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Global Sumud Flotilla

Cosa farà Israele agli attivisti italiani della Flotilla: l’esperto spiega tutti i rischi

Le circa 400 persone che si trovavano a bordo della Global Sumud Flotilla ora sono trattenute da Israele: saranno identificate ed espulse. Fanpage.it ha intervistato l’esperto di diritto internazionale Paolo Bargiacchi per spiegare cosa li attende sul piano legale, e anche quali conseguenze potrebbero esserci per i soldati israeliani che li hanno fermati in acque internazionali.
Intervista a Paolo Bargiacchi
Professore ordinario di Diritto internazionale all'Università degli Studi di Enna 'Kore'
A cura di Luca Pons
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Dopo settimane di navigazione, gli attivisti a bordo della Global Sumud Flotilla sono stati fermati dalla Marina militare di Tel Aviv e condotti sul territorio israeliano. Qui, stando agli annunci del governo, saranno identificati e, nei prossimi giorni, espulsi dal Paese e rimpatriati.

Mentre in Italia prosegue il dibattito politico, Fanpage.it ha intervistato Paolo Bargiacchi, ordinario di Diritto internazionale all'Università di Enna per chiarire quali saranno le conseguenze legali della vicenda. Nei confronti degli attivisti, che ora devono sottostare alle procedure previste dallo Stato israeliano; e potenzialmente anche nei confronti di quei militari che hanno abbordato navi con bandiera italiana, in acque internazionali, e hanno fermato e messo in stato di detenzione i cittadini a bordo.

Professore, partiamo dagli attivisti che si trovavano sulla Flotilla: cosa li aspetta adesso?

Inizialmente il ministro della Sicurezza nazionale Ben Gvir aveva proposto di equipararli giuridicamente a terroristi e detenerli e processarli di conseguenza. Sembra, invece, che la vicenda si stia sviluppando in un'altra direzione.

Una linea meno ‘drastica' da parte di Israele, almeno sul piano legale?

Sembrerebbe che Israele abbia scelto la via amministrativa piuttosto che giudiziaria: considerare gli attivisti come minacce alla sicurezza dello Stato ed espellerli piuttosto che incriminarli e tradurli dinanzi a un giudice per un eventuale processo.

Perché crede che il governo israeliano abbia scelto questa opzione?

Possiamo solo fare supposizioni ma potrebbe essere il frutto di negoziati sottotraccia tra Israele e i governi i cui cittadini fanno parte della Flotilla. Israele, probabilmente, in questo momento non ha interesse ad alzare ulteriormente la tensione, anche perché la maggior parte di questi attivisti sono cittadini di Stati europei o occidentali. Sicuramente Israele ha mostrato un atteggiamento ben diverso rispetto al 2010 quando la sua Marina militare abbordò la Freedom Flotilla e ci furono dieci vittime tra gli attivisti.

Cosa le fa pensare che ci siano stati negoziati ‘dietro le quinte'?

Lo suggeriscono alcune dichiarazioni dei governi coinvolti. Più volte, ad esempio, il ministro degli Affari esteri Tajani ha detto di aver sentito la controparte israeliana ricevendo garanzie sulla sicurezza e il trattamento dei cittadini italiani. Del resto, era prevedibile che la missione della Flotilla sarebbe stata fermata da Israele e in questo modo è stato raggiunto un compromesso sul trattamento dei nostri cittadini. Tutti, tranne gli attivisti che volevano raggiungere la Striscia, hanno ottenuto, perlomeno in parte, un risultato utile.

In che senso?

Israele ha impedito che la Flotilla arrivasse a Gaza e l’Italia, come altri Stati, ha evitato che i propri cittadini fossero detenuti a lungo in Israele e in condizioni non conformi al diritto internazionale dei diritti umani. Sembra che l’ala estremista del governo israeliano, almeno in questo caso, sia stata messa a tacere per arrivare a una soluzione più politicamente presentabile.

Per settimane in Italia si è chiesto che il governo Meloni concedesse ai cittadini italiani sulla Flotilla la protezione diplomatica, e non solo quella consolare. Se l'avesse fatto, in questo momento le cose sarebbero diverse?

Sono istituti diversi e, in parte, anche complementari. La protezione diplomatica presuppone l'intervento del nostro ambasciatore presso il governo o il ministro degli Affari esteri israeliano mentre quella consolare l'intervento del console presso le autorità amministrative o giudiziarie che procedono nei confronti del cittadino italiano.

Nel momento in cui un nostro cittadino a qualunque titolo viene arrestato all'estero interviene il console che garantisce una azione in assistenza più rapida e soprattutto diretta presso la competente autorità straniera. Se poi il caso ha una particolare rilevanza politica, può affiancarsi alla protezione consolare anche quella diplomatica che si realizza a un diverso e più alto livello, quello politico.

