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La strategia delle bombe di camorra: quella a Ponticelli era per Bodo De Micco, il boss scarcerato

La bomba esplosa martedì sera a Ponticelli era diretta contro il capoclan Marco De Micco. Il boss, soprannominato “Bodo”, era stato scarcerato a marzo, dopo aver scontato 8 anni di reclusione. L’ordigno potrebbe segnare la riapertura del conflitto aperto che coinvolge i De Martino, i Casella e i De Luca Bossa per l’egemonia sul quartiere di Napoli Est.
A cura di Nico Falco
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La bomba esplosa martedì sera a Ponticelli, Napoli Est, era un avvertimento contro il clan De Micco e potrebbe segnare la riapertura del conflitto dopo mesi di schermaglie e provocazioni. Il destinatario dell'intimidazione non era un semplice affiliato: in quel palazzo di via Piscettaro abita Marco De Micco, il "Bodo", il capoclan che insieme ai fratelli Luigi e Salvatore ha fondato la cosca e l'ha guidata nella faida contro i D'Amico. Fu arrestato nel 2013, in un ristorante della provincia di Napoli dove arrivò per un ricevimento e uscì con il ferro delle manette che sfiorava il cinturino di un Rolex da 30mila euro, simbolo del suo status di capo.

Bomba a Ponticelli, feriti mamma e figlio di 14 anni

L'esplosione, palesemente un messaggio e non un tentativo di agguato, aveva mandato in frantumi la vetrata esterna dell'edificio; erano rimasti feriti una donna e il figlio di 14 anni (nessun rapporto con De Micco), che in quel momento si trovavano in casa e sono stati investiti dalle schegge. Per loro soltanto delle escoriazioni, sono stati medicati sul posto. Le indagini, avviate dagli agenti del commissariato locale, sono in carico anche alla Squadra Mobile della Questura di Napoli, agli ordini del dirigente Alfredo Fabbrocini.

I clan della camorra di Ponticelli

De Micco, 37 anni, a Ponticelli è tornato nel marzo scorso, dopo 8 anni di reclusione, e ha trovato un quartiere dove gli equilibri criminali erano saltati ed erano destinati ad incrinarsi ulteriormente nei mesi a venire. La nuova stagione delle bombe è cominciata pochi giorni dopo. Difficile, e ancora in divenire, la situazione tracciata dagli inquirenti. Il clan D'Amico è ormai fuori dai giochi, dopo la morte di Nunzia D'Amico, la Passilona, uccisa proprio nella faida contro i Bodo. I De Martino, gli XX, legatissimi ai De Micco, sono ancora sul territorio ma sono stati emarginati dai De Luca Bossa e dai Casella, un tempo alleati; il capo, Antonio De Martino, è accusato per l'agguato alla D'Amico, che sarebbe stato commesso proprio per conto dei De Micco.

I contrasti tra i De Micco e i De Luca Bossa

E poi ci sono i De Luca Bossa, adesso egemoni sul territorio e legati all'Alleanza di Secondigliano, che con i De Micco hanno un vecchio conto in sospeso che risale al 2013, nel pieno della faida tra i Bodo e i "fraulella", ovvero i D'Amico. È il 28 gennaio quando i killer arrivano nel rione Conocal e aprono il fuoco contro due ragazzi. Uno, il 21enne Gennaro Castaldi, muore poco dopo al Loreto Mare; è il vero obiettivo, è considerato vicino ai D'Amico e abita a pochi passi dal luogo dell'agguato. L'altro muore all'alba del giorno successivo, nonostante un delicato intervento chirurgico; ha 19 anni, non è inserito in dinamiche di camorra, ma ha un cognome molto pesante: si chiama Antonio Minichini ed è il figlio del boss Ciro Minichini e di Anna De Luca Bossa, sorella di Tonino ‘o sicco e figlia di Teresa De Luca Bossa, la prima donna condannata al 41bis per camorra.

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