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Cop 27, il vertice sul clima in Egitto

COP27, Meloni dovrebbe essere tutt’altro che conservatrice sul clima se ha davvero a cuore l’Italia

Sta per cominciare la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 2022 (COP27) a cui parteciperà anche un’Italia che dovrebbe impegnarsi seriamente verso una transizione ecologica.
A cura di Fabio Deotto
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Giorgia Meloni (Roberto Monaldo / LaPresse)
Giorgia Meloni (Roberto Monaldo / LaPresse)
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Questa domenica a Sharm El Sheik comincia COP27, il meeting internazionale più importante dell’anno, quello in cui i rappresentanti di nazioni, associazioni e settore privato dovrebbero riunirsi per trovare una strategia comune per affrontare la crisi climatica. Si tratta di un appuntamento cruciale, e non a caso ogni anno attorno a queste due settimane autunnali si agglutinano speranze e timori di chi lotta per far sì che questo mondo diventi progressivamente inabitabile. La COP26 di Glasgow, l’anno scorso, doveva essere il punto di partenza per una rivoluzione ecologica globale, avrebbe dovuto gettare le fondamenta per coordinare una decarbonizzazione globale ed equa. Non è stato così: ancora una volta gli interessi economici a breve termine hanno prevalso, e la montagna internazionale ha partorito giusto qualche topolino locale, e una lunga serie di impegni non vincolanti.

Sulla COP27, spiace dirlo, gravita molta meno attenzione, in particolare da parte dei rappresentanti del settore privato, il che significa che gli sforzi per ottenere risultati effettivi e vincolanti dovranno essere ancora più consistenti, e sarebbe lecito aspettarseli in particolar modo da quei paesi, come l’Italia, che già stanno affrontando pesantemente le ricadute della crisi climatica.

L’Italia è già pesantemente colpita

Esiste una falsa credenza, frutto di decenni di narrazioni distorte, secondo cui il nostro paese sarebbe ancora relativamente al riparo dalla crisi climatica. La realtà è che l’Italia è uno dei paesi più colpiti dal riscaldamento globale, basti pensare che se l’aumento medio globale di temperatura si assesta attorno agli 1,2 gradi al di sopra dei livelli pre-industriali, in Italia l’aumento medio si avvicina alla soglia dei 2 gradi. E si vede.

Le ultime due estati sono state tra le più calde e disastrose di sempre; quella del 2022, in particolare, ha visto alternarsi una siccità epocale ad alluvioni devastanti, il tutto condito da una quantità record di incendi incontrollabili, e chiuso da un ottobre assurdamente caldo, con temperature che superavano di oltre 10 gradi quelle attese. È facile, e anche consolatorio, pensare che si tratti di fenomeni straordinari, di eventi eccezionali non connessi tra loro: il fatto è che sono tutte manifestazioni della crisi climatica, ed erano state ampiamente previste dalla scienza del clima negli ultimi decenni.

Oggi l’Italia è un paese con un quinto del territorio a rischio desertificazione e con il 91% delle città a rischio di frane o allagamenti, un paese che negli ultimi 40 anni ha contato 20.000 morti e 300.000 sfollati per colpa di eventi metereologici estremi. La situazione, dunque, è già critica, e in assenza di una mitigazione globale drastica è destinata a peggiorare parecchio: le stime pubblicate di recente da Legambiente rivelano infatti che di qui ai prossimi decenni la crisi climatica potrebbe portare a perdite infrastrutturali per 15 miliardi di euro, a cui si aggiungeranno 160 miliardi per via della progressiva degradazione dei terreni coltivabili e altri 52 miliardi per il declino del settore turistico. Un leader politico che si picca di voler mettere al primo posto gli interessi dell’Italia, dovrebbe mettere in cima alle proprie priorità la lotta alla crisi climatica.

La favola del conservatorismo ambientalista

Cop27 a Sharm El Sheik (AP Photo/Peter Dejong)
Cop27 a Sharm El Sheik (AP Photo/Peter Dejong)

La neo-premier italiana Giorgia Meloni ha annunciato che parteciperà a COP27 di persona nelle giornate del 7 e dell’8 novembre; non è dato sapere nello specifico che tipo di impegni intenda assumere in quelle due giornate, ma a giudicare da quanto ha dichiarato alla Camera lo scorso 25 ottobre e dagli annunci fatti dal suo governo in questi pochi giorni di attività, non c’è molto margine per essere ottimisti.

Nel suo discorso di insediamento, la premier ha toccato la questione ambientale solo di striscio, nella seconda parte del suo intervento: “Sappiamo che ai giovani sta particolarmente a cuore la difesa dell’ambiente naturale – ha dichiarato, per poi aggiungere -. Quello che ci distingue da certo ambientalismo ideologico è che noi vogliamo difendere la natura con l’uomo dentro, coniugando sostenibilità ambientale, economica e sociale". Così dicendo, però, Meloni dimostra di non conoscere (o di fingere di non conoscere) le istanze del movimento climatico odierno, che si distingue da altri movimenti proprio per la scelta di anteporre l’essere umano a ogni ideologia, appoggiandosi a una solida base di evidenze scientifiche e adottando un approccio inclusivo che punta proprio a evitare che si formino steccati ideologici. Anche la scelta di introdurre la questione parlando di come la difesa dell’ambiente naturale stia a cuore ai giovani, come se fosse una questione anagrafica e non esistenziale, è sintomo di uno sguardo miope sulla questione.

