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Agli Stati generali della “cultura nazionale” la destra si incontra per piazzare i suoi nomi al Mibact

La destra vuole espugnare quella che ritiene essere l’ultima roccaforte della sinistra: la cultura. Un convegno con la partecipazione del ministro Gennaro Sangiuliano per organizzare l’offensiva fuori e dentro il parlamento. Con un obiettivo: cambiare regole e commissioni che assegnano fondi e finanziamenti.
A cura di Valerio Renzi
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Una cosa è certa: ai convegni in generale, e quelli sulla cultura non fanno eccezione, il cicaleggio dei corridoi rischia di coprire il discorso dei relatori. Succede ai convegni di sinistra, non fanno eccezione i convegni di destra. Succede anche alla lunga giornata di panel e dibattiti a "Pensare l'immaginario italiano", il titolo scelto per quelli che sono stati presentati come gli Stati Generali della cultura nazionale. Ma non è solo chiacchiera quella che avviene fuori dalle stanze: l'ansia di espugnare quella che è considerata l'ultima casa matta della sinistra, la cultura appunto, si esprime fuori dal dibattito ufficiale, dove ci si scambiano numeri, si stringono mani, si costruiscono nuove connessioni fuori e dentro le stanze del potere.

Gli organizzatori dell'iniziativa sono tre: Alessandro Amorese, parlamentare di Fratelli d'Italia e autore di diversi saggi (ovviamente tutti in vendita) dedicati alla militanza giovanile missina, fascista e postfascista, e poi Emanuele Merlino e Francesco Giubilei. Il primo è dirigente di Fratelli d'Italia, figlio proprio di quel Merlino il cui nome è tristemente legato alla stagione delle stragi di Stato, per il partito si occupa di organizzare la strategia culturale, illustrata in un documento intitolato Controegemonia; il secondo è l'enfant prodige della destra di governo, direttore della Fondazione Tatarella, segretario di Nazione Futura, giornalista ed editore, ma soprattutto opinionista ormai onnipresente in tv.

Entrambi sono stati chiamati dal ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano in qualità di consulenti al Ministero della Cultura, sono Giubilei e Merlino che hanno il compito di organizzare l'assedio alle roccaforti della sinistra e di organizzare il proprio mondo culturale di riferimento per metterlo nelle migliori condizioni per ottenere finanziamenti, sponsor, organizzare festival e valorizzare la propria voce.

Sono tre i tavoli tematici che offrono la possibilità di incontrarsi, scambiarsi opinioni e affinare strategie comuni. Uno è dedicato agli amministratori locali, uno all'incontro tra associazioni e fondazioni dell'area della destra destra di governo, e un altro a editori di piccole esperienze. Già dalla mattina si fa vedere a sorpresa Fabio Rampelli, il vicepresidente del Senato applauditissimo e ricercatissimo. Ma di parlamentari ne gironzolano diversi, tutti di Fratelli d'Italia.

È quando si parla di teatro e musica però che sembra emergere con più chiarezza l'obiettivo dell'incontro: per espugnare la casa matta della sinistra, bisogna espugnare il Mibact. Ad aprire e moderare il panel c'è Flaminia Camilletti della Verità che ripete il mantra: "Il mondo della cultura è molto chiuso, lo è dal Sessantotto". La solita storia della cultura di destra ostracizzata dal marxismo culturale che in modo onnipresente governerebbe tutto il jet set, l'editoria, il cinema e così via. Subito dopo è il momento di Paolo Marcheschi, senatore fiorentino di Fdi che lavora alla commissione Cultura: "Dobbiamo conoscerci e fare rete, per fare politica in un settore in cui spesso siamo alieni". Networking è la parola d'ordine, ma quando arriva alle proposte non va oltre a vagheggiare il coinvolgimento dei privati, magari dietro un'etichetta da proporre: MecenArt.

