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Beni confiscati a mafie, Fondazione con il Sud: “Straordinaria opportunità sviluppo e occupazione”

Carlo Borgomeo, presidente della Fondazione con il Sud, parla in occasione dei 25 anni della legge 109/96 per il riutilizzo pubblico e sociale dei beni confiscati alle mafie: “Bisogna convincersi che siamo di fronte ad una straordinaria opportunità di sviluppo ed occupazione”, afferma in un’intervista a Fanpage.it.
A cura di Redazione
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di Sergio Nazzaro

La legge 109/96 per il riutilizzo pubblico e sociale dei beni confiscati alle mafie compie 25 anni. Dal 7 marzo del 1996 la restituzione alla collettività delle ricchezze e dei patrimoni sottratti alle organizzazioni criminali è diventata un'opportunità di impegno responsabile per il bene comune, come spiega Carlo Borgomeo, presidente di Fondazione con il Sud. Intervistato da Fanpage.it sottolinea: “I Beni Confiscati oggi sono una realtà di economia sociale e legale, concreta e fattiva. Eppure ancora troppi ostacoli si interpongono e c’è bisogno di ampliare la visione di una delle leggi più innovative mai realizzate non solo in Italia ma in Europa”.

Bene confiscato alla mafia, ovvero un bene che viene restituito alla comunità. È sufficiente questa definizione, oppure è necessario aggiungere altro, aggiornare questa definizione, per comprendere la dimensione dei beni confiscati in Italia? 

La definizione è perfetta. La valorizzazione di un bene confiscato a fini sociali è la risposta più alta nella lotta alle mafie: proprio perché l'operazione rafforza la dimensione comunitaria. Una comunità forte, coesa è l'esatto contrario delle mafie che privilegiano le reti verticali, fatte di fedeltà, di dipendenza, di scambio, di violenza. Piuttosto va recuperato il senso della valorizzazione dei beni confiscati in una prospettiva più vasta: le dimensioni del fenomeno, tra beni immobili, aziende, risorse finanziarie, sono tali da meritare un intervento più forte ed organico di quello reso possibile dall'attuale quadro legislativo ed amministrativo. Bisogna convincersi che siamo di fronte ad una straordinaria opportunità di sviluppo ed occupazione.
L'affermazione della legalità è piena se ci si convince , e si opera concretamente in tal senso, che la legalità conviene.

Una sua posizione netta sul terzo settore è "non siamo buoni siamo efficienti", riconoscendo un ruolo fondamentale che potrebbe avere lo stesso terzo settore nella gestione delle risorse pubbliche. Perché si rimane ancora con la visione dei buoni ragazzi che lottano a mani nude contro le mafie?

È un ragionamento che non vale solo per la lotta alle mafie. Si fatica a riconoscere al Terzo settore il ruolo che merita: non più un marginale comprimario nelle politiche di welfare, cui si guarda con ammirazione e benevolenza. Ma un soggetto capace di attuare interventi e politiche complesse; di sviluppare imprese non profit, efficaci ed efficienti; capaci di sviluppare legami positivi sui territori. Le importanti esperienze in tema di valorizzazione di beni confiscati non sono più quindi da considerare come straordinari esempi di generosità, di capacità innovativa, in qualche caso di coraggio; ma come modelli da assumere a riferimento nella definizione di politiche più generali.

Il 25 marzo 1996 nasce la legge 109 sulla gestione dei beni confiscati, una legge innovativa e unica in Europa. Dopo 25 anni c'è bisogno di aggiornarla, migliorarla, o possiamo continuare con la stessa legge?

No. Senza dimenticare che è una legge importantissima che ha fatto e sta facendo scuola nel mondo; senza sottovalutare i grandi risultati che essa ha consentito di realizzare, bisogna dire che c'è bisogno di cambiarla, non con continui correttivi ed aggiustamenti, ma con alcune radicali innovazioni: una decisa modifica delle procedure per le aziende confiscate, che riducano drasticamente i tempi di valutazione sulla sostenibilità di quelle aziende al di fuori dei circuiti mafiosi, ridimensionando fortemente le amministrazioni giudiziarie, spesso inutilmente lunghe e costose; concentrare in un unico soggetto la responsabilità della gestione dei beni, comprese le risorse finanziarie. Modificare la natura giuridica dell'Agenzia rendendola più flessibile e dotata delle professionalità necessarie; decidere che tutte le risorse finanziarie confiscate siano destinate alla valorizzazione dei beni confiscati. Bisogna farlo, anche per evitare che, di fronte all'inadeguatezza del sistema, passi una linea che, rinnegando lo spirito della legge di cui festeggiamo il compleanno, punti ad una semplificazione, apparentemente efficiente, ma disastrosa dal punto di vista sociale ed economico: vendere immediatamente tutti i beni confiscati.

Un bene confiscato è il segno tangibile della sconfitta delle mafie, e ovviamente rimane nel mirino della criminalità organizzata che lo vede come un proprio esproprio. Numerosi i casi di danneggiamento agli stessi negli anni. Dall'altra parte, però, si avverte non sempre una reale cura da parte delle amministrazioni pubbliche dove insistono, cioè i beni confiscati non vengono avvertiti come beni dello Stato che vanno tutelati e con essi chi vi lavora. Sensazione errata?

No. In molte situazioni è così. Ma al netto di situazioni in cui le amministrazioni comunali hanno ancora un certo timore verso i boss locali, situazioni comunque minoritarie, vi è un problema di risorse economiche. Un esempio è l'ultimo bando dell'Agenzia: mille beni confiscati da dare in gestione diretta a soggetti di Terzo settore.  Ma le risorse per le ristrutturazioni e per avviare le attività? Torniamo quindi al mio ragionamento di prima.

La rete dei beni confiscati in Italia ha creato e continua a creare una reale economia sociale, welfare, servizi sociali. Cosa è necessario porre in essere perché queste esperienze siano protette, soprattutto ora che vengono colpite dalla crisi economica provocata dalla pandemia da Covid-19?

Non mi piace il termine "protette". Molte di queste imprese, come le altre, soffrono il peso della crisi e come le altre vanno aiutate con misure di sostegno. Il problema si riferisce alle esperienze in fase di start-up che hanno interrotto il loro sforzo iniziale e che andrebbero sostenute con iniziative specifiche. Torniamo sempre al tema centrale: in un disegno organico queste risorse dovrebbero essere disponibili  "dentro" il sistema delle confische. Non basta più l'intervento delle Fondazioni o di qualche Amministrazione locale illuminata.  Bisogna innovare, con coraggio, il sistema.

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