Teniamo anche conto del fatto che se da un lato la piccola parentesi ambientale si è chiusa con il proposito di “accompagnare le imprese e i cittadini verso la transizione verde”, dall’altro nella prima parte del discorso Meloni aveva premesso, nell’introdurre il tema rinnovabili, che “i nostri mari possiedono giacimenti di gas che abbiamo il dovere di sfruttare appieno". Che è come dire: per noi transizione ecologica non equivale all’abbandono dei fossili; certo non prima di averli sfruttati fino all’ultima goccia. Alla luce di ciò, lo slogan: “Non c’è un ecologista più convinto di un conservatore” che tanto è stato ripreso dai giornali, quasi a voler dipingere Meloni come un’avanguardista conservatrice dell’ambientalismo, detentrice di una ricetta alternativa per salvare il mondo, appare come uno slogan privo di sostanza.

Perché la triste realtà dei fatti è che se vogliamo avere qualche possibilità di arginare una crisi climatica devastante sotto tutti i punti di vista (quello economico in primis), è necessario un ripensamento totale del sistema economico e produttivo, un abbandono il più rapido possibile delle fonti fossili, l’adozione di misure che riducano il dispendio energetico e velocizzino l’implementazione di infrastrutture rinnovabili. C’è bisogno di coraggio, c’è bisogno di visione politica, c’è bisogno di tracciare un orizzonte radicalmente diverso da quello che ci stiamo costringendo a fissare da decenni. In parole povere: c’è bisogno dell’esatto opposto del conservatorismo. Perché, per parafrasare Meloni, non c’è fossilista più convinto di un conservatore.

Un palcoscenico per il greenwashing

Bisogna anche tener conto che la COP 27, per come è stata organizzata, si presta bene a fare da palcoscenico protetto per qualunque politico voglia dare una ritinteggiata di verde al proprio operato. Lo scorso anno, a Glasgow, anche i più ostinati tra i leader fossilisti (Boris Johnson e Scott Morrison, per citarne due tra i più rumorosi) hanno snocciolato una retorica ambientalista di pura facciata, segno che a fronte di un movimento per il clima sempre più variegato e trasversale, e a fronte di una crisi sempre più evidente anche per chi non si informa nello specifico, la politica è stata costretta a metabolizzare quantomeno la forma del discorso climatico, lasciando da parte la sostanza.

Ma a Glasgow il movimento per il clima era presente, batteva contro i cancelli, organizzava manifestazioni e confronti, faceva fact-checking in diretta allo spudorato greenwashing di alcuni politici; questa volta andrà diversamente. Innanzitutto, perché Sharm El-Sheik è un posto isolato, difficile da raggiungere, una resort community a 500 chilometri dal Cairo; e in secondo luogo perché il regime di Abdel Fattah al-Sisi è organizzato per disinnescare preventivamente ogni protesta, sia tramite arresti e impedimenti burocratici (come segnalato già a settembre da Human Rights Watch), sia contingentando gli eventuali manifestanti designando un’area sorvegliata per le proteste, in un luogo distante dalle strutture del meeting e rigidamente sorvegliato.

L’appuntamento di Sharm El Sheik, dunque, rischia di trasformarsi da occasione storica a fiera degli slogan e del greenwashing (è il caso di ricordare, a questo proposito, che tra gli sponsor principali dell’evento figura Coca Cola, un'azienda che produce ogni anno 120 miliardi di bottigliette di plastica di cui solo una frazione viene riciclata e che richiedono tonnellate su tonnellate di petrolio per essere prodotte).

Come abbiamo visto dal suo discorso, Meloni si è dimostrata brava a usare gli slogan, ma io voglio sperare che non andrà a Sharm El Sheik solo per snocciolarne altri. Dopotutto, la scelta di partecipare a una COP non è scontata (negli ultimi quindici anni pochissimi altri primi ministri italiani hanno preso parte a questo appuntamento), e a più riprese ha ribadito la volontà di battersi sullo scacchiere internazionale per la difesa degli interessi nazionali. Rimane da capire cosa si intenda, in questo caso, con "difesa degli interessi nazionali".

