Altre barche si uniscono alla Flotilla. L’attivista di 77 anni in viaggio verso Gaza: “Lo faccio anche per mio figlio”

Mentre il Paese si mobilita e scende in piazza, ci sono altre barche in partenza dall'Italia, che dovrebbero unirsi alla missione della Global Sumud Flotilla, in questo momento in Grecia, nelle vicinanze di Creta. Nuove imbarcazioni al momento ormeggiate a Otranto e a Catania si muoveranno domani per unirsi al resto della spedizione, con l'obiettivo di portare aiuti umanitari a Gaza e rompere il blocco di Israele.
La nuova missione della Freedom Flotilla Coalition, coinvolge circa un centinaio di persone tra attivisti, cittadini comuni, medici, infermieri, giornalisti e politici. Si prepara a partire anche la Conscience, nave ammiraglia, battente bandiera Timor Est, attraccata a Otranto, che può ospitare fino a 100 persone, e il cui equipaggio proviene dalla Turchia. La nave, il 2 maggio scorso, è stata bombardata da droni mentre si trovava in acque internazionali: durante quell'attacco il primo sparo ha centrato l'esterno dello scafo, che ha cominciato a imbarcare acqua. Successivamente sono stati colpiti il ponte di prua e la zona dei generatori.
La Freedom Flotilla Italia, ha spiegato che la partenza prevista per oggi, slitta a causa delle condizioni meteo: la Conscience sarà una vera e propria nave di assistenza sanitaria e supporto, e dovrebbe essere l'ultima a partire, da Otranto, il 29 o 30 settembre. Domani pomeriggio dovrebbero invece partire dal porto pugliese due barche a vela, che nel giro di un giorno dovrebbero raggiungere Corfù, e poi dopo tre giorni di navigazione dovrebbero unirsi al gruppo di barche che si trovano nelle vicinanze di Creta.
Già nelle scorse notti droni non identificati, ma presumibilmente di Israele, hanno sorvolato in diversi momenti le barche della flotta già in mare, come avvertimento. E ieri notte si è verificato l'attacco più aggressivo, con la caduta di diversi droni e lancio di bombe sonore e materiale urticante. Alcune imbarcazioni a vela hanno anche subito danni (ma non ci sono stati feriti).
Nei mesi scorsi c'erano già stati tentativi di raggiungere la Striscia di Gaza: l'esercito israeliano ha intercettato e bloccato la nave Handala della Freedom Flotilla Coalition, fermando anche i membri dell’equipaggio. Ora chiaramente la situazione è in divenire, bisognerà capire cosa accadrà nelle prossime notti, e se una barca della flotta dovesse subire ingenti danni, potrebbe essere costretta a interrompere la traversata. Non bastano a dissipare tutti i dubbi le parole appena pronunciate dal ministro della Difesa Crosetto, che ha condannato l'attacco subito dalla Sumud Flotilla e non basta neanche l'aver inviato sul posto la fregata Fasan della Marina Militare, che potrebbe svolgere un'eventuale attività di soccorso: dopo gli ultimi episodi di questa notte la situazione si fa più incerta.
Per il momento, si procede come da programma. L'obiettivo resta quello di portare il carico di aiuti direttamente a Gaza – tramite trasbordo su gommoni – ignorando la richiesta di Israele di sbarcare al porto di Ashkelon, e consegnare cibo e medicinali alle forze di Tel Aviv. Ieri il ministro degli Esteri israeliano ha espresso rammarico per il rifiuto della Global Sumud Flotilla di accettare la sua "proposta di trasferire, in modo coordinato e pacifico, qualsiasi aiuto a bordo della flottiglia alla Striscia di Gaza tramite il vicino porto turistico di Ashkelon". Per Tel Aviv, questo evidenzierebbe la mancanza di buona fede dei membri della flottiglia "e la loro missione di servire Hamas, piuttosto che la popolazione di Gaza". Il ministero ha quindi lanciato l'ennesima minaccia: se la Flotilla "continuerà a respingere la proposta pacifica di Israele, questo adotterà le misure necessarie per impedirne l'ingresso nella zona di combattimento e per porre fine a qualsiasi violazione di un legittimo blocco navale, facendo al contempo ogni sforzo possibile per garantire la sicurezza dei suoi passeggeri".
A bordo di una delle due barche a vela ormeggiate al porto accanto alla Conscience, e che salperanno domani pomeriggio da Otranto, c'è anche Nino Rocca, un attivista palermitano di 77 anni, professore di storia filosofia in pensione, da sempre impegnato in tematiche sociali, all'estero e soprattutto nella sua città, dove si è occupato di emergenza abitativa – fa parte del Comitato di lotta per la casa 12 luglio – diritti dei migranti, vittime di tratta e tossicodipendenti.
