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Opinioni

Occhio all’euro: calerà o si rafforzerà ancora?

Lo stress test Bce sulle maggiori banche che partirà la prossima settimana e il rimborso anticipato dei prestiti ricevuti con le Ltro potrebbe rafforzare l’euro rispetto al dollaro. Ma un’inflazione in ulteriore calo e l’elevata disoccupazione possono portare la Bce a taglaire i tassi, indebolendo la valuta unica. Che succederà?
A cura di Luca Spoldi
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L’euro cala stamane a 1,3675 contro dollaro, ma gli analisti sembrano non avere dubbi: la divisa unica europea, data per moribonda fino all’anno passato, è destinata a guadagnare ulteriore terreno contro dollaro nei mesi a venire, salvo uno scenario macro peggiore del previsto. Scenario che stamane sembra in realtà più forte di tutti gli auspici di ripresina che da mesi si sentono ripetere in giro per l’Europa non appena il Pil di questo o quel paese mostra un frazionale recupero dopo quasi tre anni di crisi a cui la “cura tedesca” ha certamente contribuito essendo basata su una repressione  fiscale fortemente pro-ciclica che in molti paesi, Italia in testa, si è sommata, come ricordavo anche ieri, ad una stretta sul credito che non vedrà fine tanto presto. Ma chi ha ragione e come andrà a finire?

Partiamo dai dati macro: stamane l’Eurostat ha annunciato che l’inflazione dell’eurozona a fine ottobre è crollata sui minimi degli ultimi quattro anni (+0,7% annuo da +1,1% di fine settembre), un dato ben inferiore alle previsioni di mercato e sempre più distante dal limite del 2% indicato dalla Bce come desiderabile. Sempre stamane la disoccupazione di Eurolandia è apparsa stabile rispetto a settembre al 12,2% (mentre in Italia il dato sale al 12,5% complessivo ovvero al 40,4% per i giovani di età inferiore ai 24 anni). Un simile scenario fa tornare d’attualità l’ipotesi, riaffiorata più volte nel corso dell’anno ma di fatto mai concretizzatasi a causa in particolare della fobia tedesca per l’inflazione stessa, che Mario Draghi (che intanto stamane ha siglato assieme ad altri suoi cinque colleghi un accordo che trasforma le linee di currency swap “d’emergenza” varate in piena crisi finanziaria 2008-2009 in accordi permanenti tra Bce, Federal Reserve, Bank of Canada, Bank of England, Bank of Japan e Banca Nazionale Svizzera, così da assicurare un “prudente sostegno di liquidità” ai mercati) vada ben oltre il lancio di una terza Ltro con cui rifinanziare gli istituti che avessero ancora difficoltà a trovare capitali sul mercato e proceda a un ulteriore limatura dei tassi ufficiali sull’euro già entro fine anno. Se così fosse

In questo caso Draghi farebbe un grosso piacere a tutti coloro che al momento hanno debiti, siano essi soggetti pubblici (come il Tesoro italiano coi suoi Bot e Btp) o privati (come i sottoscrittori di mutui e prestiti a lunga scadenza a tasso variabile), perché è prevedibile che sul mercato si assisterebbe a un nuovo calo dei rendimenti o quanto meno i tassi si manterrebbero sui livelli attuali ancora più a lungo di quanto finora previsto. Questa mossa, contemporaneamente, bloccherebbe quel recupero dell’euro contro dollaro, giudicato da molti eccessivo in base alla reale forza delle due aree economiche di riferimento (e causa di una possibile frenata delle esportazioni europee, finora unica valvola di sfogo per le imprese, stante la perdurante crisi della domanda interna in particolare nei mercati del Sud Europa), che era stato innescato da una decisione analoga della Federal Reserve, che dopo aver mandato segnali “aggressivi” in agosto sta da allora rinviando di mese in mese (come ha ribadito anche ieri sera nell’ultima riunione del Fomc) l’avvio del “tapering” ossia il processo di graduale riduzione degli acquisti di T-bond sul mercato, finora fissati a 85 miliardi di dollari al mese e che costituiscono null’altro che un’ennesima iniezione di liquidità di cui le borse (con i continui rialzi delle quotazioni) e i mercati obbligazionari (con cali o mancati rialzi dei rendimenti) beneficiano da mesi.

Per contro, fanno notare gli analisti di Morgan Stanley, l’Asset quality review che la Bce avvierà dalla prossima settimana e andrà avanti fino ad ottobre del prossimo anno sulle maggiori banche del vecchio continente dovrebbe favorire un recupero dell’euro, che a metà ottobre aveva già ritoccato il massimo degli ultimi due anni sul dollaro. Secondo gli esperti, infatti, per superare indenni lo stress test le banche europee dovranno ridurre in modo deciso gli asset offshore che solo a fine settembre avevano registrato, secondo i dati della stessa Bce, un nuovo record con una posizione netta pari a 613,5 miliardi di euro. Che questi capitali possano tornare a finanziare aziende e famiglie, specie nel Sud Europa, sembra per ora fuori discussione nonostante gli auspici molto demagogici (e pertanto mediaticamente efficaci) del presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, ma tant’è.

Se questo non bastasse, secondo gli uomini di Royal Bank of Scotland un supporto all’euro potrebbe venire dall’accelerazione dei rimborsi dei prestiti erogati dalla Banca centrale europea agli istituti del vecchio continente attraverso le Ltro di dicembre 2011 e febbraio 2012, per evitare ogni possibile “stimmata” del mercato e provare di aver già provveduto a “pulire il bilancio”. Un rimborso anticipato che in Italia sono state in grado di fare solo una manciata di istituti a partire da UniCredit e Intesa Sanpaolo e per importi nel complesso molto contenuti rispetto al totale di finanziamenti ricevuti: non c’è di che stupirsene, visto che nelle pieghe dei bilanci degli istituti italiani trovavano spazio 260 miliardi di euro di “bad loans”, ovvero crediti in sofferenza, incagliati o problematici (a seconda dei ritardi nel rimborso degli stessi o nel pagamento degli interessi contrattuali).

Ancora una volta l’euro è dunque sottopsto a forze centrifughe, complici irrisolte discrepanze macroeconomiche e finanziarie tra i singoli sistemi creditizi dei suoi paesi membri e divergenti interessi rispetto ad altre aree economiche mondiali. Per i suoi detrattori è la prova provata del suo fallimento e delle distorsioni a cui la valuta unica ha portato, per i suoi sostenitori è l’ennesima conferma che un’unione per dotarsi di una valuta unica deve diventare non solo bancaria e commerciale, come finora, ma anche fiscale e politica, come forse diverrà se si supereranno le resistenze di ciascun paese, Germania in testa. Io sono tra i secondi, per inciso, ma questa è solo un’opinione personale che non cambia il quadro che vi ho descritto né la ripartizione dei relativi oneri e benefici a seconda che prevalga la prima (indebolimento) o la seconda ipotesi (rafforzamento) su futuro a breve termine della divisa unica.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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