Poi arriva il momento dei protagonisti della cultura di destra, tanto invocata. Vincenzo Zingaro, regista teatrale, parla di una "mattanza culturale" dovuta al meccanismo dei finanziamenti, che escluderebbe in particolare modo le realtà non vicine al centrosinistra. Poi chiede di "recuperare il teatro classico" definanziato perché "dà fastidio a una parte politica, in nome di una sperimentazione che sa di ‘facciamolo strano' e poco altro". Da una parte il teatro nazionale, il suo canone anche se da innovare certo, dall'altra parole le novità, le avanguardie, la sperimentazione.

Interviene poi il coreografo Luciano Cannito che parla del teatro e della lirica italiana come "colonizzati" da direttori stranieri, vittima di "un senso di inferiorità inconsapevole". La colpa? "Di un predominio culturale nelle mani di un oligarchia. La cultura quella vera, quella umanistica, non può fare liste di proscrizione né essere piena di preconcetti". Ancora una volta il vittimismo degli eterni esclusi. Ma quindi come deve essere il teatro di destra? Lo dice Stefano Angelucci Marino: "A teatro c’è bisogno rivoluzione conservatrice", di tornare alle origini quindi "un ritorno all’attore, al racconto al rito". Un teatro come rito che consolidi un'identità e una comunità. Ma lo scontro non sarebbe tra teatro classico e avanguardie, ma "tra chi vuole mantenere lo status quo e chi no".

Ma chi è il nemico? Chi è che esclude e mortifica attori, registi, idee di destra. Lo esplicita Edoardo Sylos Labini con chiarezza cristallina: "Dobbiamo trasformare le idee in azione, se le commissioni sono occupate dagli uomini che vengono dal Partito comunista e dalle sue sfumature non cambierà niente. Questa è la nostra sfida bisogna cambiare le cose dentro il ministero e poi dentro la Rai". L'obiettivo è il finanziamento pubblico, che è sicuramente criticabile a partire dal meccanismo del Fus, più discutibile che questo vada lottizzato o debba diventare appannaggio di chi sostiene di esserne stato escluso. Anche perché Sylos Labini, dopo aver elogiato Silvio Berlusconi come il più "grande innovatore culturale italiano" grazie alle sue tv con successivo applauso, una cosa la dice che suona come un bagno di realtà: "Dobbiamo crescere". Perché in effetti di nomi importanti della cultura pronti a impegnarsi a destra e a metterci la faccia oggi ce ne sono davvero pochi. Tanta stampa, giornalisti, direttori, vicedirettori dei quotidiani della destra. L'intellettualità non manca, ma di scrittori, artisti, musicisti nulla. E alla fine "l'intermezzo goliardico" è affidato al solito Federico Palmaroli in arte Osho, in sala arriva a un certo Pippo Franco, fresco d'inchiesta per il green pass falso.

La chiusura del panel è affidata al sottosegretario alla Cultura Gianmarco Mazzi, che dopo aver ripetuto due o tre volte "facciamo parte della stessa area culturale", chiarendo che la sua è una veste più politica che istituzionale, chiarisce: "Noi non sostituiremo a un’egemonja con un’altra egemonia ,vogliamo passare alla storia come quello che risolvono i problemi, perché le egemonie creano privilegi e apparati mentre noi vogliamo che la cultura sia libera". Poi chiede ai presenti di mandargli un mail con i loro problemi specifici di settore ripetendo più volte l'indirizzo di posta elettronica, rassicura che si occuperà di ogni messaggio. Viene da chiedersi se si occupa di tutte le mail allo stesso modo o solo dei suggerimenti che arrivano dalla sua stessa "area culturale", poi interviene su quello che sta a più a cuore alla platea: le famose commissioni. "Anche rispetto a queste commissioni… segnalate… inseriremo nuove personalità", dice Mazzi, chiarendo che le cose cambieranno là dove devono cambiare, dove si decide dei finanziamenti.

Quando arriva il ministro Sangiuliano il chiacchiericcio termina. E Sangiuliano non delude il suo pubblico: alza la voce solo per dire che "il Sessantotto si può criticare non è un totem", e poi cita Alain De Benoist (il fondatore della nuova destra francese) per parlare di "giornalisti poliziotti del politicamente corretto". Oggi "abbiamo noi il ministro" si sente dire. È lui, l'uomo della provvidenza, quello che darà alla cultura di destra quella che è convinta di meritare. 

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