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Bombardieri (Uil) a Fanpage: “Green pass obbligatorio sul lavoro? C’è già l’accordo sulla sicurezza”

L’ipotesi di estendere l’utilizzo del green pass a tutti i luoghi di lavoro divide l’Italia. Il segretario generale della Uil, Pierpaolo Bombardieri, intervistato da Fanpage.it, spiega che “sul tema della sicurezza c’è un accordo molto importante firmato con le controparti”. In generale le organizzazioni sindacali hanno sempre “sostenuto la necessità di vaccinarsi” contro il Covid, ma “quando si parla di green pass obbligatorio o di vaccinazione obbligatoria serve una legge dello Stato, che oggi non c’è”.
A cura di Tommaso Coluzzi
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In Italia si discute del green pass obbligatorio, che dal 6 agosto scatterà per una lunga lista di attività. Ma la prossima settimana il governo sarà chiamato a decidere se estenderlo anche a scuola e trasporti e poi potrebbe toccare al mondo del lavoro in generale. L'ipotesi è stata lanciata in primis da Confindustria ed è in piedi già da qualche giorno, ma esperti e giuristi hanno spiegato che, senza inserire una legge che prevede l'obbligo vaccinale, il green pass sul lavoro al momento è inattuabile. I sindacati, intanto, sottolineano che un protocollo di sicurezza sui luoghi di lavoro c'è già e ha funzionato molto bene fino ad ora. Il segretario generale della Uil, Pierpaolo Bombardieri, ha risposto alle domande di Fanpage.it proprio su questo tema e su cosa succederà nel mondo del lavoro nei prossimi mesi. Se da un lato oggi si parla soprattutto di green pass obbligatorio, dall'altro la preoccupazione per i licenziamenti, per i giovani, per la sicurezza, per gli ammortizzatori sociali e per le pensioni resta ancora altissima.

Segretario Bombardieri si parla tanto di green pass obbligatorio sul posto di lavoro, qual è la vostra posizione?

La nostra posizione è che sul tema della sicurezza c'è un accordo molto importante firmato con le controparti. Poi come organizzazioni sindacali abbiamo da sempre sostenuto la necessità di vaccinarsi e abbiamo invitato e provato a convincere chi aveva dei dubbi a farlo, perché il vaccino è l'unico strumento per combattere la pandemia. Siamo d'accordo sull'utilizzo del green pass quando si parla di concerti, di partite o di grandi manifestazioni che in qualche modo abbiano un impatto sul distanziamento sociale. Quando però si parla di green pass obbligatorio o di vaccinazione obbligatoria, noi rispondiamo che serve una legge dello Stato, che oggi non c'è. I temi sono due: la vaccinazione e la libertà di ognuno di scegliere il proprio percorso di cura o di tutela della salute. In tutto ciò, però, non vorremmo che questa discussione sul green pass sia un espediente per non parlare di altro: ricordo che, anche con la seconda dose di vaccino, sul posto di lavoro nessuno può pensare di eliminare i dispositivi di sicurezza e le misure di distanziamento che sono obbligo di legge e necessari. Anche perché la scienza oggi ci dice che anche con il secondo vaccino o con il green pass non siamo completamente al sicuro dall'eventuale rischio contagio. L'impressione è che oggi si parli di green pass sui posti di lavoro come se fosse la soluzione di tanti problemi, ma le misure di sicurezza devono rimanere.

A un mese dalla fine del blocco dei licenziamenti cosa è successo nel mondo del lavoro italiano e soprattutto cosa succederà nei prossimi mesi?

Intanto sta avvenendo quello che noi temevamo, cioè che lo sblocco dei licenziamenti desse la possibilità a molte aziende di aprire una serie di percorsi sui quali noi chiedevamo più tempo e altre risposte. Tra l'altro ci sono una serie di situazioni che stiamo verificando nelle quali molte aziende pensano di utilizzare i licenziamenti individuali anziché collettivi, per non salire agli onori della cronaca o per evitare contrasti con i sindacati. La situazione è preoccupante rispetto alle aziende che hanno aperto procedura di licenziamento con una mail o con un messaggino, ma siamo soprattutto preoccupati per quello che avverrà a settembre. In questo periodo bisogna riflettere, lo dico pensando al governo e alla politica, su come ci si rapporta con le grandi multinazionali: alcune di quelle aziende che oggi hanno avviato le procedure di licenziamento lo avrebbero tranquillamente potuto fare due mesi fa. E allora perché lo hanno fatto oggi, alla fine del periodo del blocco dei licenziamenti? Probabilmente perché queste aziende hanno preso i soldi, i contributi che hanno potuto, e quando hanno capito che la festa era finita hanno deciso di rendere chiaro il fatto che avrebbero delocalizzato. Questo punto va affrontato.

