su base locale con le strutture e le associazioni di categoria. Risultato, secondo quanto riferito a Fanpage, nessuna requisizione è stata effettuata e oggi la Protezione Civile non ha idea di quanti hotel in Italia siano stati riconvertiti in ricoveri per chi è affetto da Coronavirus, né quanti posti siano effettivamente occupati. L’unico dato messo a disposizione è quello dei 6800 letti nelle caserme, usati però soprattutto per la quarantena degli italiani tornati dall’Estero. Per il resto, ancora una volta, tutto è demandato all’azione degli enti locali che però si sono attivati solo a fine marzo, dopo che il Cura Italia ha agitato lo spettro delle requisizioni.

Il caos della Lombardia

“Si stanno muovendo le singole le province, o forse l’assessorato al Welfare. Ma la cosa non è gestita dalla Protezione Civile nazionale? Dubito che ci sia un progetto regionale”. La confusa risposta che ci arriva dallo staff di Pietro Foroni – assessore lombardo al Territorio e alla Protezione Civile –spiega da sola la difficoltà di avere un quadro completo degli immobili disponibili per isolare i pazienti Covid fuori dalla propria abitazione nella regione più colpita dal Coronavirus. Eppure la giunta regionale ha dato il via libera agli accordi con gli alberghi, anche se solo il 30 marzo. In quella data l’assessore alla Sanità Giulio Gallera ha annunciato che nei successivi quindici giorni sarebbero stati aperti 3mila posti per le cosiddette degenze di sorveglianza situati “in strutture sanitarie, sociosanitarie o ricettive, dove collocheremo le persone dimesse dagli ospedali o le persone che arrivano dal territorio”. In visita a Bergamo l’11 aprile Gallera ha parlato di 381 posti nella sola provincia già attivati o da attivare a breve.

Capire però quanti di questi letti siano effettivamente disponibili e occupati è “un’impresa”, per stessa ammissione degli uffici della Protezione Civile regionale. Seguendo le indicazioni che ci sono state fornite, abbiamo contattato tre numeri diversi.  Alla fine una risposta la abbiamo avuta: non esistono al momento dati certi.  Nonostante gli annunci, a quanto ci è stato riferito, la Regione si sta organizzando solo in questi giorni per effettuare una ricognizione degli accordi stipulati dalle Asst nei diversi comuni e arrivare poi a comunicare i dati complessivi dei posti effettivamente attivati.

Intanto sul tema è scoppiata la polemica tra organi regionali e Comune di Milano. L’assessore meneghino all’Urbanistica Pierfrancesco Maran ha denunciato la situazione dell’Hotel Michelangelo, albergo vicino alla Stazione Centrale di Milano convertito in albergo Covid da fine marzo. Qui solo un terzo dei 300 posti utilizzabili per le degenze di sorveglianza sono stati sfruttati dall’Ast competente. Secondo Maran, altri quindici alberghi disponibili a svolgere questa funzione sono tenuti in stand-by.

C’è da dire peraltro che la delibera lombarda del 30 marzo è particolarmente generosa con i proprietari delle strutture. Il compenso previsto per ogni posto letto utilizzato per le degenze di sorveglianza dei paucisintomatici è di 150 euro al giorno, una cifra tra le tre e le cinque volte superiore a quella stabilita in altre regioni per servizi dello stesso tipo. Questo tipo di retribuzione sembra tagliata più su misura delle cliniche private che degli hotel.

Il modello della Toscana

Un caso molto diverso alla Lombardia è quello della Toscana. La giunta di Enrico Rossi è stata la prima in Italia a stabilire il 18 marzo la possibilità di stipulare convenzioni con alberghi e strutture ricettive per effettuare soggiorni Covid. Tra le sedi attivate c’è anche il centro di Coverciano, luogo dei ritiri della nazionale di calcio. Il 7 aprile una nuova delibera ha cercato di dare maggior impulso al progetto, prevedendo che le Asl offrano a tutte le persone positive al tampone che non necessitano un ricovero in ospedale, la possibilità di trascorrere il periodo di isolamento fuori casa, assistite da medici e infermieri. I pazienti possono rifiutare il trasferimento firmando un foglio di rinuncia, ma l’invito è di accettare la sistemazione. Il rimborso previsto per gli hotel è di circa 30 euro al giorno, con l’obbligo di servire i pasti e fornire l’assistenza di base, come il cambio della biancheria e delle lenzuola.

