Droni, spyware e IA: come Israele ha trasformato la Palestina nel laboratorio della sorveglianza mondiale

Sistemi di riconoscimento facciale, droni assassini, armi controllate dall’intelligenza artificiale e software spia che monitorano, classificano e colpiscono la popolazione civile. Ecco cosa rivela l’inchiesta sotto copertura realizzata da Backstair, l’unità investigativa di Fanpage.it.
A cura di Backstair
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droni, spyware, la nuova inchiesta Backstair

Sistemi di riconoscimento facciale, droni assassini, armi controllate dall’intelligenza artificiale e software spia che monitorano, classificano e colpiscono la popolazione civile. Come rivelato nell’inchiesta sotto copertura realizzata da Backstair, l’unità investigativa di Fanpage.it, dietro ogni checkpoint e videocamera, si consuma una guerra silenziosa e letale, che non solo viola i diritti umani, ma esporta un modello globale di oppressione e sterminio.

Sono tutte tecnologie messe a punto dal complesso militare-industriale israeliano che per più di cinquant’anni ha utilizzato i territori palestinesi occupati come banco di prova, perfezionando quella che è stata definita da Amnesty International come una “apartheid automatizzata”. Ma dopo essere stati testati nei territori occupati, come documentato nell’inchiesta, questi sistemi vengono poi integrati in pacchetti commerciali e proposti a paesi terzi, attraverso fiere internazionali come la ISS World, in cui le aziende produttrici israeliane incontrano emissari dei governi e dell’intelligence di tutto il mondo.

“Nell’era della sorveglianza di massa, perfezionare le tecniche per monitorare le persone è diventato sempre più attraente per molti stati – spiega a Fanpage.it Antony Loewenstein, autore di “Laboratorio Palestina”, che ha svelato le responsabilità di Israele nella violazione dei diritti umani nel mondo – Tuttavia, la priorità resta il controllo della popolazione sotto occupazione in Palestina”.

Spiare la vita degli altri

Si chiama “Mabat 2000”, il sistema israeliano di telecamere a circuito chiuso (Cctv), installato per la prima volta nel 2000, per controllare la popolazione palestinese nei territori della Gerusalemme Est occupata. Allora a vincere l’appalto fu la Mer Security, azienda diretta da un veterano dell’Unità 8200, il corpo speciale delle Forze di Difesa Israeliane (Idf) che si occupa della attività di intelligence. L’aver prestato servizio nell'Unità 8200 è sinonimo di garanzia, e una volta terminata la leva militare obbligatoria, i suoi ufficiali sono così ricercati che esiste un’espressione apposita per descrivere il passaggio sempre più frequente dall’unità d’elite al settore della sorveglianza informatica: “8 200-to-tech pipeline”, cioè “la corsia preferenziale dall’Unità 8200 al mondo tech”. Del resto, fu proprio l’esperienza nell’Unità 8200 che diede alla Mer Security le competenze per sviluppare un altro strumento chiamato OSCAR (Open Source Collection Analysis and Response), una risorsa in grado di passare in rassegna tutti i social media e di catalogare le informazioni disponibili su fonti aperte per profilare i soggetti bersaglio. Da allora, queste infrastrutture fisiche di sorveglianza sono state costantemente aggiornate e implementate da sistemi di riconoscimento facciale basati sull’intelligenza artificiale.

Il riconoscimento facciale biometrico è un mercato in espansione, al punto che Loewenstein stima che nel 2026 varrà 11.6 miliardi di dollari. Corsight AI l’azienda israeliana che ha dato in dotazione il suo software allo Shin Bet, uno dei reparti dei servizi segreti, è una delle compagnie più in ascesa nel settore e collabora con alcuni dei corpi di polizia con le misure più repressive del mondo, dal Messico al Brasile. La collaborazione con l’esercito israeliano ha permesso all’azienda di sviluppare software così sofisticati che ora le bodycam delle forze dell’ordine saranno in grado di identificare in tempo reale un individuo tra la folla, anche se questo ha il volto parzialmente coperto.

