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Dal 2014 i fondi per la scuola andranno solo agli istituti più “meritevoli”

Lo Stato darà i soldi alle scuole migliori, ovvero quelle che avranno “risultati”. E’ quanto si legge al comma 149 dell’art.1 della Legge di Stabilità. Ma non è ancora chiaro qual è il sistema, “oggettivo”, che determinerà quali saranno gli istituti che rispondono a tali criteri.
A cura di Biagio Chiariello
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«A decorrere dal 2014 i risultati conseguiti dalle singole istituzioni sono presi in considerazione ai fini della distribuzione delle risorse per il funzionamento». E' quanto si legge nel comma 149 dell’art. 1, della legge di Stabilità varata lo scorso 24 dicembre. In altre parole, il Governo ha deciso che lo Stato darà fondi solo alle scuole “virtuose”, cioè quelle che avranno risultati migliori. Fondi che riguardano le cosiddette spese di funzionamento didattico ed amministrativo. Soldi che servono per l'acquisto della cancelleria e del materiale di pulizia, per le spese postali e telefoniche nonché per la manutenzione degli strumenti da utilizzare nei laboratori. L'obiettivo è restituire attualità alle logiche "anti-fannulloni" introdotte con la Riforma Brunetta della Pubblica Amministrazione nel 2009. Ma la domanda che si pongono i sindacati è più che legittima: come si determina quali sono le scuole migliori? Qual è il criterio più "oggettivo" deputato a tale scopo?

Critici ANIEF e UIL. «Non riusciamo a comprendere – dice a Repubblica Domenico Pantaleo, leader della Flc Cgil – la logica di questa norma e cosa si intenda per “risultati”». Il fatto è che in Italia, al momento, non  esiste un sistema di valutazione testato. L'unico che in prospettiva potrebbe essere utilizzato è quello del Miur che prevede la convergenza di Invalsi, Indire e un corpo ispettivo, nonché un'analisi auto-valutativa delle istituzioni scolastiche. Approvato dal Consiglio dei Ministri, questo sistema non ha ancora iniziato il suo iter parlamentare (anche perché da cinque anni si attendono ancora gli esiti del concorso per la selezione di 145 "dirigenti tecnici"). «Che senso ha – spiegano dalla Cgil – legare le risorse per il funzionamento ad ipotetici risultati ancora tutti da verificare?".

«Al di là del fatto che non si comprende quali "risultati" dovranno conseguire le scuole, visto che il grado d’istruzione raggiunto dagli alunni non può essere legato solo alla bravura dei loro insegnanti e dei dirigenti a capo degli istituti, ma anche a diversi altri fattori come il contesto familiare, sociale ed economico, sorprende davvero – sottolinea l'Anief – che si continui a introdurre ‘paletti’ al fine di perseverare nel taglio di quei finanziamenti per l’organizzazione e la manutenzione ordinaria delle scuole già oggi largamente insufficienti».

 «E' una norma scritta in modo approssimativo – spiega Massimo Di Menna, leader della Uil Scuola, a Repubblica – La cosa migliore è che il prossimo governo non tenga conto di questo provvedimento scritto con superficialità». Non che un sistema di valutazione efficace non sia necessario anche in Italia, ma occorrono degli anni per metterlo in atto. Anche perché non si vanno a prendere in considerazione, criteri come l'estrazione sociale-economica-culturale in cui operano le istituzioni scolastiche, si rischia di travisare completamente quello che dovrebbe essere un criterio "premiale", trasformandolo in un mero trasferimento di soldi verso le scuole già "avvantaggiate". Ma in ogni caso, Di Menna dice:  «Ammesso che si possano verificare gli apprendimenti, qual è la ratio che porta a tagliare le risorse alle scuole con risultati peggiori? Semmai, occorrerebbe assegnare a queste scuole più risorse».

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