Il ministro Orlando aveva promesso la bozza di riforma degli ammortizzatori sociali entro luglio, a che punto siamo?

C'è un confronto, anche abbastanza articolato, che si sta svolgendo in questi giorni e in queste ore. Devo dire che il ministro è stato di parola. Noi aspettiamo che su questa riforma, che si sta mettendo a punto, ci sia però il confronto e il conforto di tutto il governo. Perché è una riforma che costa ed è chiaro che sarà necessario che il governo nella sua collegialità decida di dare coperture economiche. Bisogna capire se adesso il Mef e tutto il governo deciderà di andare avanti, ma siamo soddisfatti, non siamo arrivati alla fine però è stato fatto assolutamente un buon lavoro.

Un altro tema aperto sul tavolo del governo è quello relativo alle pensioni, anche perché allo stato delle cose il 1 gennaio si torna alla Fornero…

Anche sulle pensioni si è aperta una discussione con il ministro Orlando. A quella discussione noi abbiamo presentato la piattaforma unitaria di Cgil, Cisl e Uil sulla riforma delle pensioni. Abbiamo fatto proposte molto nette, molto precise, molto chiare, che dicono che secondo noi è possibile riformare le pensioni intanto separando la famosa assistenza dalla previdenza. La nostra proposta prevede la possibilità di andare in pensione a partire dai 62 anni, con una flessibilità in uscita sulla quale bisogna ragionare. Continuiamo a sostenere che chi ha 41 anni di contributi deve poter andare in pensione a prescindere dall'età anagrafica, e chiediamo risposte e attenzione ai giovani e alle donne, che rischiano di rimanere mortificati da una situazione lavorativa che ovviamente peserà nella definizione delle pensioni. Abbiamo illustrato la nostra posizione al ministro, ma ci rendiamo conto che anche in questo caso la risposta deve darla il governo. Anche perché la coalizione politica che lo sostiene è eterogenea e su questo tema pare avere posizioni diverse.

Abbiamo parlato dei giovani, che hanno pagato a caro prezzo la crisi economica dovuta alla pandemia e che sono accusati di essere svogliati e di preferire il reddito di cittadinanza al lavoro. Cosa si sta facendo per loro?

Aggiungerei il fatto che ci sono due milioni di ragazzi che oggi non cercano né lavoro né formazione. Quando si dice in giro che i giovani non vogliono lavorare perché hanno il reddito di cittadinanza dico semplicemente che non è vero. Abbiamo le nostre sedi piene di ragazzi e ragazze che ricevono offerte di questa natura: c'è chi assume part time, magari 3 ore al giorno, ma poi ti fa lavorare 12 ore al giorno e ti paga forse un'altra parte in nero. Oppure abbiamo ragazzi che vengono chiamati attraverso società di intermediazione di manodopera e prendono fra i 2 e i 3 euro l'ora, se e quando li prenderanno. Io dico che chi rifiuta questi lavori fa bene, perché c'è un limite oltre il quale la dignità del lavoro e delle persone non può essere calpestata. Abbiamo chiesto al governo di predisporre nella riforma delle politiche attive del lavoro un grande piano di formazione e qualificazione professionale, che sia in grado di incrociare domanda e offerta di lavoro. Anche perché c'è una grande carenza da parte delle aziende, che non sono in grado di identificare quali sono le figure professionali che serviranno da qui a due o tre anni. E inoltre bisognerebbe investire sulle strutture di orientamento che devono fare di più.

Come Uil portate avanti da tempo una battaglia sulla sicurezza sul lavoro, ma gli incidenti continuano a mietere quotidianamente vittime. Cosa si sta facendo per cambiare le cose?

Poco, si sta facendo poco. C'è scarsa sensibilità da parte di tutti, mentre i numeri purtroppo aumentano anche in percentuale. Abbiamo più morti di quanti ne avevamo l'anno scorso, di cui più di 600 dovuti a contagi da Covid sul posto di lavoro, e non vediamo una reazione forte come ci saremmo aspettati. Servono gli ispettori, ma servono velocemente. Noi continuiamo a chiedere l'istituzione di una patente a punti per le aziende che violano le norme. Io sono un po' più drastico e dico che le aziende che non rispettano la sicurezza non devono poter concorrere ai bandi dove ci sono soldi pubblici. Chiediamo che ci sia un impegno sulla sicurezza sul lavoro e che si costruisca un percorso che parta dalla scuola, per cominciare a parlarne. Inoltre abbiamo chiesto al presidente Draghi di istituire una cabina di regia sul tema, perché va affrontato tutti insieme. Siamo preoccupati, perché c'è un'altra logica che sta emergendo: molte aziende non cercano solo di riprendere la propria attività, ma cercano di recuperare il profitto perso durante quest'anno di pandemia e ovviamente lo fanno accelerando i ritmi, aumentando gli orari, sulla pelle dei lavoratori.

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