È dal 2019 che le Forze di Difesa israeliane impiegano sistemi di rilevazione biometrica per monitorare ogni spostamento dei Palestinesi in Cisgiordania. Ai posti di blocco militari, il sistema di riconoscimento facciale noto come “Red Wolf” scansiona i volti delle persone per compararli con i dati biometrici racchiusi nell’enorme database chiamato “Wolf Pack”: l’archivio in cui sono conservate tutte le informazioni sui palestinesi della West Bank. Chi attraversa i posti di blocco viene trattenuto all'interno del tornello, le telecamere scansionano il suo volto e un'immagine viene visualizzata sullo schermo. Il soldato che lo gestisce riceve un indicatore luminoso: verde, giallo, rosso. Se l’algoritmo non riconosce il volto si accende la spia rossa e colui che si trova all’interno dei tornelli non può attraversare; può essere fermato, interrogato, arrestato e se il suo profilo biometrico non esiste, “Red Wolf” si aggiorna automaticamente, con le nuove informazioni che acquisisce a sua insaputa, quando deve passare sotto al suo occhio.

“Nel 2022, ai soldati in Cisgiordania è stato ordinato di inserire nel sistema Blue Wolf i dati e le foto di almeno cinquanta palestinesi per ogni turno – ha rivelato il giornalista israeliano Yaniv Kubovich, in un articolo pubblicato su Haaretz il 24 marzo 2022 – e non era loro permesso concludere il turno finché non lo avevano fatto”.

L'app Blue Wolf, come spiega la giornalista Elizabeth Dwoskin sul Washington Post, contiene una classifica che tiene traccia in modo efficace delle unità militari che utilizzano lo strumento e catturano i volti dei palestinesi. Fornisce un punteggio settimanale in base al maggior numero di foto scattate. Le unità militari che catturano il maggior numero di volti dei palestinesi su base settimanale ricevono anche delle ricompense, come ad esempio del tempo libero retribuito, in un meccanismo simile a quello di un gioco a punti.

Macchine per omicidi di massa

Il 30 giugno 2025 è stato pubblicato il rapporto intitolato “From economy of occupation to economy of genocide”, redatto dalla Relatrice Speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nei Territori Palestinesi Occupati dal 1967, Francesca Albanese. Il documento, presentato durante la 59ª sessione del Consiglio per i Diritti Umani dell’Onu, analizza l’evoluzione dell’occupazione israeliana della Palestina spiegando che questa fa parte di un progetto coloniale sostenuto da una complessa rete economica e industriale.

Secondo Albanese, questa struttura ha ora raggiunto una nuova fase, definita come “economia del genocidio”. Il documento evidenzia il ruolo centrale di settori strategici come l’industria bellica, il comparto tecnologico, il sistema finanziario e il mondo accademico, tutti profondamente interconnessi con le dinamiche dell’occupazione. In particolare, viene denunciato il coinvolgimento di aziende israeliane e multinazionali – tra cui Elbit Systems, Lockheed Martin, Google, Microsoft e Amazon – nell’offrire strumenti, tecnologie e supporto logistico a operazioni condotte contro la popolazione civile palestinese. Questo supporto include la fornitura di armamenti, sistemi di sorveglianza biometrica, analisi predittive basate sull’intelligenza artificiale e servizi cloud essenziali per le attività militari.

Uno degli esempi più significativi è il Progetto Nimbus, un contratto da 1,2 miliardi di dollari firmato nel 2021 da Google e Amazon con il governo israeliano. L’enorme mole di dati sui palestinesi, raccolti dall’esercito israeliano, ha costretto quest’ultimo a rivolgersi alle Big tech per ottenere dei cloud di supporto destinati all’archiviazione e all’elaborazione delle informazioni derivanti dalla sorveglianza di massa. Non solo, il progetto punta allo sviluppo di tecnologie avanzate per il riconoscimento facciale, la classificazione automatica delle immagini, il tracciamento e l’analisi del sentiment a fini militari, ovvero la capacità di determinare emozioni, stati d’animo o potenziali segnali di dissenso nelle comunicazioni o nei comportamenti sorvegliati, a fini di controllo militare. Tale collaborazione ha suscitato forti proteste: centinaia di dipendenti di Google e Amazon si sono uniti nella campagna “No Tech for Apartheid”, condannando pubblicamente l’iniziativa.