Quindi per gli attivisti che si trovano in Israele, concretamente, non sarebbe cambiato molto?

Concretamente, gli italiani detenuti avrebbero comunque ricevuto assistenza dal proprio console come sta accadendo.

Questo non impedisce all'Italia di muoversi anche a livello diplomatico, ad esempio inoltrando una protesta tramite il nostro ambasciatore al Ministro degli Affari esteri israeliano per il trattamento non conforme al diritto internazionale riservato ai nostri cittadini. Ma io credo che i negoziati dei giorni scorsi siano serviti anche a evitare tutte queste variabili di grande complessità politica, diplomatica e giuridica.

Presumendo che tutti gli attivisti ritornino al proprio Paese sani e salvi, dopo rischiano altre conseguenze sul piano legale da parte di Israele?

Di solito – e non vale solo per Israele – un provvedimento di espulsione viene associato con un divieto di ingresso nel territorio dello Stato che ha proceduto all’espulsione. La durata del divieto di reingresso può variare e arrivare anche a 10 anni o più. La logica è quella di impedire a chi sia stato considerato pericoloso per la sicurezza nazionale di rientrare, o rientrare subito, nel territorio dello Stato.

E per chi non rispetta questo divieto?

Chi si ripresenta alla frontiera in costanza del divieto di ingresso non viene ammesso e viene respinto per l’inosservanza di quel provvedimento vincolante.

Da quanto sappiamo, i circa 400 attivisti della Flotilla saranno messi davanti a una scelta: accettare l'espulsione e il rimpatrio volontario, oppure essere portati davanti a un tribunale ‘speciale', composto da funzionari del ministero degli Interni. Come si spiega questa procedura, e che effetti può avere?

Di fronte a un decreto di espulsione si deve comunque garantire il diritto di difesa. Ma in alcuni Paesi, come gli Stati Uniti o Israele, tale diritto viene particolarmente compresso. Si può immaginare che questo "tribunale speciale" si occuperà degli attivisti che, di fronte al decreto di espulsione, lo impugneranno nell’esercizio del loro diritto di difesa.

Considerato però che la vicenda ha un alto tasso di politicizzazione e che, a torto o a ragione, Israele considera gli attivisti come una minaccia per la propria sicurezza, non mi sorprenderei se la procedura dinanzi a questo “tribunale speciale” non garantisse in pieno il diritto di difesa.

È dunque difficile ritenere che in una situazione del generale questo tribunale possa accogliere i ricorsi degli attivisti, fermo restando che non sappiamo ancora se verranno presentati e, nel caso, quale sarebbe il loro contenuto. Certamente, ma è una mia idea personale, presentare un ricorso potrebbe avere una valenza anche politica per gli attivisti al fine di tenere alta l'attenzione della Comunità internazionale sulla vicenda.

Il dato di fatto è che Israele, come gli Stati Uniti e altri Paesi, negli ultimi trent'anni hanno ridefinito i propri sistemi giuridici, reinterpretando alcune norme sostanziali e processuali, allo scopo di renderli più idonei, anche a scapito dei diritti individuali, a soddisfare le proprie esigenze di sicurezza.

A proposito di conseguenze giudiziarie, ce ne potrebbero essere – al contrario – per Israele, o comunque i soldati israeliani coinvolti? La procura generale di Istanbul ha aperto un'indagine sul caso dei 37 cittadini turchi che si trovavano a bordo della Flotilla, per stabilire se i militari israeliani hanno commesso reati nei loro confronti. In Italia è possibile fare una cosa simile?

Le navi che battono bandiera italiana sono considerate territorio italiano. Questo lo dice chiaramente il nostro Codice penale. Quindi, un reato commesso a bordo di una nave italiana ricade sotto la giurisdizione penale italiana.

La magistratura italiana è indipendente: se a bordo di una nave italiana si verifica un fatto che una Procura italiana può considerare reato, quella Procura potrà aprire un procedimento contro ignoti per gli eventuali reati commessi anche da un cittadino straniero a bordo di quella nave.

Un capitolo a parte sono poi le relazioni tra Stati. Alcuni Stati potrebbero anche citare lo Stato di Israele dinanzi, ad esempio, alla Corte internazionale di giustizia lamentando violazioni del diritto internazionale commesse nel corso delle operazioni militari così come è possibile che un Paese intervenga adottando sanzioni, richiamando il proprio ambasciatore, sospendendo o interrompendo le relazioni diplomatiche. Ma, come detto, è un piano diverso che dipende dalle scelte politiche del governo e non dall’azione indipendente della magistratura.

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