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Cosa sono i ‘distretti biologici’ e cosa cambia nelle Regioni che li creano

L’Emilia-Romagna è stata la prima Regione in Italia ad approvare una legge che regolamenta in modo dettagliato i distretti del biologico. La consigliera Silvia Zamboni (Europa Verde), firmataria della legge, spiega a Fanpage.it che cosa cambia in quei territori che ottengono il riconoscimento a distretto del biologico.
A cura di Annalisa Cangemi
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L'Emilia-Romagna è stata la prima Regione italiana a introdurre nel suo territorio i "distretti biologici", attuando quanto previsto dal decreto legislativo ministeriale del dicembre 2022, ‘Determinazione dei requisiti e delle condizioni per la costituzione dei distretti biologici', pubblicato in Gazzetta ufficiale il 24 febbraio 2023.

La legge sui distretti biologici, che è stata proposta in Emilia-Romagna dalla consigliera di Europa Verde Silvia Zamboni (il progetto di legge era stato depositato nella primavera 2022), prevede che si possano costituire i distretti del biologico, formati da almeno il 51% di agricoltori. Ma la partecipazione è aperta anche ad altri soggetti. L'obiettivo della legge è quello di creare a livello regionale sinergie tra agricoltori, allevatori, trasformatori, Comuni, enti di ricerca, scuole, cittadini e associazioni per diffondere la cultura del biologico e favorire un modello agro-economico ambientalmente sostenibile e compatibile con la tutela della biodiversità e la produzione di cibo sano, senza l'utilizzo di pesticidi, diserbanti e fertilizzanti chimici.

La Regione ha già raggiunto il 19% della Superficie agricola utile, coltivata con il metodo biologico e biodinamico, con oltre 7300 aziende attive, dati che collocano l'Emilia-Romagna ai primi posti della classifica nazionale, non lontanissima dall'obiettivo europeo del 25% al 2027. Non c'è alcun obbligo ovviamente per le aziende del territorio di aderire ai distretti del biologico, ma quelle che lo fanno entrano in un circuito virtuoso, e lavorano insieme per l'affermazione del metodo biologico.

"Quella dei distretti biologici è un'agricoltura pulita per l'ambiente, per gli stessi agricoltori, che non vengono così esposti a pesticidi nocivi, e naturalmente è più sana anche per il consumatore", ha spiegato Silvia Zamboni a Fanpage.it. "Lo scopo è anche quello di creare un circuito virtuoso territoriale tra chi produce cibo biologico e il Comune che lo acquista e lo porta nelle mense scolastiche. Si crea quindi una comunità di vari soggetti, che insieme contribuiscono ad affermare la cultura del metodo biologico, che garantisce il rispetto della biodiversità e non sfrutta il suolo. E questo è molto importante perché noi in Emilia-Romagna abbiamo un problema di calo della fertilità del suolo, soprattutto in corrispondenza dei territori alluvionati".

Ma a cosa serve la legge? "La legge finanzia studi, ricerche, materiale informativo sui distretti, ma anche le spese di certificazione biologica per le aziende che non sono abbastanza robuste per potersi certificare, perché la certificazione è una garanzia per il consumatore, ma naturalmente ha dei costi alti", ha detto la consigliera dei Verdi.

Silvia Zamboni, consigliera di Europa Verde in Emilia-Romagna
Silvia Zamboni, consigliera di Europa Verde in Emilia-Romagna

Una parte importante della legge è l'istituzione di un Fondo regionale: l'Assemblea legislativa ha approvato la legge ‘Disposizioni per la disciplina, la promozione e la valorizzazione dei distretti del biologico' a fine settembre, poi con la nuova previsione di bilancio per il 2024 la giunta ha raddoppiato le risorse, stanziando 200mila (prima erano 100mila). E poi è previsto un finanziamento di altri 50mila euro per i prossimi anni.