I servizi segreti israeliani si affidano sempre più a “strumenti di intelligenza artificiale” per “classificare civili e infrastrutture in base alla loro probabilità di essere affiliati a delle organizzazioni militanti” nella striscia di Gaza. In particolare, questi strumenti hanno accelerato il processo di classificazione che è passato da un anno, se effettuato da una persona, a mezza giornata con uno strumento di intelligenza artificiale: “In altre parole – scrive Loewenstein nel suo libro – sia l’intelligence umana che quella elettronica restano strumenti imprescindibili per controllare i movimenti di una popolazione indesiderata”.

L’ inchiesta della rivista +972 ha rivelato che l'esercito israeliano ha sviluppato un programma basato sull'intelligenza artificiale noto come "Lavender", progettato per contrassegnare tutti i sospetti operativi nelle ali militari di Hamas e di altri gruppi. Ha identificato fino a 37.000 palestinesi come sospetti militanti e quindi potenziali obiettivi di bombardamento da attaccare sistematicamente mentre si trovavano nelle loro case. Queste uccisioni avrebbero richiesto solo pochi secondi di verifica da parte di esseri umani per garantire che i bersagli soddisfacessero i criteri di essere uomini. Secondo informatori militari, “il sistema funziona con un tasso di errore del 10%, con un tasso di vittime ammissibile di 10-15 civili, poiché i bersagli sono stati assassinati insieme alle loro famiglie e agli altri residenti dei loro edifici".

Un altro strumento chiamato “Where’s Daddy” (Dov'è papà), segue dei palestinesi selezionati in modo che vengano bombardati quando entrano nelle loro case, uccidendo le loro famiglie e i loro vicini. Migliaia di adulti e bambini, non coinvolti nel conflitto, sono stati uccisi. Il sistema identifica gli obiettivi sulla base di vari criteri, uno dei quali è se una persona fa parte di un gruppo WhatsApp con un altro individuo sospetto. Si tratta, secondo il giornalista e regista israeliano Yuval Abraham, vincitore del Premio Oscar al miglior documentario per No Other Land, di “una macchina per omicidi di massa“, con un controllo umano inesistente in cui  “l’accento è posto sulla quantità e non sulla qualità“.

Sciami di droni

“Il fascino che ciò che Israele sta facendo a Gaza esercita su molti Paesi non va sottovalutato – commenta Loewenstein a Fanpage.it – sebbene a livello globale ci sia una ferma opposizione a quanto sta accadendo, al genocidio, alla disumanizzazione, all’uccisione di palestinesi che cercano semplicemente di ottenere aiuti per le loro famiglie,  molti altri governi osservano con ammirazione le azioni di Israele negli ultimi 21 mesi.

Il report di Francesca Albanese sottolinea come il programma Horizon Europe della Commissione Europea, con un accordo del valore di 95 miliardi di euro di cui Israele fa parte dal 2021, facilita attivamente la collaborazione con istituzioni israeliane, incluse quelle coinvolte in pratiche di apartheid e genocidio. “Dal 2014, la Commissione ha erogato oltre 2,12 miliardi di euro (2,4 miliardi di dollari) a entità israeliane, incluso il Ministero della Difesa, mentre le istituzioni accademiche europee beneficiano e rafforzano queste interconnessioni”, scrive la relatrice.

Israele, infatti, è un attore chiave nella strategia dell’Unione Europea per militarizzare le proprie frontiere e scoraggiare nuovi arrivi. Se a Gaza sono stati usati droni ibridi come “The Rooster” e “Robodogs” (i cani robot prodotti dall’azienda statunitense Ghost Robotics), che possono volare, planare, rotolare e arrampicarsi su terreni accidentati, nel 2020 l’Unione Europea ha siglato un accordo da 91 milioni di dollari con aziende come Airbus, Israel Aerospace Industries ed Elbit Systems per garantire una sorveglianza continua del Mediterraneo attraverso l’uso di droni. Secondo Antony Loewenstein, l’impiego di questi mezzi da parte di Frontex per individuare i movimenti dei rifugiati ha contribuito indirettamente alla morte di molte persone in mare.

