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Bonus per le madri lavoratrici: 40 euro al mese per chi ha almeno due figli

Il Consiglio dei Ministri rafforza il sostegno economico alle madri lavoratrici: un bonus mensile di 40 euro, esentasse, verrà riconosciuto a chi ha almeno due figli, accreditato in un’unica soluzione a fine 2025. Previsti anche incentivi per famiglie numerose, lavoratrici autonome e contratti a termine.
A cura di Francesca Moriero
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mamme lavoratrici

Il governo interviene a sostegno della genitorialità femminile con una misura specifica rivolta alle madri che lavorano: nella seduta del 20 giugno, il Consiglio dei Ministri ha approvato un ampliamento del bonus madri lavoratrici, il fondo già previsto nella legge di bilancio, destinato a sostenere economicamente le donne con figli che continuano a essere attive nel mondo del lavoro. L'intervento prevede l'aumento delle risorse stanziate: 180 milioni di euro in più, che portano il fondo totale per il 2025 a 480 milioni. Una decisione che mira a fornire un aiuto concreto e simbolico alle madri, in un Paese che da anni fa i conti con un calo demografico marcato e una difficoltà persistente nel conciliare carriera e vita familiare.

Il bonus: 40 euro al mese, accreditati a fine anno

Il cuore della misura è un bonus mensile di 40 euro, riservato alle madri lavoratrici con almeno due figli, a condizione che il più piccolo non abbia ancora compiuto dieci anni. L'importo, seppur contenuto, viene erogato esentasse, dunque non soggetto a contributi previdenziali, e si traduce quindi in un incremento netto dello stipendio. Il bonus non sarà accreditato mese per mese, ma confluirà in un’unica soluzione a dicembre 2025, per un totale annuo di 480 euro. La scelta di accorpare i pagamenti potrebbe facilitare la gestione amministrativa, ma rischia di ridurre l’impatto immediato del sostegno mensile sulle spese quotidiane delle famiglie.

Estensione anche alle lavoratrici autonome e precarie

Oltre alle dipendenti con contratto stabile, la misura include anche le lavoratrici autonome, le libere professioniste e quelle con contratto a tempo determinato. Per loro, il bonus sarà identico: 40 euro al mese, sempre pagati in un’unica tranche a fine anno. L'inclusione di queste categorie rappresenta un elemento di equità, riconoscendo il ruolo delle madri che lavorano in condizioni meno tutelate e spesso più precarie. Non si tratta però di un aiuto strutturale, né di un ammortizzatore sociale: il bonus rimane un contributo economico una tantum, privo di effetti sul lungo termine.

Confermati gli incentivi per chi ha tre o più figli

Il decreto approvato proroga anche le misure già previste per le famiglie numerose: le madri con tre o più figli, se impiegate con contratto a tempo indeterminato, potranno continuare a beneficiare degli incentivi già introdotti dalla manovra di bilancio, con estensione fino al 2026. Questa proroga intende sostenere la natalità e favorire il mantenimento del lavoro da parte delle madri in nuclei più numerosi, ritenuti più esposti al rischio di esclusione economica. La differenziazione per tipologia di contratto però resta: chi non ha un contratto stabile potrà contare solo sul bonus annuale da 480 euro.

Sostegno alla natalità o misura simbolica?

L'intervento viene presentato dal Governo come un tassello della più ampia strategia per invertire la tendenza alla denatalità. Ma se da un lato il riconoscimento economico alle madri è un segnale positivo, dall’altro le cifre coinvolte rischiano di essere più simboliche che risolutive: molte associazioni che si occupano di conciliazione lavoro-famiglia sottolineano che 40 euro al mese difficilmente coprono i reali costi legati alla cura dei figli, specie nei primi anni di vita. Inoltre, l'assenza di misure complementari, come il potenziamento dei congedi, degli asili nido o della flessibilità lavorativ, lascia irrisolta la questione strutturale della disparità di genere nel mercato del lavoro. Altro punto critico evidenziato da alcune voci del mondo sociale è il fatto che la misura sia rivolta esclusivamente alle madri. Anche se l'intento è chiaro, infatti, cioè sostenere le donne che più spesso rinunciano al lavoro per motivi familiari, resta comunque l’assenza di una visione paritaria, che coinvolga anche i padri nel ruolo di caregiver.

In un’ottica moderna di condivisione delle responsabilità familiari, molti esperti invitano a considerare politiche universali per la genitorialità, capaci di rafforzare entrambi i ruoli, femminili e maschili, nel compito educativo e domestico.

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