Difendere la Contea da Mordor

Proteste al Cop27 di Sharm El Sheik (AP Photo/Peter Dejong)
Proteste al Cop27 di Sharm El Sheik (AP Photo/Peter Dejong)

Durante un webinar del think tank Ecco in vista della COP27, l’inviato italiano per il clima, l’ambasciatore Alessandro Modiano, ha annunciato che l’Italia si presenterà all’appuntamento con l’obiettivo di “salvaguardare gli obiettivi sul clima fissati alla COP26 di Glasgow”. Una promessa vaga, dal momento che non è chiaro cosa significhi “salvaguardare”, ma si tratterebbe comunque di una presa di posizione incoraggiante, se solo fosse credibile. La scelta del Governo Meloni di aprire ai rigassificatori e a nuove trivellazioni, infatti, è indice della volontà di ritardare l’addio alle fonti fossili. Non bastasse, questa settimana Reuters ha rivelato come il governo italiano stia cercando di alleggerire gli impegni assunti nella scorsa COP nell’ambito del BOGA (Beyond Oil and Gas Alliance), un progetto che riunisce 10 paesi europei e impone alle nazioni partecipanti uno stop al finanziamento di progetti fossili oltreconfine.

Nel rivendicare la necessità di puntare ancora su gas fossile e altri idrocarburi si tende a parlare dell’urgenza di ovviare alle ricadute della guerra in Ucrania, e in particolare al caro bollette (che, per inciso, potrebbe essere arginato di molto se solo si decidesse di tassare seriamente gli extraprofitti). Se questi sono gli “interessi nazionali” che il nostro governo andrà a difendere in Egitto, allora stiamo freschi (si fa per dire): il punto è che gli interessi globali e gli interessi nazionali coincidono quando si parla di crisi climatica, e quando si parla di crisi climatica non si parla solo di un problema ambientale, ma di una crisi che incide su ogni aspetto della nostra vita su questo pianeta.

Per ora sappiamo solo che alla COP27 l’Italia confermerà la decisione di stanziare 840 milioni all’anno per cinque anni, come parte di quei 100 miliardi all’anno promessi dai paesi industrializzati per sostenere le politiche climatiche nei paesi in via di industrializzazione. Ma considerando il divario economico, produttivo e climatico tra Nord e Sud del mondo, questi fondi sono drammaticamente sottodimensionati: la COP27 dovrebbe attuare un piano di risarcimento per i danni climatici passati, presenti e futuri che lo sviluppo incontrollato dei paesi occidentali ha causato alle nazioni meno ricche; dovrebbe predisporre una struttura di sostegno che, nell’ottica di una decarbonizzazione globale, garantisca a questi paesi di poter continuare il proprio sviluppo senza ricorrere alle fonti fossili; dovrebbe assumere impegni vincolanti sulla riduzione di emissioni, sulla tutela della biodiversità, del suolo e delle risorse idriche; e nel farlo dovrebbe tracciare le linee guida per velocizzare una transizione energetica ed ecologica equa.

A fronte di ciò, sorge il legittimo dubbio che questa misura sarà la foglia di fico con cui il governo coprirà la mancanza di progetti ambiziosi in materia di mitigazione, se non la volontà di rallentare l’abbandono delle fonti fossili.

Ma siccome la COP27 deve ancora iniziare, c’è ancora tempo per cambiare rotta. Giorgia Meloni e il suo ministro per l’ambiente potrebbero sfruttare questa occasione per mostrarsi davvero interessati agli interessi del proprio paese: potrebbero impegnarsi ad avviare una vera transizione energetica ed ecologica, predisponendo un piano di uscita dai fossili chiaro e definitivo (riconoscendo che il gas fossile non può essere una fonte di transizione); potrebbero sbloccare il piano nazionale per l’adattamento climatico, che da ben quattro governi prende polvere nei cassetti del ministero; ma soprattutto: potrebbero fare pressione ai tavoli internazionali perché la decarbonizzazione abbia una portata globale, perché vengano coinvolte in primo luogo le nazioni più inquinanti, come Usa e Cina e perché si prenda atto di quanto la crisi climatica interconnetta problematiche apparentemente lontane tra loro, e rappresenti la più grande minaccia esistenziale ed economica di sempre.

Attenzione: non si tratta di una questione ideologica; è una questione pratica. Per utilizzare la mitologia del Signore degli anelli, tanto cara a Giorgia Meloni e a molti dei suoi seguaci: si tratta di difendere quel che rimane della Contea prima che venga del tutto consumata dalle truppe di Sauron. A voler restare in questa allegoria fantasy, fino ad ora la destra italiana ha lavorato indefessamente per Mordor, avvallando misure lesive per la sopravvivenza della vita nella Terra di Mezzo, ma è ancora in tempo per liberarsi dell’anello e di tutta la distruzione che porta con sé. Certo, sempre che abbia davvero a cuore la salute, la sicurezza e il benessere dei propri cittadini.

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Fabio Deotto è scrittore e giornalista. Laureato in biotecnologie, scrive articoli e approfondimenti per riviste nazionali e internazionali, concentrandosi in particolare sull’intersezione tra scienza e cultura. Ha pubblicato i romanzi Condominio R39 (Einaudi, 2014), Un attimo prima (Einaudi, 2017) e il saggio-reportage sul cambiamento climatico “L’altro mondo” (Bompiani, 2021).  Insegna scrittura creativa alla Scuola Holden di Torino. Vive e lavora a Milano.
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