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Scarichi dalle fogne nei fiumi del Sannio, sequestro da 78 milioni alla società dei depuratori

La Procura di Benevento ha disposto il sequestro di 78 milioni di euro alla GeSeSa nell’inchiesta sul funzionamento dei depuratori nel Sannio.
A cura di Nico Falco
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La Procura di Benevento ha disposto un sequestro preventivo di beni mobili e immobili del valore complessivo di 78 milioni di euro nei confronti della Gesesa (Gestione Servizi Sannio Spa), la società che gestisce il servizio idrico integrato in diversi comuni dell'ATO 1 Campania. Il provvedimento è scattato "per non avere adottato ed efficientemente attuato modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire i reati contestati, commessi per conto, nell'interesse e a vantaggio della società dai suoi amministratori e da dipendenti che rivestivano, all'epoca dei fatti, funzioni di direzione o vigilanza nell'ente".

Si tratta di una nuova tappa dell'inchiesta sull'inquinamento dei fiumi del Beneventano partita nel 2016 e che, nel maggio 2020, aveva portato al sequestro di 12 depuratori e all'iscrizione nel registro degli indagati di 33 persone, tra funzionari, tecnici e politici. Le accuse, a vario titolo, sono di inquinamento ambientale, frode nelle pubbliche forniture, truffa aggravata, gestione illecita di rifiuti, scarichi di acque reflue senza autorizzazione, abuso d'ufficio e falsità ideologica; l'inchiesta era stata chiusa nel luglio scorso, con 24 indagati.

Il decreto di sequestro è stato notificato dai carabinieri oggi, 29 novembre. I 78 milioni sarebbero quindi il vantaggio che l'azienda avrebbe ottenuto evitando di gestire correttamente il servizio. Gli inquirenti avevano constatato nelle acque dei fiumi Calore e Sabato una presenza diffusa e massiva di scarichi dalle fogne dei comuni di Benevento e della provincia, dovuta in alcuni casi all'assenza dei depuratori, e quindi all'immissione diretta nei corsi d'acqua, in altri al mancato funzionamento degli impianti.

"Con tale condotta – si legge in una nota a firma del procuratore Aldo Policastrosi è ritenuto che venivano tutelati soltanto gli interessi privatistici di carattere economico dell'azienda a discapito del bene comune rappresentato dalla necessità di evitare che reflui inquinati i comunque non conformi a legge finissero nei corsi idrici, risorse vitali per il nostro Paese e oggetto dell'affidamento alla GeSeSa da parte dei Comuni per la depurazione delle acque". Per gli inquirenti le condotte illecite avrebbero consentito alla società di incrementare la propria posizione patrimoniale, anche grazie alla mancata realizzazione degli interventi di adeguamento necessari e alla gestione non adeguata del processo di depurazione e di smaltimento dei rifiuti liquidi e dei fanghi prodotti dai trattamenti depurativi.

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