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La Napoli di Dante e il Lago d’Averno come porta dell’Inferno nella Divina Commedia

La Napoli di Dante appare solo in alcuni suoi libri: ma nella Divina Commedia, la “porta dell’inferno” attraverso il quale Dante raggiunge gli inferi, sembra essere ispirata al Lago d’Averno, come dimostrò già secoli fa Galileo Galilei, che studiò approfonditamente i libri e i luoghi dell’opera dantesca.
A cura di Giuseppe Cozzolino
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Napoli e la Campania non sono certamente i protagonisti principali della vita di Dante Alighieri, il Sommo Poeta considerato il simbolo dell'Italia e della lingua italiana in tutto il mondo. Eppure, anche Napoli e dintorni appaiono seppur di "passaggio" nella vita del linguista, scrittore e filosofo fiorentino. Ed una delle zone più "note" per essere abbinate a Dante ed alla sua Divina Commedia è il Lago d'Averno, che oggi si trova nel comune di Pozzuoli.

Lago d'Averno che veniva considerato in passato una delle "porte" terrene per raggiungere l'Inferno nelle viscere della terra. Fu Galileo Galilei, secoli fa, a studiare a lungo la Divina Commedia ed ad identificare che la porta dell'Inferno di Dante fosse appunto il Lago d'Averno. Così come la "selva oscura" in cui si perde il Sommo Poeta ad inizio della Commedia, sarebbe il fitto bosco che circondava il lago ed arrivava fino alla Solfatara di Pozzuoli. A Napoli, invece, il legame con la Divina Commedia è dato da Virgilio, che proprio nel capoluogo partenopeo morì e dove tutt'oggi si trova la sua tomba. Dettagli non di poco conto che il Sommo Poeta evidentemente aveva appreso nei suoi studi prettamente classici.

Del resto, Dante Alighieri studiò e visitò diverse parti della penisola italiana, raccontandola seppure nella sua visione medievale in maniera precisa e dettagliata, tanto da poterlo considerare il "padre" della lingua italiana, che da qualche secolo stava iniziando ad imporsi in tutta Italia seppur con marcatissime differenze regionali che talvolta risultavano incomprensibili. Dante Alighieri cita anche esplicitamente Napoli in alcune occasioni, seppur solo di sfuggita. Fu infatti anche un fine linguista, e così nel De Vulgari Eloquentia, ad esempio, raccontò come la lingua dei napoletani fosse diversa da quella degli abitanti di Gaeta:

"Ma indaghiamo ora perché la lingua fondamentale si sia differenziata in tre rami; e perché ognuna di queste varietà si differenzi a sua volta al proprio interno, ad esempio la parlata della parte destra d'Italia da quella della sinistra (infatti i Padovani parlano altrimenti che i Pisani); e perché ancora discordi nel parlare gente che abita più vicina, come Milanesi e Veronesi, Romani e Fiorentini, e inoltre chi è accomunato dall'appartenenza a una stessa stirpe, come Napoletani e Caietani, Ravennati e Faentini" (Libro I, capitolo IX, paragrafo IV)

Ed ancora, nel Convivio viene citata la storica e nobile famiglia napoletana dei Piscicelli (nata in epoca bizantina ed estintasi nel Settecento) che nel periodo in cui visse Dante era all'apice del prestigio:

L'altra è, che potrebbe dire quelli da Santo Nazzaro di Pavia, e quelli de li Piscicelli da Napoli: ‘Se la nobilitade è quello che detto è, cioè seme divino ne la umana anima graziosamente posto, e le progenie, o vero schiatte, non hanno anima, sì come è manifesto, nulla progenie, o vero schiatta, nobile dicere si potrebbe: e questo è contra l'oppinione di coloro che le nostre progenie dicono essere nobilissime in loro cittadi'. (Trattato IV, capitolo XXIX, paragrafo III)

Solo citazioni, dunque, ma che mostrano quanto profondamente Dante avesse studiato lingue, usi, costumi e araldiche di tutti i paesi d'Italia, e della quale viene considerato a tutti gli effetti il primo "patriota".

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