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Opinioni

Dopo un anno di governo Meloni, il libro dei sogni della destra è già diventato carta straccia

L’economia rallenta, il debito aumenta e mancano i soldi per realizzare tutte le promesse della coalizione di destra. Dopo un anno di governo Meloni, la realtà presenta il conto. Ed è più salato di quanto ci si aspettava.
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Un anno fa, di questi giorni, la coalizione di destra vinceva le elezioni presentando il programma più costoso di tutti. Secondo l’Osservatorio dei Conti Pubblici dell’Università Cattolica, infatti, sarebbero serviti dai 111 ai 165 miliardi per realizzare e mandare a regime tutte le promesse di Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia, a partire dalla flat tax (58 miliardi di gettito perso ogni anno), alla riduzione del cuneo fiscale di 10 punti in 10 anni (circa 40 miliardi ogni anno, a regime), sino ad arrivare all’abolizione della Legge Fornero con l’introduzione di Quota 41 (dai 5 ai 9 miliardi ogni anno).

Che fosse un libro dei sogni, va detto, era abbastanza chiaro sin da allora. Meno prevedibile, piuttosto, che la realtà si rivelasse un tale incubo. In dodici mesi, l’inflazione ha smesso di correre, facendo crescere il costo del debito pubblico. La crescita ha rallentato, frenata dalla recessione tedesca e dai ritardi nella realizzazione del Pnrr, facendo impennare il rapporto tra debito e PIL. E i tassi d’interesse, aumentati per tenere a freno l’inflazione, parole e musica del ministro dell’economia Giorgetti, si sono mangiati altri 14-15 miliardi di spazio fiscale.

Risultato? Allo stato attuale, nel migliore dei mondi possibili, la legge di bilancio sarà un brodino di 20-25 miliardi che serviranno a rifinanziare le misure contro il caro energia e il taglio del cuneo fiscale. Il problema è che per coprire quell’aumento della spesa mancano all’appello, per l’appunto una quindicina di miliardi buoni. Che il governo può recuperare in due modi: tagliando la spesa, e gli indizi portano tutti alla sanità pubblica. O aumentando tasse e accise, e in questo senso va letta l’imposta sugli extraprofitti delle banche, o la paventata imposta del 15% alle multinazionali che operano in Italia. Tentativi improvvisati e velleitari per non andare a togliere denaro dalle tasche di famiglie e piccole imprese già gravate da anni difficilissimi. Che forse non basteranno, tuttavia, a evitare un aumento delle accise sulla benzina. O una sforbiciata a un po’ di deduzioni e detrazioni fiscali.

Piccolo dettaglio: la situazione attuale non può che peggiorare. Perché l’inflazione continuerà a diminuire e il costo di rifinanziamento del debito ad aumentare. Perché la crescita rimarrà asfittica per un po’ e l’Italia continuerà il suo percorso da ultimo vagone di un treno lentissimo, come sempre accaduto negli ultimi vent’anni. Perché le regole di bilancio europee torneranno a stringere gli spazi per aumentare la spesa e per spingere l’economia attraverso la mano pubblica. Perché il Pnrr – possiamo già azzardarci a dirlo oggi – è l’ennesima occasione sprecata per provare a modernizzare il Paese.

Fin qui, la fredda cronaca. Cui è difficile, tuttavia, non far seguire il biasimo per chi, ancora una volta, ha trattato gli elettori come bambini a cui promettere la qualunque. E per chi, da elettore, ha abboccato a promesse che già un anno fa apparivano fuori dalla realtà. Ma anche per una comunicazione governativa che ha passato un anno a decantare una crescita illusoria, figlia del rimbalzo dopo anni di lockdown e drogata dai bonus fiscali per il settore edilizio – vera e propria spina dorsale del nostro sistema produttivo -, come fossero merito esclusivo di un esecutivo taumaturgico, nonostante dodici mesi di nulla cosmico.

Possiamo già immaginare le prossime puntate, peraltro. Lo spread ricomincerà a salire – Giorgetti ha già cominciato a mettere le mani avanti dicendo che ha “più paura dei mercati che dell'Europa” -, e ripartirà il ritornello del complotto dell’Europa, dei mercati e dei grandi vecchi burattinai come George Soros – citato nel giro di pochi giorni sia da Meloni, sia da Salvini: un caso? – contro il governo dei patrioti e contro il popolo italiano. Che arrivi un governo tecnico, come già qualcuno preconizza, o che questo esecutivo resista alla tempesta poco importa, in realtà. Perché al prossimo giro di giostra arriveranno nuove promesse irrealizzabili, nuovi pifferai, e nuovi topolini pronti a seguirli. Fino a dove, non ci è dato saperlo.

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Francesco Cancellato è direttore responsabile del giornale online Fanpage.it e membro del board of directors dell'European Journalism Centre. Dal dicembre 2014 al settembre 2019 è stato direttore del quotidiano online Linkiesta.it. È autore di “Fattore G. Perché i tedeschi hanno ragione” (UBE, 2016), “Né sfruttati né bamboccioni. Risolvere la questione generazionale per salvare l’Italia” (Egea, 2018) e “Il Muro.15 storie dalla fine della guerra fredda” (Egea, 2019). Il suo ultimo libro è "Nel continente nero, la destra alla conquista dell'Europa" (Rizzoli, 2024).
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