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Reddito di cittadinanza, le ultime notizie

“Il Reddito di cittadinanza non va abolito. Anzi, andava istituito molto prima”

Enrica Morlicchio, professoressa ordinaria di Sociologia economica all’Università di Napoli Federico II, spiega perché la proposta di abolire il Reddito di cittadinanza è sbagliata. E attacca: “Nella commissione per la riforma del Rdc istituita da Andrea Orlando, della quale per altro fanno parte i migliori studiosi della povertà, non sia stato chiamato nessuno, e dico nessuno, da Roma in giù”.
Intervista a Enrica Morlicchio
Professoressa ordinaria di Sociologia economica all'Università di Napoli Federico II e dirige la rivista «Sociologia del lavoro». Con Il Mulino ha pubblicato Sociologia della povertà (2020).
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Enrica Morlicchio è professoressa ordinaria di Sociologia economica all'Università di Napoli Federico II e dirige la rivista «Sociologia del lavoro». Sul suo profilo Twitter commenta spesso le questioni relative al lavoro, al reddito e ovviamente di recente anche quelle sul Reddito di cittadinanza, dalle sortite di Matteo Salvini a quelle di Matteo Renzi fino alle affermazioni del presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca. Ha accettato di spiegare a Fanpage.it perché ritiene il Rdc uno strumento da non cancellare.

Professoressa Morlicchio, cosa pensa delle parole di Renzi e più in generale di tutti coloro che chiedono di abolire il Reddito di cittadinanza?

Matteo Renzi, con grande cinismo, cerca di cavalcare un sentimento montante anti poveri che è in corso in Italia, non a caso seguito a ruota da Carlo Calenda. Che lo facciano Matteo Salvini o Giorgia Meloni si comprende, perché sono a capo di partiti reazionari e xenofobi, ma che lo facciano dirigenti politici che si ritengono parte di un’area progressista e riformista è davvero sorprendente, per non dire altro.

Focalizzandoci su Renzi, le sue parole sul Reddito di cittadinanza hanno tenuto banco: ha colpito nel segno? C'è qualcosa di vero secondo lei?

Francamente trovo la proposta di Renzi anche antistorica poiché pretende di tornare indietro lungo una strada di sviluppo di forme di tutela del reddito non categoriale ma ispirata a forme di universalismo selettivo che altri paesi hanno imboccato già da tempo e rispetto alle quali l’Italia era arrivata ben ultima insieme alla Grecia. Dunque non una «cosa ridicola» come l’ha definita lui, ma il più grande investimento nella lotta alla povertà che sia stato fatto in Italia dal Dopoguerra ad oggi – molto più consistente di quello fatto dal suo governo – in un Paese che continua ad essere tra i meno efficaci in questo campo. Basterebbe ricordare che la differenza nei tassi di povertà prima e dopo i trasferimenti monetari in Italia si attesta introno al 5% (peggio di noi solo Romania e Grecia) a fronte di una media europea del 9%. La povertà c’è ovunque, prodotto delle disuguaglianze e non della fibra morale debole dei poveri, ma gli altri Paesi europei la combattono in modo efficace e noi stiamo cominciando a farlo solo ora. Tanto per uscire da un certo provincialismo della polemica.

Secondo lei questa misura di sostegno va tenuta così com'è, è perfetta, o vi sono dei cambiamenti da apportare? 

Ci sono alcuni miglioramenti per così dire ‘tecnici' da apportare.

Quali?

La modifica della scala di equivalenza, per evitare di penalizzare i nuclei più numerosi con minori. Poi potenziare il ruolo degli enti locali nella presa in carico dei beneficiari che sottoscrivono il patto per l’inclusione, definire meglio il ruolo dei navigator, tener conto della dimensione familiare nella valutazione del costo dell’affitto. E poi vi sono altri miglioramenti per così dire più politici come quello di rafforzare il coordinamento tra i diversi livelli di governo e attori in campo che sono tanti e di ridurre a cinque anni il limite di residenza previsto per le famiglie immigrate e la documentazione aggiuntiva e a volte irrealistica richiesta ad essi. Il Rdc, come pegno da pagare alla Lega di Salvini contiene norme discriminatorie nei loro confronti in contrasto con le le normative europee e le convenzioni sottoscritte dall’Italia che il politologo Maurizio Ferrera, persona che certamente non può essere accusata di estremismo, ha definito ispirate da un «diritto amministrativo antiumanitario» e da «sadismo burocratico».

