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Ora Bersani decida da che parte stare, senza compromessi al ribasso

Dopo la forzatura del Governo sulla riforma del lavoro e sulla revisione dell’articolo 18, tocca al Parlamento l’ultima parola. E le spine maggiori sono in casa democratica, dove il segretario Bersani è chiamato ad una scelta decisiva per il futuro del partito stesso.
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La sintesi impossibile fra posizioni inconciliabili e visioni del mondo distanti anni luce ha il volto teso e preoccupato di Pierluigi Bersani. Ma soprattutto ha la forma confusa e per niente rassicurante della dichiarazione affidata alla pagina ufficiale su facebook: E’ chiaro che su quel che c’è di buono nell’impostazione del governo e su quel che c’è da migliorare e da correggere, a questo punto dovrà pronunciarsi seriamente il Parlamento. Una formula che non nasconde un certo imbarazzo e tanta irritazione per lo strappo del Governo, per quel "venir meno ai patti" che oltre a mettere a repentaglio un principio cardine della tutela dei lavoratori (e a generare una sorta di guerra tra poveri), rischia di provocare una crisi irreversibile all'interno del maggior partito di centrosinistra. Già, perchè questa volta sarà difficile trovare scorciatoie o compromessi: il Partito Democratico è ad un bivio e oltre, per ora, non si passa. E nel gioco dei rimandi, passa finanche in secondo piano il sostanziale apprezzamento per alcuni provvedimenti contenuti nel piano Fornero, dall'intervento sulle partite Iva alla revisione dei rapporti contrattuali. Il punto cardine di ogni considerazione è e resta l'articolo 18 e lo scontro, proprio come temuto, è irrimediabilmente polarizzato su "ragioni" ideologiche.

Ma i Democratici sono pronti a voltare le spalle alla Cgil? – Inutile girarci intorno, c'è un'area composita e ben strutturata del Partito Democratico che non aspettava occasione migliore per recidere definitivamente il legame a doppio filo che lega il Partito al più grande sindacato italiano. Un legame sopportato a fatica da tempo, per una miriade di ragioni, di carattere ideologico – programmatico ma anche più strettamente legate a dinamiche interne e a logiche correntizie. Ma anche un rapporto cementato da anni di condivisione della piattaforma politica e della linea in tema di organizzazione del mondo del lavoro e di quella mai realmente elaborata "costruzione dell'alternativa sistemica". E soprattutto, la considerazione che la base elettorale democratica è da sempre, malgrado i passi falsi delle ultime stagioni, vicina al più grande sindacato italiano, ne costituisce lo zoccolo duro e in larghissima maggioranza ne condivide le battaglie. E questo è un dato difficilmente contestabile, anche da quelli che nelle ultime ore hanno calcato la mano sulla frattura tra le parti sociali e riaperto il fronte interno, ad esempio contro il "solito" Stefano Fassina, decisamente drastico nel commentare l'operato del Governo: "Un guscio vuoto che aumenta la possibilità di licenziare e Monti ricordava Sacconi".

Bersani e una sintesi impossibile – Che però questo sia il momento in cui il segretario debba prendere interamente (o quasi) sulle proprie spalle la responsabilità della scelta è cosa condivisa, anche se non scontata. E la strada della mediazione non è necessariamente quella più profittevole, anche in ragione delle implicazioni politiche che la scelta di Monti ha già determinato. Come sottolineava Giannini, in effetti, "il presidente del Consiglio non può non essere consapevole di cosa può accadere nel centrosinistra (e magari anche nella Lega) di qui al voto parlamentare sulla riforma. Caduto un tabù, può cadere anche un governo"; e malgrado tale eventualità resti remota (anche in ragione della divisione stessa del PD sul lavoro) la leva parlamentare rappresenta il solo strumento (peraltro di dubbia efficacia) nelle mani del Partito Democratico. Da qui il nervosismo di Bersani, nelle prime dichiarazioni di una certa rilevanza riportate da Rainews24:

Se devo concludere la vita dando la monetizzazione del lavoro, non lo faccio. Per me è una roba inconcepibile. Chiediamo un passo avanti e di accorciare i tempi della giustizia per le cause di lavoro, di non discernere più tra licenziamenti disciplinari ed economici, di lasciare cioè il giudice sia in un caso che nell'altro

Il momento sembra dunque estremamente delicato ed il segretario deve finalmente scegliere da che parte stare. Se con la Cgil, ricompattando la base militante intorno alla difesa del lavoro ma rischiando di incrinare il "rapporto fiduciario" con il Governo (che sembra comunque pagare in termini di credibilità e consenso), oppure con Monti e Fornero, recidendo decisamente il legame con il sindacato e portando in maniera quasi irreversibile il partito su posizioni "moderate e centriste". L'ennesimo compromesso, per ora, non sembra possibile. Anche perché la trattativa sembra chiusa e i margini di manovra ridotti al minimo.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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