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È falso che il taglio delle tasse del governo Meloni sul lavoro “è il più importante da decenni”

La presidente del Consiglio ha detto che quello approvato ieri con il decreto Lavoro “è il più importante taglio delle tasse sul lavoro degli ultimi decenni”, ma non è vero: sia il governo Draghi che il governo Renzi hanno speso di più.
A cura di Tommaso Coluzzi
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"È il più importante taglio delle tasse sul lavoro degli ultimi decenni". Parola di Giorgia Meloni, che nel suo video in cui ieri ha annunciato il nuovo decreto Lavoro da Palazzo Chigi ha anche spiegato come il taglio del cuneo fiscale previsto nel provvedimento sia il più importante della storia recente. Ma è davvero così o si tratta di semplice propaganda? Basta guardare gli interventi sul fisco degli ultimi anni per scoprire che non c'è bisogno di andare neanche così indietro. Sia il governo Draghi che il governo Renzi hanno speso di più per intervenire sulle tasse sul lavoro, anche se Meloni vanta questo primato in un video girato il primo maggio, senza contraddittorio e senza esporsi a delle domande in conferenza stampa.

Un testo ufficiale del decreto Lavoro ancora non c'è, ma secondo il comunicato del governo – e il video promozionale di Giorgia Meloni – il taglio sarà di ulteriori 4 punti sul cuneo contributivo, ovvero la quota previdenziale a carico del lavoratore. Si arriverà così a 7 punti – aggiungendo quelli già tagliati con la manovra – per i redditi fino a 25mila euro e a 6 punti per i redditi tra i 25mila e i 35mila euro. Il nuovo taglio del cuneo partirà dal primo luglio e sarà in vigore, sempre in via temporanea, fino alla fine dell'anno.

Il tesoretto impiegato dal governo Meloni sarà di circa quattro miliardi di euro, o almeno così ha detto la presidente del Consiglio. Dalle risorse accantonate nel Def la cifra sembrava leggermente più bassa, ma comunque superiore ai tre miliardi. Queste, in ogni caso, sono le cifre del taglio. E no, non sono assolutamente le più importanti degli ultimi decenni.

Nella sua ultima manovra, quella del 2022, il governo Draghi ha investito sette miliardi di euro per la riduzione dell'Irfpef, un miliardo per il taglio dell'Irap – che riguarda aziende e autonomi – e aveva previsto un taglio dello 0,8% del cuneo contributivo, poi portato a due punti tondi (con l'aggiunta dell'1,2%) grazie al decreto Aiuti-bis approvato in estate. Per un costo aggiuntivo di circa tre miliardi di euro. Si tratta del taglio confermato poi dal governo Meloni in manovra, con un punto in più per i redditi fino a 25mila euro.

In ogni caso, anche aggiungendo a questo intervento – dalla portata compresa tra i tre e i quattro miliardi – i cinque stanziati in manovra alla fine dell'anno per il taglio precedente, non si va oltre i nove miliardi di euro complessivi. Il governo Draghi ne ha spesi più di undici.

Allo stesso modo ha speso di più anche il governo Renzi, che nel 2014 lanciò il bonus degli 80 euro. Si trattava di una detrazione per i lavoratori dipendenti, dal costo di nove/dieci miliardi di euro l'anno. Praticamente tanto quanto investito dal governo Meloni per tutti i suoi interventi in tema finora. Lo stesso leader di Italia Viva è intervenuto ieri sera per difendere il suo operato, aggiungendo, però, anche una serie di interventi che poco c'entrano con le tasse sul lavoro.

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