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La storia di Alessandro e le parole che diventano sassi. Bulli non si nasce: si diventa

Alessandro è caduto dal quarto piano del palazzo dove abitava. È stato vittima dei bulli?
A cura di Anna Vagli
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Di bullismo si muore. Alessandro, tredici anni ed originario di Gragnano, si è suicidato gettandosi dal quarto piano della sua abitazione. “Ti devi ammazzare”; “Buttati giù”; “Ucciditi”.  Avrebbe dovuto iniziare la terza media, ma coetanei senza volto e senza remore glielo hanno impedito.

Quello che inizialmente sembrava un incidente, quindi, si è potenzialmente rivelato un estremo gesto di disperazione. Indaga la procura di Torre Annunziata, e la procura per i minorenni di Napoli, in particolare su alcuni contenuti della chat segreta. Ennesima dimostrazione di come le parole feriscano. Molto più di quanto si creda.

Bulli non si nasce, si diventa

L’episodio accaduto in provincia di Napoli è solamente la punta dell’iceberg. Bulli non si nasce, ma lo si diventa. I nativi digitali crescono utilizzando internet e smartphone e trovano quindi normale relazionarsi attraverso monitor e tastiera. Se però da una parte questo ha favorito la socializzazione, dall’altra è diventato mezzo per prevaricare e sopraffare i coetanei.

Perché la velocità della navigazione non tiene mai conto della fragilità e delle personalità ancora da definire. Alessandro era un bravo ragazzo con una vita da vivere, ma anagraficamente era ancora privo della necessaria attrezzatura emotiva per vincere quelle minacce ingiustificate. È stata la sua giovane età a scegliere per lui.

La procura di Torre Annunziata ha aperto un fascicolo per istigazione al suicidio. E lo ha fatto "attenzionando" sei ragazzi, cinque minori ed un maggiorenne. Questi, secondo chi indaga, sarebbero i presunti responsabili dei messaggi traboccanti d’odio e di insulti recapitati ad Alessandro. Che, probabilmente, è rimasto vittima della malvagità dei coetanei e dei loro attacchi offensivi, ossessivi, reiterati e sistematici. Capaci di minarne irreparabilmente l’autostima. E di indurlo a compiere l’estremo gesto autolesionistico.

La sua vita apparentemente perfetta, alto bello e fidanzato, sarebbe stata la causa scatenante delle condotte prevaricatorie. È davvero possibile che l’altrui felicità si trasformi in un imperativo mortifero? Alcuni coetanei hanno mandato ad Alessandro messaggi continui invitandolo a togliersi la vita. “Ucciditi”. Ed è accaduto davvero. Quindi, sì è possibile.

 Vittime e odiatori seriali?

I presunti istigatori di Alessandro erano giovani del quartiere, lontani dalla sua cerchia di amici. E proprio questo dato sottolinea la portata devastante del fenomeno. Infatti, a differenza delle vittime del bullismo tradizionale, che potevano un tempo sfuggire al tormento del bullo quando varcavano le porte della scuola e si dirigevano verso casa, il pericolo di aggressione per le cybervittime è divenuto più ampio. Questo perché possono essere costantemente e ripetutamente raggiunte in ogni luogo. Grazie alla tecnologia.

Ma chi sono in concreto i cyberbulli? Nella maggior parte dei casi si tratta di ragazzi che segnalano disagi, emotivi comportamentali e di relazione. Ragazzini che riscontrano altissime probabilità di essere iperattivi di abusare di alcol e di fumo di sigaretta già in età adolescenziale. In questo scenario, sono agevolati dallo scarso controllo esercitato sulla vita online da parte della famiglia. Ma soprattutto dalla possibilità di indossare una maschera apparentemente virtuale, di trincerarsi dietro un monitor ed una tastiera. Privi della possibilità di ricevere un feedback emotivo e di percepire direttamente la sofferenza e l’umiliazione provocata. Con un coneguente aumento dello spazio psicologico dell’indifferenza.

Non chiamateli bulli (o cyberbulli)

Quanto accaduto a Gragnano, pur dovendo debitamente accertare concretamente le responsabilità, porta inevitabilmente ad una serie di conclusioni. Anzitutto, il bullismo si è insediato nella Rete complicando così le proprie dinamiche diventando cyber. Ma non soltanto. L'ingresso nel mondo giovanile mostra oggi una generazione regolata dal "tutto e subito", in cui si fa fatica a distinguere le sfaccettature di una violenza insulsa.

È una criminalità figlia dell'abuso dell'agio, dell'incapacità relazionale e della mancanza di santi ed eroi. E sicuramente aggravata dalle politiche di contenimento pandemico che negli ultimi anni, purtroppo, hanno avuto un ruolo di amplificatore anche con riferimento alle dinamiche prevaricatorie. Pur volendo essere garantisti, però, non limitiamoci a chiamarli bulli o cyberbulli. Perché così facendo le cose non cambieranno.

Quali sono gli strumenti di tutela?

Se è vero che il bullismo è sempre esistito, il web ne ha determinato un incremento drammatico. Quanto accaduto ad Alessandro evidenzia l’imprescindibilità di attuare campagne e politiche di alfabetizzazione rispetto ai rischi della rete. La sola normativa introdotta, la legge contro il Bullismo e Cyberbullismo, la n.71 del 2017, certamente non basta.

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