Funzionerà così: l'Emilia-Romagna farà dei bandi, mettendo a disposizione questi 200mila euro per i biodistretti che verranno riconosciuti dalla Regione stessa, attraverso la presentazione della documentazione, che attesterà la presenza di tutti i requisiti. Bisogna che ci siano almeno il 51% di agricoltori, poi il presidente del biodistretto deve essere il produttore agricolo. Devono esserci almeno 30 aziende agricole, oppure il distretto deve comprendere una superficie di almeno di 400 ettari. Oltre al finanziamento regionale, il ministero dell'Agricoltura ha già pubblicato pochi giorni un bando, che mette a disposizione in tutto 10 milioni di euro.

"La legge prevede inoltre che ci sia un controllo, e quindi se dovessero venire meno i requisiti base decadrebbe tutto, e nel caso in cui un territorio avesse ricevuto dei fondi li dovrebbe restituire", ha spiegato Zamboni.

I distretti biologici in Emilia-Romagna

Nella Regione, ai nastri di partenza, al momento ci sono diverse realtà che hanno avviato l'iter per ricevere il riconoscimento a distretto del Biologico, con il quale sarà poi possibile partecipare ai bandi regionali e nazionali per ottenere il finanziamento: c'è un distretto che si è dato la forma del consorzio e interessa tre Regioni, il distretto ‘Alte Valli' nell’Appennino Parmense, Toscano, Ligure; poi c'è il distretto Parma Bio Valley, che riguarda la parte di pianura del Parmense; c'è il distretto biologico della provincia di Reggio Emilia; poi un altro distretto insiste sul Modenese, e tocca le Valli del Panaro; e ancora, c'è il distretto biologico nell’Appennino Bolognese; infine c'è un distretto preesistente, il distretto Biosimbiotico della Val Bidente, che dovrà adeguarsi ai nuovi criteri ministeriali.

"La costituzione del distretto del biologico naturalmente non è da intendersi come un punto di arrivo, ma come un punto di partenza per poter favorire la diffusione di questo metodo, per portare per esempio il prodotto all'interno delle mense scolastiche. Il biodistretto deve in pratica fare da volano a un'economia del territorio, improntata alla tutela della biodiversità, dell'ambiente, della qualità delle acque", ha sottolineato Silvia Zamboni. "Bisogna pensarlo come una rete di aziende che dialogano tra di loro, per arrivare a uno sviluppo veramente sostenibile. È un fatto anche culturale, non solo colturale".

E per quanto riguarda i costi dei prodotti per i consumatori? "I produttori e gli allevatori biologici, che non hanno alle spalle i mega allevamenti intensivi, hanno dei capi limitati, animali che stanno all'aperto, in un'area di una certa superficie, e devono essere nutriti a loro volta con prodotti biologici. Visto che il piccolo produttore bio produce in quantità ridotte, ha anche più costi e più manodopera, rispetto alla Grande distribuzione organizzata, che è all'origine delle proteste che ci sono state da parte degli agricoltori. Se per quanto riguarda i prodotti non freschi bio, come pasta o riso, non c'è una grande differenza rispetto a quelli della Gdo, per i prodotti freschi invece la differenza di prezzo c'è ancora".

"Questo tema va affrontato attraverso la PAC, bisogna mettere a disposizione milioni di euro, assicurando un riconoscimento economico a questi produttori, affinché questi prodotti non siano solo per chi se li può permettere. Perché non dimentichiamoci che il prodotto bio fa risparmiare anche sull'assistenza sanitaria, visto che diversi studi scientifici hanno dimostrato che l'agricoltore convenzionale è più esposto a malattie rispetto a quello biologico", ha spiegato Zamboni.

Oltre all'Emilia-Romagna, anche il Veneto con una delibera di giunta ha recepito le indicazioni del decreto ministeriale del 2022 che dà alle Regioni la possibilità di costituire i biodistretti (mentre Lazio e Toscana avevano già delle normative regionali precedenti). Nella Regione guidata da Bonaccini la diffusione delle aziende biologiche è in crescita: "Il Piano di Sviluppo Rurale che abbiamo approvato nel 2022 ha invertito l'allocazione di risorse: al mondo del biologico arriveranno 190 milioni, contro i 60 che andranno all'agricoltura integrata, che utilizza comunque i prodotti chimici. Mi sembra un buon segnale", ha sottolineato Zamboni.

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