Tuttavia anche in Toscana il progetto stenta a decollare. Secondo i dati forniti dall’ufficio stampa della Regione Toscana a Fanpage, attualmente nell’area di Massa, Carrara, Pisa, Lucca e Livorno i posti disponibili sono 248, quelli occupati 56. Nella zona di Firenze, Prato e Pistoia su 328 posti disponibili, 154 sono occupati. Infine nel territorio di Arezzo, Siena e Grosseto i letti a disposizione sono 44, manca il dato di quelli effettivamente utilizzati.

Dal Piemonte alla Campania, i ritardi delle regioni

In un'altra regione duramente colpita dal virus come il Piemonte, di usare gli alberghi per l’isolamento dei pazienti si è iniziato a parlare solo dal 7 aprile. Lo stesso giorno la giunta regionale del Veneto ha approvato i criteri per individuare hotel idonei a ospitare persone malate al costo di 50 euro al giorno (pasti e servizi compresi), ma solo in caso di carenza di letti in ospedale. In Trentino il 14 Aprile il presidente dell’Ordine dei Medici ha scritto una lettera ai vertici della provincia per invitarli ad agire in questo senso. Nel Lazio a fare da apripista è stato un accordo a fine marzo tra il Policlinico Gemelli e l’Hotel Marriott, nelle cui 162 camere però trovano posto solo pazienti dimessi dagli ospedali. Oggi nella regione sono disponibili 30 hotel per un totale di 2mila posti. Al momento sono in uso 550 letti che accolgono pazienti Covid che non necessitano di ricovero, persone negative al tampone ma che hanno avuto contatti diretti con positivi e  persone senza fissa dimora.

Spostandosi a sud, in Puglia solo l’11 Aprile la regione ha firmato un accordo quadro con le associazioni di categoria. L’intesa prevede la possibilità accogliere negli hotel anche il personale medico o paramedico che non vuole esporre al rischio i propri cari, i pazienti dimessi dagli ospedali dopo tampone negativo e le 1500 persone stimate sul territorio regionale a cui, pur in assenza di tampone, è stata indicata la necessità di un periodo di isolamento. La Protezione Civile s’impegna ad acquisire tutte le camere delle strutture che verranno utilizzate, riconoscendo una remunerazione di 30 euro più Iva a stanza, indipendentemente dal fatto che questa sia riempita o no.

Oltre che negli alberghi, le degenze di sorveglianza si potrebbero svolgere nelle cliniche o case di cura private rimaste inattive. Per stessa ammissione dell’Aiop, però, quasi nessuna ha dato disponibilità in questo senso perché le remunerazioni proposte non sono state considerate allettanti rispetto ai costi da sostenere. Fa eccezione la Campania, dove nel protocollo firmato tra regione e sanità privata si prevede anche la possibilità di trattare pazienti paucisintomatici in alternativa all’isolamento domiciliare. Le cliniche che offriranno questo servizio riceveranno l’anticipo del 95 percento del budget mensile riconosciuto dalla Regione a ogni struttura privata coinvolta nell’emergenza Covid. Una cifra, come abbiamo documentato, molto superiore rispetto alla media nazionale. Dalla Protezione Civile regionale invece nulla risulta ancora essersi mosso sul fronte degli hotel, al di là di iniziative di singoli sindaci. Questo nonostante proprio nelle ultime ore il governatore De Luca abbia lanciato l’allarme sui contagi familiari nella regione.

Insomma anche da una ricostruzione parziale della situazione, si capisce come per prevenire la trasmissione del virus  all’interno delle famiglie ci si sia mossi poco e tardi. Rimane da capire come ciò abbia impattato fino a oggi sulla diffusione della malattia e cosa potrebbe succedere se i contagiati dovessero aumentare ancora nei grandi palazzi delle periferie dei centri urbani, dove un corretto isolamento è impossibile.  Per uscire dall’emergenza è considerata cruciale la capacità di individuare subito possibili nuovi focolai e sterilizzarli. In questo senso isolare presto e in modo netto i positivi, mettendo in sicurezza chi vive con loro, sembra un passo essenziale.

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