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Elezioni Regionali 2025

Elezioni Veneto, Manildo (Csx) a Fanpage: “Non è più la Regione di Zaia, c’è voglia di voltare pagina”

Giovanni Manildo è il candidato del campo largo alle elezioni regionali in Veneto: si vota il 23 e 24 novembre 2025. Manildo ha spiegato a Fanpage.it, cosa significano queste elezioni – le prime senza Luca Zaia da quindici anni – per il centrosinistra e per la Regione.
A cura di Luca Pons
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Giovanni Manildo, avvocato classe 1969, già sindaco di Treviso dal 2013 al 2018, è il candidato del centrosinistra alle elezioni regionali che si terranno in Veneto il 23 e 24 novembre 2025. Manildo è tornato alla politica, dopo sette anni di assenza, per correre da presidente per il dopo-Zaia: il leghista dopo quindici anni al potere non ha più potuto candidarsi, sostituito dal collega di partito Alberto Stefani.

Il candidato del campo largo ha risposto alle domande di Fanpage.it sul momento che la Regione sta attraversando – la "chiusura di un ciclo", secondo lui -, sulle opportunità che si aprono per una "rifondazione" del centrosinistra in Veneto, e anche sulle priorità della Regione, oltre che sulla spinosa questione dell'autonomia differenziata.

In questa elezione rivede qualcosa di quella candidatura che la portò alla vittoria nel 2013, alle comunali di Treviso, contro Giancarlo Gentilini?

Anche oggi siamo alla chiusura di un ciclo. Allora si chiudevano vent'anni di governo leghista, anche se Gentilini era ricandidato. Adesso si chiude l'era Zaia, dopo trent'anni di centrodestra e quindici di governo personale. C'è un entusiasmo diverso, tira un'aria nuova. Sento la stessa voglia di cambiamento, di voltare pagina che c'era a Treviso nel 2013. Dal 10 luglio, quando ho ufficializzato la mia candidatura, ho girato molto, e sento che il Veneto ha voglia di nuove sfide e di nuove opportunità.

Nel 2018 aveva lasciato la politica, era tornato a fare l'avvocato. Cosa l'ha spinta ad accettare questa candidatura?

Proprio questo rinnovato che sento. È un momento fondativo, in cui dobbiamo passare dal Veneto di uno al Veneto di tutti. Dietro di me ho una squadra, un gruppo di persone e di partiti che ha voglia di dare una visione, di avere un rapporto diverso con il Veneto e con i veneti, di creare fiducia nella politica e andare oltre il consenso immediato.

Come ha detto, sono le prime elezioni dopo quindici anni in cui il candidato del centrodestra non sarà Luca Zaia. Il Veneto torna contendibile per il centrosinistra?

Ovviamente i numeri li abbiamo conosciamo, il miglior risultato per i progressisti fu nel 2005 con il 42,5%, mentre veniamo da un 16% nel 2020. Ma questa è una partita nuova, in cui abbiamo delle carte da giocare. Abbiamo una cultura di governo, abbiamo proposte concrete per un Veneto migliore. Fare una bella campagna importante.

Anche in caso di sconfitta?

Se vinceremo e avremo il governo della Regione, saremo felicissimi di dare la visione di un Veneto che crea futuro. Se non vinceremo, dovremo aver invertito una tendenza: sapere che il centrosinistra non è più una forza di minoranza, ma un'opposizione che dà una valida alternativa. In entrambi i casi, è un progetto fondativo per il centrosinistra.

È difficile ignorare che gli ultimi sondaggi, pubblicati diverse settimane fa, davano il centrodestra molto favorito.

Nessuno vuole negare i numeri, la questione è fare una campagna elettorale in cui proponiamo un modello di Veneto che per noi è quello di cui c'è bisogno. Dobbiamo ricostruire il rapporto di fiducia con con la politica. In molti incontri sento che c'è voglia di una maggiore partecipazione, di un maggiore coinvolgimento dei portatori di interesse, di un governo della Regione che tenga conto di tutti i soggetti che devono creare sviluppo in Veneto.

Quali sarebbero le priorità per il ‘suo' Veneto?

