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Ucciso davanti alla fidanzata incinta di 8 mesi: il boss “Bodo” De Micco tra i 6 fermati a Ponticelli

Carmine D’Onofrio sarebbe stato ucciso, davanti alla fidanzata incinta di 8 mesi a Ponticelli, perché responsabile della bomba davanti alla casa del boss De Micco; emessi 6 fermi.
A cura di Nico Falco
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L'omicidio di Carmine D'Onofrio, ucciso a 23 anni davanti alla fidanzata incinta di otto mesi, sarebbe stato deciso ed eseguito dal clan De Micco di Ponticelli per due motivi: per vendetta, perché il giovane era stato identificato dal gruppo criminale come responsabile della bomba messa davanti all'abitazione del boss, e per commettere un assassinio dall'alto valore simbolico, visto che il ragazzo, fino ad allora ritenuto estraneo a dinamiche di camorra, era il figlio illegittimo del fratello del boss Antonio De Luca Bossa, "Tonino ‘o Sicco", capoclan ergastolano rivale ai De Micco.

È quello che hanno ricostruito gli inquirenti, che hanno emesso un decreto di fermo per 6 persone, tutte ritenute vicine al clan De Micco; tra queste anche Marco De Micco, il "Bodo", il capoclan scarcerato un anno fa e che si sarebbe schierato insieme ai De Martino, gli "XX", contro i De Luca Bossa. Il provvedimento, arrivato nell'ambito delle indagini coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia, è stato eseguito dalla Squadra Mobile della Questura di Napoli (diretta da Alfredo Fabbrocini).

Carmine D'Onofrio ucciso davanti alla fidanzata incinta di 8 mesi

Carmine D'Onofrio è stato ammazzato nella notte del 6 ottobre scorso, in via Luigi Crisconio, civico 51, davanti alla sua abitazione. Era appena tornato a casa insieme alla fidanzata di 20 anni, incinta all'ottavo mese di gravidanza. Il sicario, probabilmente appostati in attesa, gli è piombato addosso ed ha esploso numerosi proiettili verso il torace, le pallottole hanno raggiunto la vittima anche a una gamba e a un braccio. Nella fase iniziale delle indagini è emerso che il ragazzo fosse incensurato, ma è venuto fuori anche quella parentela pesante: era il figlio illegittimo di Giuseppe De Luca Bossa, fratello del capoclan di Ponticelli, e negli ultimi tempi si era molto riavvicinato al padre biologico e aveva anche cominciato a frequentare altri parenti, tutti coinvolti nel clan. Si era pensato quindi anche a una vendetta trasversale, a un omicidio commesso per colpire una persona che, estranea alla guerra di camorra, si riteneva al sicuro, ma per gli inquirenti l'agguato sarebbe una risposta all'attentato dinamitardo contro il boss De Micco.

Bomba davanti a casa del boss, l'affiliato torturato: "Carmine"

Per ricostruire la vicenda bisogna fare un passo indietro, alla notte del 29 settembre scorso, quando un ordigno è esploso in via Luigi Piscettaro. Lo scoppio ha mandato in frantumi una vetrata del primo piano, ferendo una donna e il figlio di 14 anni che vengono investiti dalle schegge. Dai primi accertamenti gli investigatori hanno individuato il probabile destinatario di quell'avvertimento: in quel palazzo abita Marco De Micco, capo dell'omonimo clan, scarcerato nel marzo precedente dopo 8 anni di detenzione. E le indagini si sono ricollegate, quindi, alla faida che vede contrapposti da un lato i De Micco e i De Martino, dall'altro i Casella e i De Luca Bossa.

Dopo quell'attentato, hanno ricostruito gli inquirenti, i De Micco hanno rapito e torturato un giovane ritenuto legato ai De Luca Bossa per costringerlo a dire che fosse il responsabile. L'uomo avrebbe fatto soltanto un nome: Carmine. E questo sarebbe bastato per i De Micco, che avrebbero quindi ritenuto che si riferisse a Carmine D'Onofrio e avrebbero pianificato l'agguato.

Le foto della vittima col mitra, ma erano dal set di Gomorra

Dalle indagini emerge anche che Carmine D'Onofrio aveva recitato, come comparsa, in un episodio del telefilm Gomorra. A riferirlo agli investigatori è una delle persone ascoltate, che come gli altri cerca all'inizio di negare coinvolgimenti del ragazzo in affari illeciti. Lo fa a proposito delle fotografie che, di sicuro, sarebbero state trovate sul telefonino della vittima e che ritraevano il 23enne con un mitra tra le mani.

Quegli scatti, aveva spiegato la persona ascoltata, non erano però dimostrazione del fatto che il ragazzo fosse un criminale. "Comandante, prima che vi impressionate e dite, ecco qua, abbiamo trovato chi è Carmine – dice, intercettata in ambientale e raccontando quanto aveva riferito agli investigatori – Carmine ha delle fotografie con un mitra in mano, non vi impressionate (non saltate a conclusioni, ndr), stava girando una scena, stava girando Gomorra, gliel'ho detto sia al comandante sia a quest'altro…".

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