Entrare irregolarmente nell’Ue con minori affidati non è favoreggiamento: la sentenza della Corte di Giustizia

Martedì 3 giugno 2025, la Corte di Giustizia dell'Unione Europea ha pronunciato una sentenza destinata a segnare una tappa cruciale nell'evoluzione del diritto europeo in materia di immigrazione. I giudici di Lussemburgo hanno stabilito infatti che un cittadino di un Paese terzo, entrato irregolarmente nel territorio dell'Unione accompagnando minori di cui ha effettiva responsabilità e cura, non può essere perseguito penalmente per favoreggiamento dell'immigrazione illegale. Si tratta di una decisione che riafferma con forza la centralità della protezione dei minori, della tutela dei legami familiari e del riconoscimento di una responsabilità personale e morale che non può essere criminalizzata. Un punto di svolta che segna il limite oltre il quale il diritto non può più essere interpretato unicamente in chiave repressiva, ma deve piegarsi all'esigenza di umanità e giustizia sostanziale.
La pronuncia nasce da un procedimento avviato in Italia, ma assume ora una portata ben più ampia: diventa vincolante per tutti gli Stati membri dell'Unione, ponendosi come nuovo standard interpretativo per i giudici nazionali ogniqualvolta siano chiamati a valutare casi analoghi.
Il caso: la fuga dal Congo e l'arresto a Bologna
La vicenda che ha portato alla storica sentenza comincia nel 2019, quando una cittadina congolese arriva all'aeroporto di Bologna con due bambine: sua figlia e la nipotina, rimasta orfana dopo la morte della madre; tutte e tre erano fuggite dal Congo, dove la donna aveva subito gravi minacce e violenze da parte del suo ex compagno. Il loro ingresso in Italia avviene tramite l'uso di documenti falsi, circostanza che comporta l'arresto immediato della donna che viene poi anche accusata di favoreggiamento dell'immigrazione irregolare, reato previsto dalla normativa italiana e dalla Direttiva europea 2002/90/CE. Durante il processo emerge però un elemento decisivo: la donna era infatti la tutrice legale della nipote e agiva come madre anche nei confronti della figlia, cercando rifugio e protezione per entrambe.
Il dubbio del tribunale italiano e la parola alla Corte di Giustizia
Di fronte a una situazione umanamente ed eticamente complessa, il Tribunale di Bologna sceglie così di sospendere il procedimento e sollevare un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea. La questione è davvero molto chiara: può una madre, o una tutrice, che cerca di mettere in salvo dei minori attraverso un ingresso non autorizzato essere equiparata a un trafficante di esseri umani? Nel luglio 2023, il procedimento penale contro la donna viene archiviato. Ma la risposta giuridica definitiva arriva solo ora, con la sentenza nella causa C-460/23 – Kinsa, in cui i giudici europei chiariscono definitivamente l'interpretazione corretta della direttiva sul favoreggiamento dell'ingresso irregolare.
La sentenza: il diritto non può punire la responsabilità familiare
Secondo quanto stabilito dalla Corte, il comportamento della donna non può essere considerato penalmente rilevante; lo ha spiegato bene il presidente della Corte, Koen Lenaerts, sottolineando che la condotta della donna era "espressione di un obbligo morale e familiare" e non aveva alcuno scopo lucrativo né intento illecito. Accompagnare dei minori verso un luogo sicuro, ha ribadito la Corte, non può essere assimilato a un'azione di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Al contrario, si tratta di un atto che rientra pienamente nel quadro dei diritti fondamentali riconosciuti dall'Unione Europea, in particolare il diritto all'unità familiare, alla tutela del minore e alla protezione umanitaria.
La portata giuridica della decisione: un vincolo per tutti gli Stati membri
Questa sentenza, oltre a risolvere il caso specifico, assume un valore normativo più ampio: l'interpretazione data dalla Corte di Giustizia è vincolante per tutti i tribunali degli Stati membri dell'UE. Che cosa significa? Significa che da oggi, in tutti i Paesi dell'Unione, comportamenti simili non potranno più essere criminalizzati. I giudici nazionali dovranno tenerne conto in modo automatico ogni volta che si troveranno di fronte a situazioni analoghe. La pronuncia segna così una vera e propria evoluzione nella giurisprudenza europea, riportando il diritto alla sua dimensione umana e solidaristica.
Il confine tra legge e solidarietà: una linea che cambia
L'aspetto forse più significativo di questa sentenza è la riaffermazione di un principio tanto semplice quanto rivoluzionario nel contesto delle attuali politiche migratorie: la solidarietà non è un reato. Quando una persona agisce per proteggere dei minori affidati alla sua cura, persino un ingresso irregolare può essere compreso e accolto dalla legge: "La responsabilità genitoriale è un dovere, non un crimine", ha sottolineato ancora Lenaerts, spiegando come questa sentenza contribuisca a ridefinire il bilanciamento tra esigenze di sicurezza e rispetto dei diritti fondamentali. Un messaggio potente anche per le istituzioni politiche, spesso inclini a considerare ogni irregolarità come una minaccia.
Diritto d'asilo e umanità: verso una nuova interpretazione dell'accoglienza
La Corte ha poi ricordato un altro principio essenziale: il richiedente asilo non è mai in una condizione di soggiorno illegale finché non viene emessa una decisione sulla sua domanda. Questo passaggio chiarisce ulteriormente i limiti entro cui gli Stati membri possono agire penalmente, rafforzando la protezione per chi chiede aiuto in buona fede. La sentenza riafferma dunque che l'Unione Europea è e deve essere anche una comunità di diritto che tutela i più vulnerabili, in particolare i bambini. In un'epoca in cui la pressione politica spinge sempre più verso la criminalizzazione della migrazione, questa decisione rappresenta un baluardo giuridico e morale a difesa dell'umanità.