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Napoli, la storia di Fabio Sorrentino: “La mia carriera di ballerino stroncata da un proiettile vagante”

Fabio era un ballerino promettente, ma la sua carriera è finita per colpa di un proiettile vagante destinato ad un pregiudicato. Da anni attende un risarcimento da parte dello Stato.
A cura di Peppe Pace
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Fabio Sorrentino mostra il proiettile conficcato nella schiena.
Fabio Sorrentino mostra il proiettile conficcato nella schiena.

La sera del 9 luglio del 2015 a Napoli, in via Guglielmo Gasperini, Fabio Sorrentino è stato colpito da uno dei proiettili destinati al giovane Emanuele Esposito, 27 anni, pregiudicato, freddato in perfetto stile camorristico a pochi passi dall'abitazione di Fabio che stava tornando a casa. Il proiettile vagante gli ha fracassato la cresta iliaca, andandosi a conficcare a un centimetro dall'osso sacro, dove è rimasto per ben 2 anni, con tutte le conseguenze del caso.

Fabio era un promettente ballerino, che proprio in quegli anni stava completando la sua formazione professionale, ma la sua carriera è finita quella sera: "Nonostante non abbia mai mollato, nessuna terapia, nemmeno la più faticosa e costosa, mi avrebbe mai restituito l'agilità che avevo, da allora è iniziato un lento declino e per questo ho dovuto cambiare lavoro e città, in poche parole, ho dovuto cambiare vita".

Quando parla di Napoli, Fabio ha le lacrime agli occhi, perché mai avrebbe immaginato di dover andare via e di sentirsi più sicuro lontano dalla sua casa e dai suoi affetti: "Questo mi fa male, perché Napoli ce l'ho nel sangue".

Fabio in un'esibizione live.
Fabio in un'esibizione live.

Per superare le conseguenze del trauma, sia fisiche che mentali, l'oramai ex ballerino ha dovuto pagare di tasca sua costosissime terapie che il sistema sanitario pubblico non era in grado di offrire: "Ho dovuto pagare tutte le visite e tutti i medici, compreso lo psicologo, per imparare ad affrontare ogni giorno le mie paure".

Per recuperare parte di queste spese, da 9 anni Fabio chiede di poter accedere al fondo destinato alle vittime dei reati di tipo mafioso, istituito anche per chi, come lui, ha subito le conseguenze di un regolamento di conti, ma senza successo a causa di un cavillo burocratico: "La matrice dell'agguato deve essere accertata in maniera bilaterale: per essere identificati come vittime "collaterali" di reati di tipo mafioso, il reato deve essere commesso da un affiliato verso un altro affiliato. Nel mio caso, pur essendo stata accertata l'appartenenza della vittima alla criminalità organizzata locale, non è accaduto lo stesso per il killer, che non è mai stato identificato, nonostante l'esecuzione fosse avvenuta in perfetto stile camorristico. Il mio non è un capriccio, vorrei solo che lo Stato mi venisse incontro, visto che non è stato in grado di proteggermi".

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