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Pensioni

Davvero chi è nato dopo il 1990 non andrà mai in pensione?

Molti giovani sono preoccupati che, per loro, il momento della pensione non arriverà mai. La questione è un po’ più complicata: si sa da tempo che il sistema attuale può svantaggiare chi ha lavori discontinui o mal pagati, e anche che con l’andare del tempo l’età pensionabile si alzerà. Ma ci sono ancora molti anni per intervenire e migliorare la situazione.
A cura di Luca Pons
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L'allarme si è sollevato soprattutto negli ultimi giorni, in particolare tra i giovani under 35: chi è nato dal 1990 in poi rischia di non arrivare mai ad avere la pensione? I timori sono fondati su dati reali e su problemi noti, ma è ancora presto per pensare che la situazione sia senza via d'uscita.

Ad esempio, è vero che chi oggi ha meno di 35 anni con tutta probabilità potrebbe trovarsi a dover lavorare fino ad avere quasi 70 anni, o anche leggermente di più, prima di lasciare il lavoro. Così come è vero che il sistema pensionistico attuale tende a penalizzare chi ha lavori precari, discontinui, magari pagati poco o messi in regola tardi, che è una situazione comune a molti giovani. Mettiamo in ordine le cose per fare chiarezza sulla situazione degli under 35 rispetto alla pensione.

Quanto aumenterà l'età per andare in pensione nei prossimi anni

Innanzitutto, l'età pensionabile. Nei prossimi anni è quasi certo che aumenterà. Non necessariamente nel 2026 o 2027, quando il governo Meloni ha detto di voler sospendere l'aumento di tre mesi previsto, ma nel lungo periodo sì. Per come funzionano le pensioni oggi in Italia, più l'aspettativa di vita aumenta (in particolare quella di chi ha già compiuto 65 anni) e più bisogna lavorare. A meno che qualche evento inatteso non abbassi improvvisamente la speranza di vita – è successo con la pandemia da Covid-19 – si può dire tranquillamente che nei prossimi decenni si dovrà restare al lavoro più a lungo.

Lo confermano le stime della Ragioneria generale dello Stato, pubblicate a gennaio. E lo ribadiscono anche le previsioni dell'Istat di fine marzo. Se tutto procede come ci si aspetta, l'età pensionabile per lasciare il lavoro con l'assegno dovrebbe salire dai 67 anni attuali a 68 anni e un mese nel 2039, a 69 anni e un mese nel 2051, e a 70 anni nel 2067. L'ultimo anno che rientra nel calcolo è il 2084, quando serviranno 70 anni e otto mesi di età per lasciare il lavoro.

Sembra di parlare di un futuro lontano, ma questi sono i calcoli che oggi agitano i giovani. Nel 2067 chi è nato nel 1997 avrà esattamente settant'anni. Insomma, i nati dal 1990 in poi potrebbe a dover aspettare questa soglia (mese più, mese meno) prima di smettere di lavorare.

La pensione sarà troppo povera per vivere?

Anche più dell'età pensionabile c'è preoccupazione sull'importo della pensione. Il timore è proprio questa: lavorare di più, e poi avere un assegno troppo basso per mantenersi. Qui il rischio nasce dal funzionamento del sistema contributivo.

Nel 1996, l'Italia è passata dal sistema retributivo a quello contributivo. Cioè da un sistema in cui la pensione era calcolata in base all'ultimo stipendio di una persona prima di lasciare il lavoro, a uno in cui invece l'assegno si calcola sulla base dei contributi versati negli anni.

Il sistema retributivo permetteva anche a persone che magari avevano lavorato poco, o che non avevano fatto chissà quale grande carriera , di ottenere una pensione piuttosto alta se negli ultimi anni di lavoro ricevevano una promozione, o comunque prendevano uno stipendio più alto per anzianità. Con il sistema contributivo, invece, vale solo quello che una persona versa.

Questo può spaventare chi – come molti giovani – ha una carriera discontinua. Passa da un lavoro all'altro, con contratti brevi, poco pagati, magari del tutto o in parte irregolari, e con periodi di disoccupazione tra un impiego e l'altro. E senza la certezza di riuscire, nel giro di qualche anno, a trovare un lavoro stabile che permetta di fare carriera e incassare progressivamente di più.

Se non si riesce a versare una buona quantità di contributi, il rischio è ritrovarsi attorno all'età della pensione e scoprire che l'assegno a cui si ha diritto è molto basso. Così, invece di ‘godersi' gli anni dopo il lavoro, ci si troverebbe in difficoltà economica anche più di prima, magari costretti a tornare al lavoro o comunque ad arrotondare in qualche modo.

Perché è ancora presto per ‘disperarsi'

È vero, si prevede che l'età pensionabile aumenterà sempre di più, ed è vero, il sistema contributivo può penalizzare chi ha lavori precari e discontinui. Ma bisogna ricordare che tutte queste previsioni vengono fatte, con molti decenni di anticipo, ipotizzando che niente cambi nelle norme.

Le leggi attuali sulle pensioni sono quelle citate finora, ma non è detto che restino uguali da qui al 2067, per esempio. Nei prossimi quarant'anni potrebbero arrivare riforme radicali del sistema, per venire incontro a chi non riesce a versare abbastanza contributi. Basta pensare che ne sono passati ‘solo' trenta dalla riforma che ha introdotto il sistema contributivo, che comunque ha già subito diversi aggiustamenti, e che il sistema precedente era durato circa cinquant'anni.

La politica non ha ancora trovato una soluzione chiara e condivisa sul tema delle future pensioni dei giovani, ma è uno degli argomenti di cui si discute. Anche il governo Meloni ha sollevato delle possibilità, anche se per alcuni esperti sono poco convincenti: dal puntare sui fondi pensione privati a incentivare l'uso del Tfr per la pensione.

Al di là dell'efficacia di queste proposte, questo dimostra che il problema è noto. Anche perché i sindacati, e non solo, lo pongono da anni. Insomma, è giusto mettere pressione al mondo politico perché se ne occupi e denunciare la preoccupazione, ma non è ancora il momento di disperarsi, perché non ci sono certezze su come cambieranno le cose in futuro.

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