Flotilla, agli italiani sequestrati da Israele è stato impedito di firmare i fogli per il rientro in Italia

Si moltiplicano le testimonianze degli attivisti e delle attiviste della Flotilla che hanno raccontato i maltrattamenti e le vessazioni vissute durante la detenzione in Israele. L'ultimo gruppo di italiani trattenuti illegalmente è rientrato lunedì dopo quasi una settimana dall'abbordaggio delle navi umanitarie. Molti di loro hanno denunciato le condizioni disumane a cui sono stati sottoposti prima di essere finalmente espulsi. Senza cibo e acqua per più di 24 ore, privati del sonno, umiliati e minacciati dalle autorità israeliane, gli attivisti hanno parlato di vere e proprie torture psicologiche, che in alcuni casi, come ha riportato il nostro giornalista Saverio Tommasi, sono sfociate anche in violenze fisiche.
I membri della missione hanno presentato degli esposti in cui si accusano le autorità israeliane per l'attacco con i droni che aveva colpito le imbarcazioni mentre si trovavano non lontano da Creta, in acque internazionali, alcuni giorni prima che venissero intercettate, e per il sequestro subito successivamente. Proprio su questo restano diverse cose da chiarire.
Prima ricapitoliamo brevemente quanto accaduto. Come si è potuto ricostruire in questi giorni dalle dichiarazioni di coloro che l'hanno vissuto in prima persona, le imbarcazioni abbordate sono state costrette a cambiare rotta e scortate fino al porto di Ashdod. Dopo l'identificazione, che ha richiesto parecchio tempo, gli attivisti sono stati portati in un certo di detenzione. Dei circa 40 italiani che hanno preso parte alla missione, 26 sono stati espulsi prima. Si tratta di coloro che, come aveva spiegato il ministro degli Esteri Antonio Tajani, hanno firmato il foglio di rilascio volontario e dunque non hanno dovuto attendere l'espulsione per via giudiziaria. Gli altri 15, che invece avrebbero deciso di non farlo, sono stati detenuti più a lungo.
Una distinzione che appariva teoricamente in linea con quanto spiegato dalla portavoce italiana della Global Movimento to Gaza, Maria Elena Delia, che in conferenza stampa aveva parlato di scelte concordate tra i membri della missione. "Chi rientra lo fa per raccontare, chi resta lo fa per tutela, con i nostri passaporti occidentali e privilegiati protezione dei compagni e delle compagne del Nord Africa che in questo momento sono chiusi nelle prigioni israeliane", aveva spiegato. "Il fatto che alcune persone stiano rientrando e altre abbiano deciso di non accettare il rito abbreviato, restando nelle prigioni israeliane, è conseguenza di quella scelta iniziale".
Purtroppo però, le cose non sembrerebbero essere andate esattamente così e tra coloro che sono stati detenuti più a lungo nel carcere israeliano, risulterebbero anche persone che avevano firmato il foglio per il rimpatrio immediato o che avevano deciso di farlo, ma a cui sarebbe stato comunque impedito. A confermarlo, a Fanpage.it, Yassine Lafram, presidente dell'Unione delle comunità islamiche d'Italia, che è rientrato qualche giorno fa assieme al primo gruppo di italiani: "So per certo di alcuni italiani che facevano parte del gruppo tornato per ultimo e che avevano espresso la volontà di firmare il foglio per essere rimpatriati entro le 72 ore ma non gli è stato concesso", ci dice. "Li ho incontrati mentre venivamo trasferiti da una cella all'altra. Io personalmente ho subito interrogatori e un processo farsa avanti a un giudice, che alla fine, ha emesso la sentenza: deportation".
Una versione confermata da José Nivoi, portavoce del Collettivo autonomo dei lavoratori portuali di Genova e anche lui membro della Flotilla, in un video pubblicato sulla pagina Facebook del sindacato Usb dopo la sua liberazione: "Tutti avevamo deciso di firmare il foglio di espatrio ma non a tutti è stata data la possibilità di farlo come se Israele avesse deciso che un po' di italiani dovevano rimanere in carcere", ha dichiarato.
"Appena siamo venuti a conoscenza di ciò", ci dice l'europarlamentare Pd Annalisa Corrado, "abbiamo avvertito il ministro degli Esteri Antonio Tajani che ci ha detto che avrebbe verificato con l'ambasciatore e con il console". È chiaro che se le autorità israeliane hanno impedito ad alcuni connazionali di siglare i documenti necessari per il rimpatrio immediato e senza una valida motivazione, ci troveremmo davanti ad un'ulteriore violazione dei diritti delle persone illegalmente trattenute. Violazione che si aggiunge a quelle subite dai membri della Flotilla durante la detenzione e su cui bisognerà indagare per accertare colpe e responsabilità. "C'era un livello di arbitrarietà totale che loro (la polizia israeliana, ndr) usavano con sadismo nei confronti di tutti e che è tutto ancora da dimostrare", conclude Corrado.