Giustizia, cosa c’è nella riforma del Csm che verrà votata la prossima settimana alla Camera

Via libera dalla commissione Giustizia alla Camera, dopo le fibrillazioni degli ultimi giorni con Italia Viva che aveva annunciato di non avere alcuna intenzione di votare il testo, alla riforma del Csm. Nello specifico, la commissione ha approvato il mandato al relatore sulla riforma del Consiglio superiore della magistratura e sull'ordinamento giudiziario: ha votato a favore la maggioranza, ad esclusione dei renziani, mentre si è espresso in maniera contraria Fratelli d'Italia. La riforma arriverà nell'Aula di Montecitorio il prossimo 19 aprile.
È stato approvato anche l'emendamento sulle cosiddette porte girevoli tra magistratura e politica. I magistrati eletti in Parlamento, ma anche quelli che assumono incarichi di governo ad esempio come ministri o sottosegretari, non potranno rientrare in magistratura alla fine del mandato. Saranno invece collocati a svolgere altri incarichi all'interno della Pubblica amministrazione. Discorso diverso, invece, per i magistrati che assumono ruoli particolari, come quello di capo di gabinetto: al termine del mandato resteranno fuori ruolo per un anno e per i primi tre non potranno assumere incarichi direttivi (o anche solo semidirettivi).
Un'altra novità della riforma riguarda il sistema elettorale misto: quello proposto per il Csm sarà binominale con quota proporzionale. I collegi binominali dovrebbero eleggere due componenti del Csm ciascuno, con una distribuzione a livello proporzionale di cinque seggi a livello nazionale per i giudicanti, mentre per i requirenti sarebbe previsto il recupero di un miglior terzo. I membri totali del Csm diventerebbero così 30, di cui tre (presidente della Repubblica, primo presidente e procuratore generale presso la Cassazione) di diritto: in sostanza, 20 togati e 10 laici.
Inoltre, la riforma non prevede che ci siano delle liste per le candidature. Ciascun candidato è libero di presentare il proprio nome per un collegio binominale: i candidati totali devono essere almeno sei e va rispettata la parità di genere. La riforma favorisce anche la formazione, punta a rendere più trasparenti le procedure di selezione e cerca di lasciare parola anche ai magistrati dell'ufficio del candidato sulle scelte per direttivi e semidirettivi.