Una spia in tasca

NSO Group è una delle più grandi società israeliane specializzate in cyber-intelligence. Nel 2021 venne travolta da uno dei più gravi scandali sulla sorveglianza mai emersi: “Il Pegasus Project”. Il caso esplose quando un consorzio di 80 giornalisti e 17 portali d’informazione, provenienti da 10 paesi e coordinati da Forbidden Stories, rivelò che Pegasus, uno dei software di sorveglianza più potenti al mondo, era stato utilizzato da governi e altre entità per spiare giornalisti, attivisti dei diritti umani, politici e persino leader mondiali. Oltre 50mila numeri di telefono provenienti da più di 50 paesi divennero il bersaglio di un attacco mirato, dal quale era impossibile difendersi. Tra gli spiati risultarono esserci il giornalista Cecilio Pineda Birto, ucciso in Messico nel 2017 dopo che il suo numero era stato selezionato come target dal malware, e Hatice Cengiz, compagna del giornalista saudita Jamal Khashoggi, assassinato nel 2018 all’interno del consolato saudita di Istanbul.

Nel 2021 l’amministrazione Biden decise di inserire NSO in una blacklist federale che vieta alle imprese americane di vendere tecnologie statunitensi alla NSO, e risale all’inizio di quest’anno la condanna della Corte Distrettuale della California del Nord degli Stati Uniti che costringe NSO a pagare quasi 170 milioni di dollari di danni a Whatsapp, e alla sua società madre Meta, dopo che il suo software è stato utilizzato per violare gli account di 1.400 utenti.

Quello stesso anno però, un’altra azienda israeliana, Paragon Solutions, fondata dall’ex primo ministro israeliano Ehud Barak e da veterani dell’Unità 8200, ha immesso nel mercato Graphite, un software con tecnologia di sorveglianza di livello militare molto simile a Pegasus, in grado di penetrare anche in smartphone criptati, usato, ancora una volta, per attaccare giornalisti e attivisti.

Una sentenza arrivata a sei anni di distanza dalla prima prima volta in cui gli ingegneri di WhatsApp rilevarono come funzionava l’attacco informatico di Pegasus: si trattava di un attacco cosiddetto “zero-click” che una volta installato nei dispositivi il malware era in grado non solo di accedere a qualunque informazione, ma anche di attivare da remoto la fotocamera e il microfono, per spiare i target in tempo reale.

NSO e Paragon, però, sono  solo la punta dell’iceberg di un’industria in rapida espansione che opera nell’ombra, senza alcun controllo pubblico: “Finché non ci sarà una regolamentazione o un divieto a livello europeo su questi strumenti, scandali simili continueranno a verificarsi”, ammonisce Loewenstein.

Il lavoro della commissione Pega – la commissione d’inchiesta istituita nel 2022 dal Parlamento Ue per “indagare sull’uso di Pegasus e altri spyware” – non ha prodotto grandi risultati, ma ha confermato che il mercato europeo sarebbe un luogo attrattivo per il commercio di tecnologie e servizi di sorveglianza, tanto che diverse persone impegnate nell’indagine, tra cui l’ex relatrice della commissione, l’europarlamentare olandese Sophie in ‘t Veld, hanno dovuto denunciare  l’indisponibilità da parte dei Paesi dell’UE di condividere informazioni in merito all’utilizzo di queste tecnologie.

Del resto, il potere di NSO e di tutte le altre compagnie che operano nel campo della sorveglianza di massa “non è nel denaro, ma nella diplomazia”. È anche per questo che Israele riesce a imporsi con efficacia nel mercato globale degli armamenti e delle tecnologie repressive: perché offre strumenti già sperimentati sul campo, nei territori palestinesi. Visitando le principali fiere internazionali del settore – dall’Europa al Medio Oriente, fino a Singapore – si trovano in mostra armi e sistemi di sorveglianza israeliani che sono stati testati direttamente in contesti di occupazione e controllo militare.

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