Nino, il più anziano di questo nuovo gruppo in partenza, si trova già a Otranto da qualche giorno, e ha già completato insieme agli altri membri dell'equipaggio tutte le procedure per imbarcarsi. "Attualmente sulla barca siamo in quattro, non so se arriveranno nelle prossime altri attivisti. Poi c'è un'altra barca a vela con altre cinque o sei persone. Dovremmo partire doman i pomeriggio, abbiamo ritardato per il vento di scirocco", racconta a Fanpage.it.
Per il professore palermitano partire oggi è assolutamente necessario, nonostante i rischi: "Perché ho scelto di prendere parte alla missione? L'ho fatto per le nuove generazioni, l'ho fatto mio figlio, per i miei nipoti. Perché se non si fa qualcosa, se non si attua questo cambiamento epocale, restituendo valore alle organizzazioni per i diritti umani, magari cambiandole per renderle più sicure e più forti, il mondo di domani sarà governato dalla legge della giungla, dalla legge del più forte, e non ci sarà più alcun rispetto dei diritti umani. La Palestina ormai ha acquistato un valore simbolico, perché rappresenta l'umanità dei diritti, che si vuole negare. Purtroppo non è l'unico posto in cui è in corso un genocidio e uno sterminio. Questo avviene in molti Paesi africani, ma di questi non si parla. Anche Israele ha acquistato un valore simbolico, in senso negativo".
Nino sa che ad aspettarlo ora ci sono almeno 15 giorni di navigazione. Secondo lui non è possibile accettare la proposta di Tel Aviv di consegnare i viveri e le medicine alle forze israeliane ad Ashkelon: "Certamente questo è un piccolo segnale di cambiamento rispetto al passato, almeno dal punto di vista diplomatico. Anche se probabilmente i viveri e le medicine lasciate nelle mani degli israeliani non arriverebbero a destinazione. Bisognerebbe poi contrattare sul posto delle garanzie, per avere la certezza che gli aiuti arrivino. Gli israeliani potrebbero per esempio concedere a qualcuno degli attivisti di scendere, per accompagnarli nello smistamento dei viveri. Ma sono ancora ipotesi. La situazione è in continuo mutamento. Adesso comunque osserviamo che i rapporti di forza si vanno modificando. Non c'è più da una parte Israele e dall'altra la piccola imbarcazione a vela. La situazione durante la missione della nave Handala era troppo sbilanciata, c'era una sproporzione, non c'era tutta questa attenzione da parte dell'opinione pubblica. Abbiamo sentito una grande solidarietà da parte della società civile in occasione dello sciopero del 22 settembre – ci dice Nino al telefono – che ha messo in crisi la politica del governo".
L'attivista 77enne è consapevole dei rischi, e dei droni mandati a sorvolare dall'alto la navigazione della Flotilla, sa che sono stati inviati per controllarli, per incutere timore agli equipaggi e farli desistere: "Sono minacce, sicuramente israeliane", dice Nino. "Ma Tel Aviv ogni giorno è sempre più isolata a livello internazionale. Sempre più Paesi, come hanno fatto Francia e Regno Unito, annunciano il riconoscimento della Palestina, e Netanyahu a un certo punto dovrà pur trovare il modo di riacquistare credibilità, altrimenti pagherà un prezzo alto".
Proprio ieri sera la presidente del Consiglio Meloni dall'Assemblea delle Nazioni Unite a New York, nonostante abbia sostenuto a lungo di non voler riconoscere lo Stato di Palestina, ha annunciato che proporrà una mozione per un riconoscimento ‘condizionato': ok allo Stato di Palestina, ma solo con il rilascio degli ostaggi e con l'esclusione di Hamas da qualsiasi dinamica di governo. Una mossa calcolata, sicuramente, anche per uscire da una situazione di ‘debolezza', viste le pressioni ricevute da parte dei cittadini e delle opposizioni. Ma è pur sempre un piccolo passo avanti.
"La locuzione latina ‘Si vis pacem, para bellum', che ci ha ingannato per tanto tempo, a poco a poco si va sgretolando. Perché noi stiamo preparando la pace, stiamo preparando le strutture per la pace, per fare quello che gli Stati, a livello diplomatico, non sono stati in grado di fare", spiega il prof.
Fino ad ora il sostegno alla Global Sumud Flotilla da parte del governo è stato praticamente nullo. Diversi membri dell'esecutivo, tra cui il ministro Tajani, hanno detto che assicureranno agli attivisti un'assistenza diplomatica, cosa diversa dalla protezione diplomatica. Chiedo a Nino Rocca se queste dichiarazioni lo preoccupano: "A me dispiace, perché il governo pagherà un prezzo per queste sue decisioni. Se vengono i militari israeliani a fare le vacanze in Sardegna, allora si attiva la protezione della Digos. Se i civili si imbarcano per un'azione umanitaria e politica, senza neppure un coltellino in mano, totalmente disarmati, non ricevono alcuna protezione dal governo. Se anche il genocidio viene sdoganato, allora non resterà più alcun argine dei diritti umani. Significa che chi avrà le armi più forti potrà governare il mondo. Non è concepibile".