
Proviamo a fare un gioco, immaginiamo di essere tornati in Italia dopo una lunghissima vacanza, durata, diciamo, una quarantina di anni. Apriamo un qualunque giornale per aggiornarci e leggiamo che la presidente del Consiglio sta accusando l’opposizione politica di aver “abbandonato la via democratica” e di essere impegnata a rovesciare l’assetto istituzionale del Paese per via giudiziaria. Di colpo trasaliamo e malediciamo la nostra scelta di essere tornati mentre il Paese è sull’orlo del caos, la tenuta delle istituzioni democratiche è a rischio, la magistratura è fuori controllo e sta procedendo con arresti e violazioni del diritto, il Parlamento è in tumulto e per le strade ci sono decine di migliaia di persone a manifestare.
Ecco, più o meno questo dovrebbe essere il quadro, se le parole contassero ancora qualcosa e non fossimo invece arrivati al punto in cui, per di più da ruoli di governo, si possono fare accuse gravissime e inquietanti per semplice tornaconto politico. Con una leggerezza imbarazzante, per tornare ai giorni nostri, Giorgia Meloni ha rilasciato alcune dichiarazioni che vanno esattamente in questa direzione. Dapprima, in un’intervista al Tg5 ha attaccato duramente la magistratura: “Io vedo un disegno politico intorno ad alcune decisioni della magistratura, particolarmente quelle che riguardano i temi dell’immigrazione, come se in qualche maniera si volesse frenare la nostra opera di contrasto all'immigrazione illegale. Ciononostante i flussi di immigrati illegali in Italia sono diminuiti del 60% e lavoriamo per fare ancora meglio”.
Ora, non è chiarissimo a cosa si riferisca nello specifico la leader di Fratelli d’Italia, anche perché il collega che l’ha intervistata non ha ritenuto di chiederglielo ed è passato a parlare di dazi. Dato il contesto, però, possiamo fare delle ipotesi. O meglio, possiamo dare un’interpretazione che tenga conto dei due fatti emersi negli ultimi giorni, che la destra e i suoi giornali hanno interpretato come segno della “guerra” tra politica e magistratura. Parliamo essenzialmente della sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea sui Paesi sicuri e delle decisioni del Tribunale dei ministri sul caso Almasri.
Fatti in tutta evidenza non collegati tra loro e certamente non imputabili alla “sinistra”, che la presidente del Consiglio tenta di manipolare con un’operazione molto discutibile: dare una cornice unitaria ed eversiva a iniziative legittime o veri atti dovuti.
La decisione della CGUE, ad esempio, parte da un ricorso pregiudiziale del Tribunale di Roma che intendeva verificare come andasse interpretata la normativa europea sui “Paesi sicuri”, in relazione alla procedura accelerata di frontiera che il nostro governo intende applicare ai migranti trasferiti nei centri in Albania. Per una spiegazione tecnica più dettagliata vi rimando a questo nostro approfondimento, ora è importante sottolineare un aspetto: i giudici europei non hanno affatto “bloccato i rimpatri”, né hanno fatto obiezioni rispetto alla possibilità che, a determinate condizioni, uno Stato indichi i paesi ritenuti sicuri per legge. La sentenza dice altre cose: che il migrante ha il diritto di conoscere i motivi per cui l’Italia reputa sicuro il suo Paese di origine (anche in ragione delle minori garanzie che prevede la procedura accelerata), che i giudici hanno “l’obbligo” di verificare che non siano intervenuti nuovi elementi “dopo l’adozione della decisione oggetto del ricorso” (ad esempio in caso di cambiamenti improvvisi della situazione politica nel Paese di rimpatrio) e di valutare anche altre informazioni, magari fornite dalle parti. Il tutto, va ribadito, riguarda la procedura accelerata, non quella ordinaria, che può essere applicata secondo le norme vigenti.
Per quanto sia deprimente doverlo addirittura scrivere, dunque, possiamo serenamente affermare che non c’è alcuna volontà della CGUE di interferire nelle scelte del governo Meloni in tema di politiche migratorie. C’è semplicemente un richiamo al rispetto del diritto e delle norme comunitarie. L'ostinazione nel pensare di far funzionare i centri in Albania, malgrado il diritto internazionale, lo spreco di denaro pubblico e un'oggettiva inutilità, sta diventando quasi ossessione.
La concomitanza temporale della sentenza con le determinazioni del Tribunale dei ministri sul caso Almasri, poi, ha aiutato la destra a fare quello che sa fare meglio: buttare tutto in un unico calderone, sperando nell'effetto caciara. Anche in questo caso vi rimando a un nostro approfondimento, tuttavia è interessante notare come Giorgia Meloni abbia scelto di adottare l'approccio vittimista anche in presenza di una richiesta di archiviazione. Il senso è sempre lo stesso: eludere il merito della questione per spostare la discussione su un altro piano, presentando ai cittadini l'idea dello "scontro" con la magistratura. Nello specifico, il merito è l'aver garantito un rimpatrio con tutti gli onori del caso e con un comodissimo volo di Stato a un uomo accusato di crimini gravissimi e nei cui confronti pendeva un mandato della Corte Penale Internazionale. Ecco che portare il dibattito su un altro piano ha il duplice scopo di oscurare la debolezza della linea difensiva del governo e alimentare una polemica funzionale a polarizzare le opinioni sulla riforma della giustizia in corso di approvazione in queste settimane. Lo fa esplicitamente Giorgia Meloni nella prosecuzione dell'intervista con il Tg5, parlando del caso Almasri come di una "conseguenza" della riforma e dicendo di averlo "messo in conto".
So già cosa state pensando, non è la prima volta che da Palazzo Chigi si urla al tentato golpe giudiziario. Lo ha fatto decine di volte Silvio Berlusconi, con alterne fortune sul piano del ritorno in termini di consenso. Meloni però stavolta è riuscita a fare il passo in più, aggiungendo un elemento nuovo: attribuire direttamente l'azione eversiva ai suoi oppositori politici usando come pretesto non un'inchiesta, un'azione della magistratura, un provvedimento "a orologeria". Ma semplicemente l'annuncio di un esposto di un partito di opposizione, Avs, alla Corte Penale Internazionale per verificare se il nostro governo sia complice dei crimini israeliani a Gaza (la tesi di Bonelli e Fratoianni è che, riguardo alle forniture dei armi a Tel Aviv, i membri del governo possano essere "ritenuti penalmente responsabili, se si dimostra che erano consapevoli che la loro attività ha agevolato crimini internazionali").
Come traduce questa richiesta la presidente del Consiglio? Così: "Alcuni esponenti della sinistra ormai hanno un’unica strategia e speranza: provare a liberarsi degli avversari per via giudiziaria, perché alla via democratica hanno rinunciato da un pezzo".
Insomma, l'accusa è di eversione. Di lavorare di concerto con la magistratura per abbattere il governo, peraltro in forme non democratiche. Mentre, parallelamente, i magistrati mettono in atto ritorsioni contro il governo che sta cercando di riformare la giustizia. Siamo sicuri che, tornando dopo quarant'anni in Italia, la prima domanda che ci faremmo è: ma al Quirinale tutto bene?