La prima è la sicurezza, che non è un tema di partito né uno slogan da campagna elettorale: si deve unire alla repressione dei comportamenti antisociali la prevenzione, coesione e momenti educativi. La seconda è la partecipazione, come dicevo: anche per questo ho pensato a un assessorato alla partecipazione, che coinvolga soprattutto il mondo del terzo settore, per un Veneto che si prende cura di tante nuove fragilità che oggi sfuggono alle istituzioni. Altri temi sono l'attenzione fondamentale all'ambiente non come limite, ma come potenzialità di sviluppo: penso alle energie rinnovabili e alla creazione di economie verdi. I giovani: dal 2011 ne abbiamo persi 48mila, è un'emergenza, e per tornare ad attrarli servono interventi sulla casa, sui trasporti e sui salari.

Sempre sui salari, abbiamo proposto un salario di ingresso da 500 euro per due anni. Per i trasporti, puntiamo sul progetto del sistema ferroviario metropolitano di superficie, che fu abbandonato colpevolmente trent'anni fa, con abbonamenti gratuiti per gli studenti fino a 26 anni. E non dimentico la sanità: si dice che siamo un'eccellenza, ma siamo penultimi in Italia per numero di medici di base ogni mille abitanti; le liste d'attesa finiscono perché 300mila veneti non vanno a curarsi o pagano il privato di tasca propria. Dobbiamo aumentare le spese sanitarie parlare di più di salute mentale, ce lo chiedono soprattutto i giovani.

La coalizione che la sostiene è più larga rispetto al passato: che riscontro sta avendo dai partiti?

C'è una grande partecipazione, dalle sette liste a mio sostegno mi stanno chiamando tutti. C'è voglia di incontrare i cittadini, di proporre. La nostra è una coalizione empatica, che non va a insegnare la vita alle persone, ma si prende cura, ascolta e cerca di capire quali sono i bisogni. Sono molto contento dei candidati, stanno lavorando molto bene. E le forze politiche hanno fatto liste con persone piene di passione, energia e generosità, che non è scontato.

L'avversario del centrodestra, il leghista Alberto Stefani, è stato scelto solo a inizio ottobre. Questo vi dà un vantaggio?

Dimostra la diversità delle due coalizioni. Una è nata per una successione di potere a Zaia, è stata frutto di un equilibrio di potere tra Forza Italia, Fratelli d'Italia e Lega. A Roma hanno trovato il punto di caduta e si sono spartiti le Regioni. La nostra è nata molto in anticipo con l'idea dell'alternanza, che dopo trent'anni è naturale, per cambiare sistemi di potere che si creano in quindici anni di governo.

Un tema su cui lei probabilmente la pensa in modo diverso dal centrosinistra nazionale è l'autonomia differenziata delle Regioni. Il Pd e gli altri partiti di minoranza si sono opposti duramente alla riforma. Qual è la sua posizione?

In Veneto, il referendum di otto anni fa sull'autonomia fu un'operazione intelligentissima di marketing politico da parte di Zaia. Era un quesito su cui era difficile votare no: anch'io da sindaco di Treviso votai sì, si chiedeva semplicemente se volevi maggiori forme di autonomia per la tua Regione.

Per me l'autonomia è un concetto giusto, che va innestato sulla nostra Costituzione: lì ci sono già dei semi di regionalismo. Ma quando è arrivata la riforma dell'autonomia differenziata, e il Veneto ha chiesto subito l'autonomia su tutte le 23 materie previste, è stato chiaro che era una mossa di facciata, una bandiera da sventolare, senza concretezza.

L'autonomia differenziata non deve essere un tabù, ma bisogna parlarne concretamente, senza propaganda. Capire quali sono le materie e le funzioni che possono essere utili per la Regione, e quali per esempio vanno a ‘pestare i piedi' alle competenze dell'Europa e quindi si rivelerebbero solo finte autonomie. Non deve essere una battaglia fatta contro le altre Regioni, ma insieme a loro. Mi piacerebbe anche l'idea di un Senato delle Regioni, come era pensato inizialmente dai costituenti: questo dovrebbe essere l'approdo finale.

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