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Cambiamento climatico: perché abbiamo bisogno delle manifestazioni studentesche in Italia

Le manifestazioni targate Fridays For Future chiedono ai governi di tutto il mondo di implementare politiche ambientali che contrastino il cambiamento climatico. Ma qual è la risposta delle istituzioni alle proteste? Cosa sta già facendo l’Italia a riguardo? Come si colloca il nostro paese rispetto agli standard europei e mondiali?
A cura di Annalisa Girardi
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Le piazze di tutto il mondo sono state popolate oggi dalle manifestazioni, a cui hanno partecipato principalmente i più giovani, contro il cambiamento climatico. Gli studenti di oltre 200 paesi hanno scioperato per chiedere ai governi l’implementazione immediata di politiche a salvaguardia dell’ambiente. Lo slogan Fridays For Future, nato dalle proteste dell’attivista svedese di appena 16 anni Greta Thunberg, è stato protagonista anche in più di 180 piazze italiane.

Le reazioni delle istituzioni

Le reazioni a livello istituzionale non sono state unanimi. Fra i politici italiani c’è chi ha deciso di partecipare attivamente marciando a fianco degli studenti, come il sindaco di Milano Beppe Sala, e chi invece, come il ministro dell’Istruzione Marco Bussetti, non ha mostrato altrettanto appoggio. Il ministro aveva dichiarato che le lezioni si sarebbero svolte regolarmente nel giorno dello sciopero globale, ed era stato accusato di voler negare agli studenti il diritto di manifestare. Bussetti ha poi voluto fare chiarezza, affermando di sostenere pienamente gli obiettivi dello sciopero, ma di dover allo stesso modo garantire il servizio pubblico. Il ministro dell’Ambiente Sergio Costa, da parte sua, ha spiegato di aver firmato lo scorso dicembre un protocollo di intesa con il ministro Bussetti che sancisce l’inserimento dell’educazione ambientale fra le materie scolastiche. Il ministero avrebbe emanato bandi per un milione e 200mila euro in progetti correlati.

Ci sono state anche voci che si sono schierate nettamente a sfavore delle manifestazioni. Sui social Claudio Borghi della Lega, ha ironizzato sulle proteste, felicitandosi che il figlio preferisse andare a scuola.

Non è stato l’unico a tacciare di poca serietà l’attivismo degli studenti. Antonello Giannelli, presidente dell’Associazione Nazionale dei Presidi, ha affermato di non capire come potessero riuscire dei 15enni a contrastare il cambiamento climatico. “Avrebbe più senso che il dibattito si svolgesse fra i banchi”, ha aggiunto Giannelli nutrendo il “sospetto che serva solo per marinare le lezioni”. Non si tratta certo della linea adottata da tutti i presidi d’Italia: molte scuole hanno infatti deciso di non chiedere ai propri studenti di giustificare l’assenza di oggi.

Il sostegno pubblico alle manifestazioni era già arrivato nelle scorse settimane anche da Nicola Zingaretti, nuovo segretario del Partito Democratico, che attraverso Twitter aveva dedicato la propria vittoria alle primarie proprio a Greta Thunberg.

Zingaretti si è candidato a capo del Pd con un programma che ruota attorno a un modello di sviluppo sostenibile, una sorta di “New Deal” verde per l’Italia. Ma quanto sono comuni modelli di questo tipo in Parlamento?

Quanto ambientalismo entra in Parlamento?

Secondo dei dati elaborati dal Sole 24 Ore, solo il 4% dei disegni di legge (ddl) che arrivano in Parlamento riguardano l’ambiente. Secondo il giornale si tratterebbe di 110 ddl su circa 2.800 presentati dall’inizio della legislatura fino allo scorso 7 marzo. La maggioranza di queste proposte eco-friendly arriverebbero dal Movimento 5 Stelle (30 ddl presentati), seguiti da Pd (19), Forza Italia (16) e Liberi e Uguali (12). Alla fine della lista ci sarebbero invece Fratelli d’Italia (7) e Lega (5). Se si considera la presenza dei vari gruppi in parlamento, attraverso un calcolo percentuale si noterà come il maggior impegno ambientale venga da deputati e senatori di LeU, mentre la Lega si conferma comunque il partito meno sensibile alla causa.

I ddl in questione riguardano in particolare le misure per la riduzione dei rifiuti plastici, in accordo con le direttive del Parlamento europeo che hanno vietato i prodotti monouso di derivazione dal petrolio. Ma vi sono anche proposte per promuovere lo sviluppo di spazi verdi, per favorire i veicoli a basse emissioni inquinanti e appunto per implementare l’educazione ambientale nelle scuole.

L'impatto ambientale: come siamo visti in Europa e nel mondo

Secondo l’Indice di sostenibilità ambientale (EPI), un metodo sviluppato da una collaborazione fra due università americane e la Commissione europea per quantificare le prestazioni ambientali di un paese, nel 2018 l’Italia ha registrato un punteggio di 76.96, classificandosi al sedicesimo posto. Le quindici posizioni che ci precedono sono tutte occupate da paesi europei, non solo i “big” dell’UE, ma anche Malta, Irlanda, Austria, Lussemburgo e i paesi scandinavi. Invece, per quanto riguarda le infrazioni commesse da uno stato membro dell’Unione riguardo a politiche ambientali, l’Italia è preceduta solamente da Spagna e Grecia.

Lo scorso 7 marzo la Commissione europea ha deferito l’Italia alla Corte di Giustizia per l’inquinamento atmosferico. Il problema legato allo smog non è nuovo nel nostro paese: con l’atto, la Commissione ha invitato l’Italia a rispettare i valori limite della qualità dell’aria convenuti in sede europea, ricordando che già in maggio 2018 la questione era stata sollevata a causa dei livelli eccessivamente elevati di particolato Pm10. Oltre ad un problema di violazione delle normative antismog, l’Italia è stata sottoposta anche ad un secondo procedimento di infrazione sulla qualità dell’aria iniziato nel 2015, per il superamento dei limiti di biossido di azoto (NO2).

Nel 2017 la Commissione Junker aveva evidenziato come nel nostro paese le questioni ambientali avessero una priorità relativamente bassa, aggiungendo che le normative in materia fossero frutto principalmente di regolamenti e direttive UE, piuttosto che dell’iniziativa del governo italiano. In quello stesso anno, un’inchiesta ha rivelato come il 78% degli italiani desiderasse un intervento maggiore da parte di Bruxelles nella protezione dell’ambiente, a dimostrare la poca fiducia nelle istituzioni di Roma per quanto riguarda la lotta all’inquinamento e al cambiamento climatico.

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