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Concessioni balneari, a che punto è lo scontro tra governo Meloni e Ue e cosa rischia l’Italia ora

Il governo Meloni ha risposto alla Commissione Ue per la procedura di infrazione sulle concessioni balneari. L’esecutivo ha rivendicato che le sue ragioni tecniche per non applicare le norme sulla concorrenza sono valide, e in più ha chiesto altro tempo: almeno quattro mesi, per confrontarsi con le Regioni.
A cura di Luca Pons
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Il governo Meloni ha risposto alla Commissione europea sul tema delle concessioni balneari. Era obbligata a farlo entro il 16 gennaio, e oggi un portavoce Ue ha confermato che la risposta è arrivata, e che la Commissione "la analizzerà". L'Ue sta portando avanti una procedura di infrazione nei confronti dell'Italia perché non rispetta le norme europee sulla concorrenza, e in particolare la direttiva Bolkestein.

A metà novembre, da Bruxelles era arrivato un nuovo passo nella procedura di infrazione: una lettera con un parere motivato, in cui si chiedeva all'Italia di adeguarsi alle norme europee perché le giustificazioni presentate fino a quel momento non erano soddisfacenti. Il governo aveva due mesi di tempo per rispondere, e ha aspettato fino all'ultimo. Se la Commissione dovesse ancora una volta trovare carenti le risposte dell'Italia, e non arrivasse nessun passo avanti da parte del governo italiano, il Paese potrebbe finire davanti alla Corte di Giustizia dell'Ue: il tribunale potrebbe obbligare il governo a cambiare le norme, stavolta con una sanzione.

Nel 90% dei casi, le procedure di infrazione della Commissione europea finiscono ben prima di arrivare davanti alla Corte. Normalmente, i Paesi coinvolti trovano un compromesso per allinearsi con le regole europee, come viene richiesto. Il caso dei balneari va avanti da anni, nelle ultime settimane è intervenuto anche il presidente della Repubblica Mattarella, ma il governo di centrodestra sembra particolarmente deciso a non cambiare idea.

Cosa ha risposto il governo Meloni alla Commissione europea? Da una parte ha rivendicato che la direttiva Bolkestein sulla concorrenza non dovrebbe applicarsi alle spiagge italiane, perché ce ne sono in abbondanza. Una relazione stilata dal governo aveva stabilito, infatti, che solo il 33% delle spiagge è occupato da concessioni balneari: perciò non avrebbe senso parlare di norme sulla concorrenza, e non ci sarebbe problema a rinnovare in automatico le concessioni già esistenti. Questa relazione, però, era già stata criticata dalla Commissione Ue perché teneva conto di tutte le aree della costa italiana, inclusi i porti e le scogliere, che non possono essere considerati spiagge.

In più, il governo italiano ha chiesto di avere più tempo per studiare una norma che metta ordine nel settore. Per i prossimi quattro mesi, fino a metà maggio, dovrebbe aprirsi un dialogo con le Regioni. Poi potrebbe continuare il confronto con la Commissione europea, mentre il governo italiano porta avanti una mappatura delle spiagge includendo anche fiumi e laghi. Nel frattempo si potrebbe ottenere l'ennesimo rinnovo delle concessioni, per tutto il 2024 o anche fino a fine 2025. Così si guadagnerebbe altro tempo.

Tempo anche per mettere d'accordo le diverse anime del governo: la Lega di Matteo Salvini è il partito meno disposto ad accettare compromessi, mentre la linea di un'altra parte della maggioranza (che fa capo al ministro per gli Affari Ue Raffaele Fitto, ma anche alla stessa Meloni) è di evitare a tutti i costi una procedura di infrazione. Anche se nessuno, dopo aver rivendicato per anni la difesa dei balneari, sembra disposto a mettere la firma su una norma che obbligherebbe gli attuali gestori degli stabilimenti a partecipare a nuove aste.

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