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“Pet Care” a Bari: in ospedale, per aiutare i bambini malati, arriva il labrador Megan

Per due volte al mese, una labrador di 5 anni di nome Megan incontrerà singolarmente i piccoli pazienti del reparto di Oncoematologia pediatrica del Policlinico di Bari per una seduta di “pet care”. Lo scopo è restituire al malato autostima, sicurezza e capacità di relazione.
A cura di Susanna Picone
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Un labrador in ospedale per far compagnia e aiutare i bambini malati. È quanto accade nel reparto di Oncoematologia pediatrica del Policlinico di Bari, dove grazie all'associazione Apleti (Associazione Pugliese per la Lotta contro le Emopatie e i Tumori dell'Infanzia) è stato avviato un progetto che, appunto, porterà un cane dai piccoli ricoverati. Il cane in questione si chiama Megan, è un labrador di cinque anni, e saprà aiutare i bambini ad affrontare il dolore e le difficili terapie cui vengono sottoposti. Per due volte al mese Megan incontrerà singolarmente i piccoli pazienti oncologici per una seduta di “pet care” della durata di circa trenta minuti. Ha parlato del progetto il direttore dell'Unità operativa, Nicola Santoro: “Si tratta di una sperimentazione – ha spiegato – che porterà sicuramente risultati e l'intera comunità scientifica è attenta ai dati che emergeranno riguardo la stabilità emotiva dei piccoli pazienti e dei loro famigliari”.

L'iniziativa nasce dall'esperienza di un papà – Lo scopo del progetto, secondo quanto ha spiegato il medico referente Rosa Maria Daniele, è di restituire al malato autostima, sicurezza e capacità di relazione aiutandolo a riacquistare le abilità psico-motorie e facendogli superare la percezione del dolore. “I controlli e le verifiche saranno continue – ha aggiunto il veterinario comportamentale, Carlo Ciceroni – e siamo convinti del successo e della ricaduta positiva sul percorso di cura dei bambini”. L'iniziativa che ha portato un labrador in ospedale nasce dall'esperienza di un papà, Teodoro Semeraro, addestratore cinofilo che – come ha spiegato la psicologa psicoterapeuta dell’Apleti – ha utilizzato questo metodo per aiutare il figlio a superare le fasi più dure della patologia e l'ha voluto mettere in comune.

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