L'accusa che si fa spesso è: «preferiscono prendere il reddito di cittadinanza anziché lavorare»….

Poiché questo è il punto su cui si è concentrata maggiormente l’attenzione occorre ridurre il rischio della ‘trappola della povertà' evitando che le persone preferiscano il Rdc al lavoro ma non introducendo condizionalità anche in questo caso irrealistiche e punitive, tenuto conto delle condizioni del mercato del lavoro in molti contesti.

Quindi come si risolve?

Consentendo a chi trova un lavoro a termine di mantenere l’assegno per un periodo limitato o vedere solo sospeso l’assegno per evitare che si rifiuti il lavoro nel timore di uscire definitamente dalla misura.

Il Reddito di cittadinanza della sola città di Napoli è pari a quello dell’intero Nord Italia, così dicono i dati diffusi dall'Inps. Come si inserisce questa misura di sostegno nel quadro della povertà napoletana? Chi ne trae beneficio?

Se rapportiamo il numero di famiglie beneficiarie al totale delle famiglie residenti troviamo 9 città con una percentuale superiore al 10%, tutte collocate al Sud. Napoli è al secondo posto, dopo Crotone, con una incidenza del 13%. Il problema quindi non è solo Napoli che è epicentro della povertà meridionale e Italiana. Rispetto alla sua domanda devo purtroppo dirle che non ho elementi per rispondere.

Perché?

Sono in corso presso Università Italiane anche con il confinziamento delle Fondazioni bancarie diverse ricerche sul Rdc ma poco o nulla sappiamo su Napoli per diversi motivi: tagli ai finanziamenti delle Università del Sud e minore presenza (e ricchezza) delle Fondazioni, scarso interesse dei ricercatori che hanno potuto accedere a cospicui finanziamenti di includere nel loro campione anche famiglie napoletane (la povertà si studia dove è meno rilevante, per paradosso) e devo aggiungere, scarsa collaborazione da parte degli enti locali campani nel favorire forme di open access (nella salvaguardia della privacy dei beneficiari) come sono in atto in altri comuni di Italia.

Ci sono però i dati dell'Inps…

E i dati Inps non consentono un livello di disaggregazione cittadino, ovviamente. Io su questo punto sono piuttosto polemica perché ho sofferto e soffro molto per questa situazione. In occasione della sperimentazione della SIA (Sostegno per l'inclusione attiva) il Comune di Torino, per il tramite di una studiosa della povertà torinese, propose di creare un tavolo interistituzionale ma l'’allora assessora comunale alle politiche sociali si rifiutò di collaborare con il risultato che una importante rivista di sociologia pubblicò un numero in cui c’erano tutte le città che avevano partecipato alla sperimentazione tranne Napoli. Sono anni che propongo di creare un Osservatorio cittadino sulla povertà a Napoli. Durante l’amministrazione comunale guidata da Antonio Bassolino era l’assessora alle Politiche sociali Maria Fortuna Incostante a “marcare” stretto noi studiosi della povertà perché aveva capito l’importanza di un monitoraggio costante della sua azione. Da allora quel dialogo si è interrotto. E le dico un'altra cosa…

Prego…

Non ho protestato pubblicamente perché poteva sembrare che ne facessi una questione personale ma ho trovato incomprensibile che nella Commissione per la riforma del Rdc istituita da Andrea Orlando, della quale per altro fanno parte i migliori studiosi della povertà, non sia stato chiamato nessuno, e dico nessuno, da Roma in giù.

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