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Dossieraggio, parla Striano: “Le ricerche sui politici? Caso costruito per coprire qualcosa di più grosso”

Il finanziere Domenico Striano, al centro dell’inchiesta della procura di Perugia sul caso dossieraggio, rilascia un’intervista a La Verità in cui difende il proprio lavoro e spiega il perché del clamore mediatico: “Far calare l’attenzione su una storia di armi e affari”.
A cura di Redazione
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Come vi stiamo raccontando, al centro del dibattito politico italiano vi è ancora l’inchiesta della procura di Perugia sul presunto dossieraggio ai danni di politici, imprenditori e semplici cittadini. Nel recente question time al Senato, il ministro della Difesa Guido Crosetto, dalla cui denuncia è partita l’inchiesta coordinata da Raffaele Cantone, ha spiegato perché ritiene gravissime le evidenze raccolte nelle prime settimane di indagini: “Quando gli accessi non sono uno ma migliaia, e servono a formare dossier e questi dossier non servono ad alcuna attività di indagine ma vengono forniti a persone per non so quale utilizzo, allora secondo me è il Parlamento, massimo luogo di compimento della democrazia, che deve interrogarsi: sulle regole in atto, sulle persone che possono abusare di queste cose, sugli interessi che possono esserci dietro e che vanno a incidere sulla vita democratica e politica del Paese, indipendentemente dalle parti”.

Al centro del lavoro della procura umbra, come noto, il finanziere Pasquale Striano. Il quale, dopo giorni di silenzio, ha conversato con i giornalisti de La Verità Giacomo Amadori e Francois de Tonquédec, provando a fare chiarezza sulle principali contestazioni che gli vengono mosse. Nel confermare la correttezza del suo operato (fatte salve alcune “leggerezze”), Striano asserisce di aver svolto semplicemente il proprio lavoro e sui numeri delle ricerche spiega: “Non hanno capito nulla dei numeri che hanno dato, non sanno quali fossero le procedure, non sanno nulla. Io di segnalazioni di operazioni sospette non ne ho visionate 4mila, come dicono loro. Ne ho visionate 40mila. Era il mio lavoro. Io ero una persona super professionale, che acquisiva notizie a destra e a sinistra”. Il finanziere aggiunge di aver sempre lavorato “in base ai vecchi standard della Procura nazionale antimafia”, dunque non avendo necessità di chiedere autorizzazioni per gli accessi, e che comunque in gran parte si trattava di lavoro fatto per conto di magistrati.

Quanto all’esistenza di una specie di diario in cui avrebbe tenuto conto di tutta la sua attività su politici, imprenditori e personaggi pubblici, il finanziere spiega: “Non esiste nessun diario, c’è un documento elettronico che hanno anche i miei colleghi, su quello che facevo giorno per giorno”. Nella sua lettura, si tratterebbe di un documento nato per ragioni di servizio, in modo da permettergli di tenere traccia del lavoro e agevolare quello dei colleghi: un file che non sarebbe stato ancora acquisito dalla Procura.

Nella parte finale del colloquio, poi, il finanziere parla dei rapporti con i giornalisti di Domani e nega di aver consegnato loro informazioni relative a dati patrimoniali o di aver ricevuto da loro “appunti” da consegnare poi alla procura di Roma. Spiega di ritenere che gli investigatori debbano avere “un fruttuoso scambio di informazioni e di idee con i giornalisti di inchiesta” e dà un’altra interpretazione del polverone che si è alzato in questi giorni. “Dietro a questa vicenda c’è qualcosa di più grosso”, dice riferendosi a vicende che chiamano in causa il ministro Crosetto, aggiungendo: “Qui stiamo parlando del mondo delle armi e l’attenzione su certi argomenti, dopo l’esplosione del mio caso, è subito calata […] In questo modo si è subito distolta l’attenzione e l’altra storia è andata in cavalleria”.

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