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Procida, morirono per salvare una vita: il sacrificio di Antonio Raimondo e Nina Scotto di Perrotolo, trent’anni dopo

A trent’anni dalla tragedia di Procida, in cui morirono i soccorritori Antonio Raimondo e Nina Scotto di Perrotolo, parlano i figli dell’elicotterista.
A cura di Leonardo Pugliese
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Antonio Raimondo coi figli Roberta e Pasquale / foto per gentile concessione della famiglia Raimondo
Antonio Raimondo coi figli Roberta e Pasquale / foto per gentile concessione della famiglia Raimondo

Ci sono ferite che il tempo non sa guarire. Ferite che non smettono di sanguinare, anche dopo trent’anni. Il 18 novembre 1995 non è solo una data incisa nella memoria di due famiglie spezzate, ma una cicatrice profonda nel cuore di due comunità, che ancora oggi faticano a pronunciare quei nomi senza tremare: Antonio Raimondo e Nina Scotto di Perrotolo.

Lui, ispettore capo della Polizia di Stato. Lei, infermiera. Quando un 16enne rimane gravemente ustionato e si rende necessario il trasferimento urgente a Napoli sono loro che vengono allertati. Una motovedetta non può intervenire per il mare grosso, così parte un elicottero della Polizia, nonostante il vento fortissimo. Durante l’imbarco del ragazzo, il velivolo oscilla e si inclina, uccidendo l'esperto elicotterista Raimondo e ferendo a morte l'infermiera Scotto Di Perrottolo. Raimondo è riconosciuto vittima del dovere, a Nina solo una medaglia d'oro. La vicenda giudiziaria non ha portato a nulla.

Il tempo passa, ma il dolore resta. Si trasforma, forse. Cambia volto. Ma non smette mai di farsi sentire. E nei cuori di chi li ha amati, quel giorno maledetto continua a vivere, come un’eco sorda che non si spegne mai. Oggi, a distanza di trent’anni, Roberta e Pasquale Raimondo, figli di Antonio, ci hanno raccontato il loro papà.

Roberta e Pasquale, sono passati trent'anni da quel giorno che ha segnato profondamente la vostra vita, quella della vostra famiglia e anche della nostra isola. Qual è oggi il ricordo più vivo che conservate di vostro padre, come uomo e come figura familiare?

Il ricordo più vivo che abbiamo di nostro padre è il suo sorriso sincero. Papà era buono, diretto, onesto, sempre pronto ad aiutare tutti e con un grande senso del dovere. Era un papà affettuoso, ma anche un uomo molto forte, che sapeva trasmettere fiducia e amore.

Chi era vostro padre? Cosa vi ha lasciato nel cuore, nei valori, nel modo di affrontare la vita?

Papà era una persona semplice, e piena di valori. Veniva da Grazzanise, un piccolo paese del Casertano, ma aveva grandi sogni e un fortissimo senso dello Stato. Era un copilota-specialista della Polizia di Stato, un lavoro che amava e che viveva con grande passione e orgoglio. Ci ha insegnato che la vera forza è nella gentilezza e nell’onestà, che si può essere determinati senza mai perdere l’umanità. Ci ha lasciato nel cuore il valore del rispetto, del sacrificio e del fare le cose con amore, anche quando nessuno le vede. Da lui abbiamo imparato a camminare a testa alta, ad affrontare la vita con coraggio, anche quando fa male.

Con il passare degli anni, il dolore si trasforma ma resta. Come avete vissuto questo lungo percorso personale e familiare? C'è stato un momento in cui avete sentito che il ricordo poteva diventare anche forza?

Il dolore, col tempo, cambia volto. All’inizio è stato difficile accettare una perdita così improvvisa, ma col passare degli anni abbiamo imparato che ricordare non significa soffrire, ma tenere viva la presenza di chi abbiamo amato. Insieme a nostra madre, abbiamo scelto di non farci schiacciare dal dolore, ma di tenerlo come una parte viva della nostra storia. E così, piano piano, il ricordo di papà è diventato una forza. Il momento in cui abbiamo sentito davvero che poteva trasformarsi è stato quando, negli anni, abbiamo visto che la sua storia continuava a essere ricordata, che a Procida così come a Grazzanise si parlava di lui e di Nina Scotto di Perrotolo non solo per come sono morti, ma per quello che rappresentavano: due persone che hanno dato la vita per servire gli altri. In quei momenti abbiamo sentito che la memoria può essere luce, non solo dolore. È stato proprio questo il motivo per cui in occasione del 30 anniversario della sua scomparsa abbiamo deciso di organizzare una giornata di beneficenza al centro trapianti dell'ospedale Monaldi di Napoli, convinti del fatto che il suo volo non è finito, ha solo cambiato direzione, posandosi dove la vita ha ancora bisogno di coraggio.

Il disastro di Procida
Il disastro di Procida

In questi trent’anni non avete come famiglia mai smesso di cercare la verità e di chiedere giustizia. Cosa ne è venuto fuori?

Abbiamo sempre cercato la verità, perché per noi non era solo una questione di responsabilità, ma di rispetto per la vita di mio padre e di Gaetanina. Le indagini e i processi hanno fatto emergere molte cose, ma non sempre abbiamo avuto risposte pienamente soddisfacenti. Purtroppo, dopo anni di iter giudiziari, nessuno è stato ritenuto realmente responsabile di quanto accaduto. Questo lascia un’amarezza profonda, ma anche una convinzione: la memoria e la giustizia non coincidono sempre nelle aule dei tribunali, ma possono continuare nel cuore delle persone. Da quella ricerca, però, è nata anche una consapevolezza: l’importanza della sicurezza nei voli di soccorso, della formazione, delle regole che possono salvare vite. Se qualcosa di buono è uscito da tutto questo, è che la loro tragedia ha acceso un faro su aspetti che non possono essere dimenticati.

Guardando oggi al passato e a tutto ciò che è stato fatto, cosa vi augurate che resti nel cuore delle persone, soprattutto delle nuove generazioni, rispetto a quanto è accaduto e alla memoria di tuo padre e di Nina Scotto di Perrotolo?

Vorremmo che le nuove generazioni capissero che dietro ogni uniforme c’è una persona, con la propria vita, la propria famiglia, i propri sogni. Una persona che ogni giorno sceglie di mettersi al servizio degli altri, anche a costo della propria sicurezza. Il gesto di nostro padre e di Gaetanina non è stato quello di due eroi, ma di due persone comuni che, con coraggio e umanità, hanno deciso di dare tutto, senza esitazione, per salvare un'altra vita. Speriamo che il loro ricordo insegni a tutti noi che la memoria non è solo guardare indietro, ma portare avanti i valori per cui hanno vissuto: il rispetto, la solidarietà, il senso del dovere, la vita vissuta con il cuore aperto. E che ogni volta che qualcuno sceglierà di fare del bene, anche nel silenzio, un po’ di loro continuerà a vivere.

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