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Apriva ai migranti solo se dimostravano di non avere malattie: ordinanza del sindaco è razzista

È razzista e discriminatoria l’ordinanza dell’ex sindaco di Alassio, con la quale si permetteva l’insediamento nel Comune a cittadini africani o sudamericani solo se presentavano un certificato che testimoniava l’assenza di malattie trasmissibili. Lo stabilisce il Tribunale di Savona: “Si è realizzata una forma di discriminazione, attraverso un atto amministrativo, su pura base razziale, senza spiegare né indicare la ragione per la quale i soli soggetti aventi quell’etnia dovessero essere “pericolosi” per la salute pubblica”, spiegano le motivazioni della sentenza.
A cura di Annalisa Girardi
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Aggiornamento: Aggiungiamo parte del comunicato stampa pubblicato dal Comitato per gli Immigrati e contro ogni forma di discriminazione, che all'epoca aveva denunciato i fatti per la condotta discriminatoria. "Possiamo ritenerci fieri ed orgogliosi di un sistema giudiziario che in Italia difende i diritti civili ed umani di tutti e dunque anche di noi Migranti. Oggi siamo davvero molto emozionati", ha commentato la presidente del Comitato  Aleksandra Matikj. Per poi aggiungere: "Ci era chiaro che quell’ordinanza, firmata nel 2015, che vietava l’ingresso e la permanenza nel Comune di Alassio a chi è di nazionalità africana, asiatica o sudamericana per motivi igienico-sanitari, se non erano in grado di documentare con un certificato sanitario il loro essere immuni di ogni malattia infettiva, era palesemente discriminatoria".

Lo ha stabilito il Tribunale di Savona. L'ordinanza risalente al 2015 e firmata dall'ex sindaco di Alassio, con la quale si permetteva l'insediamento nel Comune a cittadini africani o sudamericani solo se presentavano un certificato che testimoniava l'assenza di malattie trasmissibili, è razzista e discriminatoria. Un provvedimento che non aveva nulla a vedere con esigenze sanitarie specifiche, ma che era basata solo sulla razza e sul Paese di provenienza degli stranieri. Perché, inutile dirlo, a cittadini di altre nazionalità nessuna prova del genere veniva richiesta.

Cosa stabiliva l'ordinanza

La vicenda risale a sei anni fa. Enzo Canepa, esponente di Cambiamo e allora primo cittadino di Alassio, aveva firmato un'ordinanza con la quale impediva di stabilirsi nella cittadina ligure in assenza di un "regolare certificato sanitario attestante la negatività da malattie infettive e trasmissibili". Dal tribunale di Savona era però arrivata la notifica di un decreto di condanna, chiesto dal sostituto procuratore, con una sanzione di 3.750 euro. Il motivo? Discriminazione razziale.

La sentenza della Cassazione

A dicembre la sentenza definitiva della Cassazione, di cui oggi sono arrivate le motivazioni, riportate dal Sole 24 Ore. L'ex sindaco si era difeso affermando che l'ordinanza era stata una conseguenza della "dovuta preoccupazione dovuta ai molteplici casi di scabbia documentati nel ponente ligure ed alcuni focolai di polmonite". In altre parole, sarebbe stata una questione di salute pubblica. Non è andata così, chiariscono i giudici di Savona, che condannano l'ex sindaco.

Le motivazioni: "Provvedimento discriminatorio e razzista"

La normativa di riferimento è la legge 654/1975, nell'articolo 3, contro la diffusione dell'odio razziale per cui va condannato chi incita alla discriminazione in qualsiasi modalità. Nessun pericolo per la salute pubblica, ma discriminazione di precisi individui, in particolare africani e sudamericani. "Si è realizzata una forma di discriminazione, attraverso un atto amministrativo, su pura base razziale, senza spiegare né indicare la ragione per la quale i soli soggetti aventi quell’etnia dovessero essere “pericolosi” per la salute pubblica e si è richiesta per il superamento una prova irrealizzabile per la ragione indicata, non potendo la Asl rilasciare certificati aventi quel contenuto", spiega la Corte Suprema. Infatti, molte delle persone colpite dall'ordinanze erano stranieri senza fissa dimora che non potevano usufruire del Servizio sanitario nazionale che avrebbe dovuto rilasciare il certificato in questione.

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